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Maria Antonietta Rositani: «La mia storia è il simbolo di quello che non deve accadere più»

«Le donne hanno bisogno di certezze per denunciare». Lo dice la vittima di Ciro Russo, l’ex marito che tentò di ucciderla dandole fuoco a marzo 2019

Pubblicato il: 08/06/2021 – 10:34
Maria Antonietta Rositani: «La mia storia è il simbolo di quello che non deve accadere più»

REGGIO CALABRIA Prevista per questa mattina la prima udienza del Processo d’Appello per Ciro Russo, che nel marzo del 2019 tentò di uccidere la ex moglie Maria Antonietta Rositani dandole fuoco. Russo è già stato condannato in primo grado a 18 anni di carcere per il barbaro delitto commesso. «Questi uomini devono essere messi ko, se si istituiscono pene pesanti per i reati di violenza sulle donne ci penseranno due volte prima di tentare di ucciderle». Interviene così Maria Antonietta Rositani negli studi di Buongiorno Regione, dove racconta il suo stato d’animo in vista dell’inizio del Processo d’Appello. «Oggi dovrò rivedere colui che credevo fosse il mio compagno di vita e che si è poi rivelato il mio aggressore, mi dà forza sapere che sarà fatta giustizia». Parole di fiducia quelle di Rositani, che a due anni dall’incidente è sottoposta ancora a numerose e specializzate cure: «Non posso dire di stare bene – afferma con accennato sorriso – ma la mia storia deve essere il simbolo di quello che non deve accadere più». La mattina dell’11 marzo 2019 Russo riuscì ad evadere i domiciliari e a percorrere l’autostrada fino a Reggio Calabria, senza essere fermato da nessuno. Quando arrivò a destinazione cosparse l’auto dell’ex moglie di benzina tentando di toglierle la vita. Maria Antonietta ne uscì viva, col corpo interamente coperto da ustioni e con un ricovero d’urgenza al centro di Bari durato 8 mesi, al quale seguì una serie non ancora conclusa di terapie. Ricordi tragici che fanno male, ma che Rositani non smette di raccontare perché le cose devono cambiare «affinché le denunce siano più efficaci ed abbiano davvero una funzione di prevenzione».

«Le donne hanno bisogno di certezze per denunciare»

«La mia storia è un delitto annunciato – afferma – io avevo già segnalato alle autorità mio marito per i continui maltrattamenti e per i suoi insistenti tentativi di contattarmi per telefono dopo che era finito ai domiciliari». Denunce fatte con coraggio ma che purtroppo non non finirono all’attenzione del magistrato, rimanendo archiviate in un cassetto e lasciando spazio alla furia omicida di Russo. «Non è stato facile per me chiedere aiuto alle forze dell’ordine, e purtroppo non sempre ho trovato le reazioni che mi aspettavo». Rositani parla dell’incidente che le ha sconvolto la vita e descrive gli antefatti come dei veri e propri avvertimenti del delitto che però non sono stati capiti. Pone l’attenzione sull’importanza della prevenzione e dell’adeguamento delle leggi e allo stesso tempo evidenzia che c’è una battaglia culturale ancora da intraprendere. «Quando trovai mia figlia coperta di sangue perché malmenata da mio marito chiamai subito i carabinieri, ma in quell’occasione il maresciallo disse a mia figlia “Capita che un padre dia degli schiaffoni ai suoi figli” io rimasi inorridita e risposi “le botte alla madre è giusto darle?”». Tanta l’amarezza di Rositani per una mentalità che deve essere a tutti i costi superata, la violenza di genere deriva proprio da «un’educazione improntata sulla “superiorità” dell’uomo che tende a sopraffare la donna». «Ricordiamoci – conclude Rositani – che questi uomini coi loro comportamenti danno sempre degli avvertimenti prima dei loro gesti efferati, segnali che a volte vengono confusi con la gelosia o addirittura con la premura. Sono invece chiare espressioni di possesso che possono sfociare in violenza, ma bisogna insegnare, soprattutto ai più giovani, che l’amore non è possesso ma libertà». (a.col.)



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