Per molti cittadini calabresi il termine “bonifica” sembra evocare tempi ormai passati, fatti stantii che odorano di muffa, così come i consorzi di bonifica appaiono inutili orpelli dell’organizzazione di uno Stato vecchio.
Eppure, in altre regioni d’Italia la bonifica è considerata strategica per l’economia del territorio. A leggere la normativa regionale calabrese si comprende quanto sarebbe importante operare correttamente la bonifica integrale, qualificata come «Fondamentale azione di rilevanza pubblica di Assetto del territorio e delle sue risorse; Sviluppo, tutela e valorizzazione del territorio rurale e degli ordinamenti produttivi rurali e loro qualità; Approvvigionamento tutela e regolazione delle acque irrigue; salvaguardia ambientale». La stessa legge regionale n. 11 del 2003 ci dice che tali attività dovrebbero essere programmate dalla regione ed «affidate in concessione ai consorzi di bonifica che provvedono alla loro progettazione, realizzazione e gestione».
Sappiamo che la gestione del territorio è parte importantissima dell’agire pubblico; senza programmazione è impossibile gestire aree urbane al pari di quelle rurali. Sappiamo anche che non è possibile sviluppare agricoltura produttiva senza irrigazione, o che non è possibile prevenire il dissesto idrogeologico senza predisporre il territorio. Ancora, bisognerebbe imparare che non è possibile affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici senza prepararci, ad esempio realizzando i necessari invasi per conservare l’acqua piovana, che precipita ormai troppo in fretta per ricaricare sufficientemente le falde. Si potrebbe continuare per intere pagine.
Eppure la legge regionale calabrese sulla bonifica individuerebbe un preciso percorso per la gestione della bonifica incaricando della fondamentale attività di programmazione annuale e pluriennale un Comitato Tecnico per la Bonifica – da istituire con decreto del Presidente della Giunta Regionale, per come statuito all’art. 5. Tale comitato avrebbe, per legge, il compito di predisporre la programmazione delle opere di bonifica per conto dell’assessorato all’agricoltura della regione. L’assessore, per il tramite dell’assessorato, a sua volta, dovrebbe sottoporre la programmazione alla commissione consiliare competente, che dopo l’approvazione dichiara la pubblica utilità delle opere. Si tratterebbe dunque di un circuito virtuoso che costringerebbe consorzi di bonifica – e con loro i Comuni – comitato tecnico per la bonifica, Province, assessorato, assessore e consiglio regionale ad una costante e continua attività di programmazione, revisione e riprogrammazione delle opere di bonifica.
Avuta contezza dell’importanza delle opere di bonifica per vastissime aree rurali della Calabria, si comprende come la programmazione varrebbe miliardi di euro in opere pubbliche ogni anno e metterebbe la regione stessa e per essa i consorzi nelle condizioni di utilizzare enormi somme per opere idrologiche, comprese naturalmente quelle del futuro Recovery Plan. Come si vede, c’è poco di stantio nella bonifica integrale, ed anzi, c’è grande parte dello sviluppo delle aree rurali calabresi, con ricadute produttive e di qualità della vita in vaste aree regionali, oltre che direttamente sul prodotto interno lordo.
Purtroppo, non si ha alcuna contezza di riunioni del Comitato Tecnico per la Bonifica perché non si è mai riunito, quindi non ha mai richiesto la programmazione annuale e pluriennale dei singoli consorzi. Il ciclo virtuoso disegnato dalla legge regionale del 2003 per la bonifica integrale non ha mai dispiegato i propri effetti.
Si può affermare che dalla fine dell’operatività della Cassa per il Mezzogiorno, cioè dagli anni ’80, larghissime aree rurali del territorio regionale sono state totalmente prive di programmazione, soprattutto per la mancata attuazione della legge regionale di riforma della bonifica, ancora inattuata in larga parte.
Per avere contezza di quanto costa l’assenza della primaria attività di programmazione delle opere di bonifica, basterebbe avere coscienza di quante opere rurali (strade, acquedotti, dighe, caselli, centrali idroelettriche, sistemazione di opere idrauliche, scuole e perfino chiese, ecc. ecc.), sono state realizzate dai consorzi di bonifica calabresi grazie a quanto programmato dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Senza apparire nostalgici, la Cassa per il Mezzogiorno non è stata un’avventura fantastica, ma la fine degli anni 70 segna il momento in cui il divario, in termini di infrastrutture territoriali, fra il nord ed il sud Italia è stata minore. Ciò, in larga parte, per la capacità di programmazione maturata dall’ente sovra-regionale.
In Veneto, solo nel 2018 sono stati investititi oltre 2 miliardi in opere di bonifica. Quanto invece in Calabria?
Per concludere, concentrarsi solo sulla gestione dei consorzi di bonifica, che è l’ultima fase del ciclo di politica della gestione del territorio rurale, tralasciando le altre parti dell’agire pubblico, è come guardare la punta del dito senza vedere la luna.
Cui prodest la mancata programmazione?
La comunità consortile che non è stata in grado di valorizzare la propria attività o la distratta politica regionale? Certamente questo dato di fatto non giova al futuro della Calabria. Si tratta di una carenza che deve essere colmata, a grandi passi, nell’interesse immediato e diretto dei calabresi.
*Commercialista e revisore, già direttore generale Consorzio di bonifica
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