CATANZARO «Nel 2019 si sono registrati flussi anomali di pazienti mandati a curarsi fuori regione: dal Cosentino alla Campania, ma anche da Reggio alla Sicilia». Il Tgr Calabria torna sul tema dell’emigrazione sanitaria e anticipa un documento della Regione che accende i riflettori su un fenomeno sistematico costato, nell’annualità di riferimento, ben 221 milioni di euro.
Il caso era stato affrontato già mesi fa, dopo le segnalazioni di alcuni pazienti oncologici, la cui richiesta di accesso alle cure o agli esami “Pet” veniva stranamente negata o rimbalzata tanto da costringere gli stessi a dover vagliare la necessità di curarsi oltre i confini regionali. Il documento, come anticipato dall’emittente pubblica regionale, svela qualcosa di più.
Con riguardo specifico alla mobilità per Pet (tomo-scrinigrafia globale corporea) nel 2019 sono state erogate 8.373 prestazioni di cui solo il 54% in Calabria. «Si evidenzia la presenza di un punto di erogazione regionale (Ao “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro) che eroga prestazioni pur non essendo dotata della tecnologia adeguata. Accanto a ciò – riporta la relazione – dalla disomogenea performance prestazione dei centri di erogazione delle altre Ao, appare evidente un utilizzo non pieno delle apparecchiature e dei servizi».
Premesso questo, per la Regione «una prima conclusione operativa suggerisce la necessità di intervenire innanzitutto sul versante del pieno utilizzo delle strutture pubbliche regionali razionalizzando il sistema dell’offerta con il pieno utilizzo delle apparecchiature ed intervenendo sulla carenza di personale specializzato ove necessario». Ma soprattutto – ed è qui che il fenomeno assume sfumature oscure, la Regione chiede una verifica «su eventuali condizionamenti dell’offerta sanitaria»
Di fatti, sempre nella relazione presentata dalla Regione si legge che «nel 2019 sono stati effettuati fuori dal territorio regionale 53.866 ricoveri ordinari di cittadini residenti in Calabria, pari al 27,99 per mille abitanti. L’andamento della migrazione non è omogeneo nel territorio regionale, registrandosi valori più alti nelle Asp di Confine (appunto Cosenza e Reggio, ndr), rispetto all’area centrale della Calabria».
Le economie investite dai cittadini calabresi andati a curarsi fuori regione sono confluite per la maggior parte in Lombardia, dove si registrano 11.478 ricoveri (sempre con riguardo al 2019). Seguono il Lazio (8.695), l’Emilia Romagna (5.830) e la Sicilia (4.972). Proprio quest’ultimo dato – comunque «legato a fenomeni di confine» – è quello che desta maggiori perplessità se si considera che nella provincia di Reggio Calabria il numero dei pazienti andati a curarsi fuori regione supera di gran lunga quello delle cure e dei ricoveri eseguiti entro i confini.
In termini di reparti e cure specifiche si va dai 7.146 ricoveri in Chirurgia generale (per un costo di oltre 31 milioni di euro) ai 5.704 in Ortopedia e Traumatologia, 3.570 in Ostetricia e Ginecologia e ben 2.180 per Oncologia. Basti pensare che l’ammontare delle cure summenzionate «assorbe oltre il 30% di tutti i ricoveri fuori regione, sia in termini assoluti che di valore tariffario (16.420 casi di ricovero ed un valore di oltre 69 milioni di euro)».
L’analisi dei numeri e delle cure elargite dalle singole Asp consentono di meglio articolare l’analisi descrittiva del fenomeno migratorio fornendo «gli elementi utili ad una riflessione più approfondita dei fenomeni che ne stanno alla base». In tal senso la Regione mette sul banco delle verifiche non soltanto l’eventuale sussistenza di domiciliazioni temporanee oltre il confine o la carenza quali-quantitativa dell’offerta nel Presidi delle Asp e nelle Aziende Ospedaliere nostrane, quanto anche la possibile «presenza di fenomeni opportunistici da intercettare e presidiare». La sproporzione dei numeri, in altri termini, farebbe pensare a possibili interessi occulti che portano taluni soggetti a dirottare i pazienti in altre regioni lucrando sulla migrazione delle cure. (redazione@corrierecal.it)
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