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«Il passato ci dice che non è mai troppo tardi»

di Teresa Benincasa

Pubblicato il: 17/04/2021 – 19:13
di Teresa Benincasa
«Il passato ci dice che non è mai troppo tardi»

La pandemia sembra aver rilanciato all’attenzione la Calabria, al di là della cronaca sui primati negativi riguardo il piano delle vaccinazioni e i posti in terapia intensiva. Lo dimostra il fatto che una qualificata rivista quale “Limes”, nell’ultimo numero presenti un articolo intitolato Il ponte sullo Stretto esiste già, si chiama Calabria (pp.153 – 164) di Lorenzo Noto.
Segnalarlo in questa sede ci sembra opportuno, non certo per ragioni di localismo territoriale, ma in quanto l’articolo di Noto mette all’attenzione del lettore alcuni spunti che meritano una riflessione.
Il dato di considerazione primaria è che tutto il ragionamento di Noto si svolge sul capovolgimento di un canone di lettura della questione calabrese che la condanna alla marginalizzazione sia nel contesto italiano come in un più ampio ambito geografico. Riconoscere al “Mezzogiorno italiano rinnovata centralità geostrategica” rappresenta, infatti, una prospettiva molto più adeguata ad una considerazione oggettiva delle opportunità spesso mortificate che invece il sud rappresenta per il Paese. Considerando, infatti, la Calabria come una piattaforma di collegamento con la realtà mediterranea, di cui certo è espressione la Sicilia, essa verrebbe considerata come una “Naturale testa di ponte tra l’isola maggiore nostrana e il resto del continente; il territorio calabrese sarebbe ideale connettore tra i mari Tirreno e Ionio, dunque indirettamente Adriatico. La presenza di solidi assi viari correnti l’Appennino calabro-lucano da ovest a est garantirebbe non solo di agganciare la strategica Sicilia, ma di interconnettere i maggiori scali del Meridione: Napoli, Bari, Taranto, Gioia Tauro e Augusta.
Naturalmente Noto non sfugge al problema per cui la Calabria è per lo più alle cronache, ossia la questione della ‘ndrangheta e sui motivi della sua ramificazione non solo in Italia, ma anche all’estero e sul tema fa una riflessione molto acuta sulla sua diversità rispetto ad altre mafie, poiché, a differenza di queste, “ovunque arriva non si limita a fare affari o a riciclare i propri soldi. Fa di più, riproduce senso e identità, rigenera il modello di comunità e i (dis)valori originari, insediando le proprie strutture criminali in un legame indissolubile con i vertici dell’organizzazione in Calabria.”
Si tratta di un’osservazione geopolitica e pure sociologica, ma ci sembra che si tratti di un rilievo politico importante; vale a dire che, per ragioni che sarebbe lungo qui ricordare, la ‘ndrangheta ha costituito una forma societaria di valori che ne costituisce la forza per la propria attività criminale, sovrapponendosi alla società vera, quella società civile che certo non manca in Calabria, ma altrettanto certamente non ha la soggettività propria di quanto si definisce come “forza civile.” E ciò riguarda un atavico e perdurante ostacolo nello sviluppo culturale diffuso, nell’arretratezza economica e nel modo di essere di un’organizzazione pubblica poco avvezza al “controllo sociale”. Ora, poiché lo sviluppo economico concepito nel quadro di una funzione mediterranea costituirebbe, inevitabilmente, una fattore di crescita culturale e di consapevolezza politica nonché di un definito “luogo” economico, ecco che, con tutto ciò, anche i dati civili si svilupperebbero portandosi dietro un conseguente sviluppo della società, non intesa solo come comunità territoriale, bensì come “civile” nel senso, per essere più chiari, di una “civitas calabrese” la cui identità si esprimerebbe secondo valori positivi e non certo malavitosi.
Altre questioni vengono trattate – per esempio quella, assai rilevante, del dissesto e degli scioglimenti dei Comuni – valorizzando la considerazione che una ridefinizione geopolitica della regione porta con sé anche quella delle politiche, non settorializzando le questioni, ma ricomponendo, in un insieme storico-politico-culturale, la questione calabrese.
L’autore ricorda, in chiusura, come nell’agosto 1860 Garibaldi sbarcò a Melito Porto Salvo iniziando, dopo i giorni della Sicilia, l’integrazione del Meridione nel nascente Stato unitario, proprio dalle coste calabresi: “Da quelle stesse terre che, mito vuole, venivano anticamente chiamate Italia.”
Nelle fasi di difficoltà anche le suggestioni storiche aiutano, ma mentre la caratteristica del mito è di rimanere eguale a sé stesso, in questo specifico invita al movimento e il passato ci dice che, veramente, non è mai troppo tardi.

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