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l’inchiesta

La caccia ai narcos globali della ‘ndrangheta nei server in Costa Rica

La tecnologia PGP appare nei verbali dei pentiti nel 2015. La svolta grazie a un database della polizia olandese. Così la Dda di Catanzaro ha beccato i broker del clan Gallace

Pubblicato il: 17/04/2021 – 7:30
di Pablo Petrasso
La caccia ai narcos globali della ‘ndrangheta nei server in Costa Rica

CATANZARO «Oggi ci sono i PGP. Arrivavano dall’Olanda, li portavano dall’Olanda… la famiglia dei Gallace, tramite Antonio Campanella, ce li facevano avere». Il pentito Antonio Femia parla del meccanismo utilizzato per criptare i messaggi in quattro interrogatori del 2015. Prova a ricostruire personaggi e contesto: «C’è una persona che io ho visto due volte, non so il nome, un personaggio che vive in Germania, l’ho visto due volte perché l’ultima volta che siamo andati a prendere telefoni che poteva vendere Campanella, ce li ha portati fino in Svizzera, fino a subito dopo la Svizzera che costavano tipo 1.500 euro questi con il PGP». 

Quegli strani BlackBerry a Guardavalle

Per venire a capo del sistema utilizzato dai narcotrafficanti di tutto il mondo passeranno anni. Il modus operandi è sofisticato e apparentemente impenetrabile. Sono gli investigatori della Dda di Catanzaro a ricostruirlo nell’inchiesta firmata dal procuratore capo Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dalla pm Debora Rizzo.  Il software utilizzato, appuntano, «rende impossibile che un intermediario fra mittente e destinatario possa giungere al contenuto del messaggio di origine». È un’anomalia ad attirare l’attenzione degli inquirenti: dallo studio dei tabulati di traffico telematico delle Bts (stazioni radio base) di Guardavalle emerge un utilizzo insolito di smartphone del tipo necessario a criptare le conversazioni. Si tratta di BlackBerry modificati e dotati di un software di cifratura che consente di comunicare in forma anonima grazie a caselle di posta elettronica accessibili soltanto dai dispositivi che rientrano nella rete PGP. L’incrocio dei dati permette di «accertare che molti degli apparati PGP» sono «riconducibili a soggetti che gravitano nel contesto della cosca Gallace» e «abbinati ad account e-mail i cui domini» sono «associati a un server» posizionato a San Josè, in Costarica. 

L’intervista al procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri a margine della conferenza stampa

La banca dati sequestrata dalla polizia olandese

Un confronto con i dati raccolti dalla polizia olandese arricchisce il mosaico: uno degli account utilizzati dagli appartenenti alla cosca Gallace (tcqr166@encryptedsmartphone.net) figura all’interno di una banca dati sequestrata che serve da guida allo sviluppo dell’inchiesta. La svolta investigativa avviene nel luglio 2018, quando gli olandesi forniscono alle autorità la copia informativa di circa 90mila messaggi di posta elettronica in lingua italiana sequestrati proprio sul server piazzato in Costarica e gestito dal sito internet PGP Safe.nl (un dominio olandese) che fornisce il servizio di comunicazioni e-mail criptato. 

La chiave per scardinare i traffici

Il “pacco dati” in arrivo dall’Olanda viene messo a disposizione delle due indagini gemelle sulla cosca Gallace (oltre alla Dda di Catanzaro lavora anche l’antimafia di Firenze). La chiave per scardinare i traffici del clan che si muove tra lo Jonio catanzarese e reggino sono le sessioni di messaggistica di Cosimo Damiano Gallace, nickname “Rolex”, con altri appartenenti all’associazione «che, oltre a confermare il pieno coinvolgimento degli indagati in traffici illeciti di sostanza stupefacente», offrono «importanti indicazioni sul “modus operandi” utilizzato». Da Cosimo Damiano si passa a Bruno Gallace. Saltano fuori così una ventina di dispositivi criptati: gli investigatori identificano l’identità di tutti i loro titolari tranne due, che agli atti dell’inchiesta rimangono (per ora) “Genova” e “Fonzie”. 

Il ruolo dei broker

È proprio seguendo il filo delle chat che i militari della Guardia di Finanza, coordinati dal colonnello Carmine Virno,  rilevano il tentativo di importare, dalla Colombia all’Italia, circa 200 chili di cocaina. L’operazione non va a a buon fine, visto che il carico va disperso durante le attività di recupero nelle acque antistanti il porto di Livorno, ma dalle conversazioni emerge il coinvolgimento del clan di Guardavalle. E di due broker le cui figure sono già emerse nelle inchieste sul narcotraffico internazionale: Francesco Riitano e Mario Palamara. È Palamara l’«iniziale committente del carico assieme a Leonardo Ferro (indagato nell’inchiesta della Dda di Firenze) e a un soggetto colombiano non identificato». In quel momento (tra aprile e maggio 2017), Palamara, latitante, si sposta tra Barcellona e Roma e gestisce il business trattando quantitativi e prezzo della coca. Organizza anche la forza-lavoro che dovrà recuperare la droga nel porto di Algeciras. Riitano, che vive tra Guardavalle e Arluno, in provincia di Milano, si occupa della logistica sul lato italiano ed è «accompagnato in ogni spostamento dal suo factotum Emanuele Fonti». Dalle conversazioni tra i protagonisti gli inquirenti ricostruiscono la «complessa macchina organizzativa per effettuare il recupero» della coca «in terra ligure, nonché per la raccolta del denaro necessario per il pagamento». La droga, contenuta in un container a bordo della motonave “Fleur N”, non arriverà a destinazione. Oltre 130 chili saranno ritrovati in diversi zaini tenuti a galla da due taniche vuote e trascinati dalla corrente sulla spiaggia tra la Terrazza Mascagni e i Bagni Pancaldi a Livorno. (p.petrasso@corrierecal.it)

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