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Calabria in fuga dalle urne

Poco più di sei cittadini su dieci si reca a votare per le Politiche. Ancora peggio ad Europee e Regionali: qui non si raggiunge la maggioranza. De Luca: «Antidoto nella “sanificazione” dei partiti»

Pubblicato il: 20/06/2021 – 11:06
di Roberto De Santo
Calabria in fuga dalle urne

CATANZARO È una frattura netta, un solco profondo che con il tempo si sta divaricando sempre più. Un fenomeno che al Sud e in Calabria in particolare sta prendendo le sembianze di un vero processo di disincanto che scuote le basilari norme che stanno a pilastro della democrazia elettiva: le consultazioni elettorali.
Numeri alla mano l’astensionismo, tornata elettorale dopo l’altra, sta assumendo infatti i contorni del tracollo. Una cartina al tornasole della distanza siderale che sta separando il popolo-elettore dalla classe politica. Quella, cioè, che sempre più viene considerata una casta autoreferenziale. Così in un progressivo e quasi inesorabile processo di sfiducia, nei decenni intere fette di cittadini – soprattutto al Sud con la Calabria che non fa affatto eccezione – si sono allontanate dalle urne. Una sfiducia fotografata dal 53° Rapporto Censis che l’ha definita «il suicidio in diretta della politica italiana» e che si manifesta in numeri da capogiro tra la popolazione italiana. Oltre due terzi (per l’esattezza il 76%) degli italiani non nutre fiducia nei partiti politici. Un tasso che s’impenna (89%) se ad essere interrogati sono le fasce più deboli quelle cioè dei disoccupati o degli operai (81%). A dimostrazione che il meccanismo del consenso è in caduta libera e che coinvolge soprattutto la parte bassa della scala sociale. Aprendo addirittura a soluzioni tutt’altro che democratiche.


Nello stesso rapporto emerge infatti uno spaccato molto largo di soggetti che sono favorevoli ad “un uomo al potere” che «non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni». Se a questa soluzione si dice pronta circa la metà degli italiani (48,2%), la quota sale al 67% tra gli operai, i soggetti meno istruiti (62%) e le persone con bassi redditi (56,4%).
Numeri che potrebbero così giustificare quel tracollo di partecipazione politica ed elettorale che stanno registrando le varie consultazioni popolari con una spiccata propensione a disertare quanto si è chiamati a scegliere i presidenti di Regione ed i rispettivi membri dei Consigli regionali. Come ad indicare che la popolazione non crede nella capacità delle classi politiche locali ad affrontare e risolvere i problemi di sviluppo e crescita della propria regione.
Una disillusione che si tramuta in una discesa da capogiro per il crollo di partecipazione in pochi decenni. Si è passati in Italia per le Regionali da quota 92,5% del 1970 ad un tasso di presenza alle urne poco superiore alla metà (per l’esattezza 52%) degli aventi diritto nella tornata del 2018.

In caduta libera anche il tasso di partecipazione alle Europee in Italia che dal 85,7% di persone che si sono recate alle urne nel 1979 è crollato al 56,3% del 26 maggio 2019. Dalle analisi compiute dall’Istituto Cattaneo di Bologna è emerso ancora una volta che per quelle che vengono definite «elezioni di secondo ordine» – regionali ed europee, oltre alle Comunali, rientrano in questo spaccato – si registra un fenomeno di astensionismo più marcato rispetto alle elezioni politiche che finora nella storia repubblicana dell’Italia non ha mai superato il 30%.
Viceversa, segnalano gli analisti dell’Istituto che dal 1965 valuta dati per comprendere i comportamenti degli italiani, «tanto alle Regionali quanto alle Europee, gli elettori che si recano ai seggi sono ormai in egual numero degli elettori che preferiscono non farlo» tanto che «il tasso di partecipazione è sempre più vicino alla soglia critica del 50%».
Non eludono questa patologia democratica neanche le consultazioni politiche che – come evidenziato prima – però vede ridursi l’affluenza alle urne in maniera minore. Ma non per questo meno preoccupante. Confrontando i dati di tutte le competizioni elettorali che si sono registrate dall’inizio della Repubblica ad oggi, la curva si è praticamente inclinata. Se nel 1970 – valutando solo questi ultimi cinquant’anni – 93,2 aventi diritto al voto si sono recati alle urne alle ultime politiche – datate 4 marzo 2018 – quella soglia si è abbassata al 72,9%.
Anche qui con grandi differenze territoriali.  Infatti se la zona geografica del Centro-nord resta quella a più alta partecipazione, il Meridione (seppur in tenuta rispetto a 5 anni prima) continua a registrare maggiore astensionismo.
Se al numero di quanti non si sono recati alle urne si somma anche quanti non hanno espresso alcuna preferenza o hanno annullato la scheda (tre categorie definite del Censis come il popolo dei non votanti), la percentuale nazionale sale al 29,4%. Anche qui con un’enorme distinzione. Se nel Nord-ovest del Paese la percentuale è pari al 26,5% e nel Nord-est al 24,5% e nel Centro al 27,1%, nel Mezzogiorno il popolo dei non votanti sale ben oltre un terzo degli aventi diritto: 35,5%.
Quasi a significare che la validità di ricorrere alle urne è inversamente proporzionale alle convinzione tra la popolazione che possa essere risolutiva delle problematiche di sviluppo dei territori: maggiore è il livello di ritardo, minore è il numero di soggetti pronti a scommettere (votando) nel cambiamento politico.
Una sorta di termometro della popolazione del Sud sulla propria disillusione verso la classe politica.

La disaffezione al voto in Calabria

Fonte: dati Ministero dell’Interno – rielaborazione Unical

Passando in rassegna i dati delle competizioni elettorali che hanno chiamato i calabresi alle urne, emerge con ancor più chiarezza questo sentimento di disaffezione al voto. Un sentimento che si percepisce – seppur in misura minore – anche nelle tornate elettorali che attraggono maggiore attenzione in Italia: le politiche.
Nel 2018 la Calabria ha fatto registrare il tasso di partecipazione a quella consultazione pari al 63,6% (in crescita di appena 0,4%).  Un dato che pone la Calabria al penultimo posto – preceduto solo dalla Sicilia – nella classifica italiana dei votanti. Al di sotto cioè della media delle regioni del Sud Italia (66,5%) e molto lontana da quella nazionale (72,9%).
Ma non è un’eccezione, anzi. Alle consultazioni di cinque anni prima la Calabria era addirittura ultima con il 63,2% dei votanti. In quell’occasione la distanza era ancora maggiore visto che nel 2013 in media il 75,2% in Italia si erano recati alle urne. 
Ma il vero spaccato della distanza tra i cittadini calabresi e le urne si delinea nelle competizioni europee e regionali. Alle ultime consultazioni per il rinnovo del Parlamento europeo del 2019, solo 44 elettori calabresi su cento sono andati ai seggi: peggio hanno fatto solo i sardi e i siciliani che rispettivamente hanno varcato la soglia delle sezioni in 36,2 e 37,5.
Ma se l’astensionismo alle Europee potrebbe essere “giustificato” dalla percepita distanza dalle istituzioni comunitarie, diversa è la valutazione dei dati inerenti le competizioni regionali. Anche qui la Calabria fa registrare numeri altissimi di astensionismo. Alle elezioni regionali del 2020 su 1.895.990 aventi diritto al voto andarono a votare 840.563 pari al 44,3%. Un numero decisamente basso – anche se corretto con la stima dei residenti effettivi in Calabria che porta quel tasso al 54,5% – che segna la reale disaffezione della popolazione nei confronti della classe politica locale. Ma c’è di più come elemento di riflessione e che mina alle basi la rappresentanza stessa degli eletti.

Jole Santelli con Antonio Tajani nel corso della conferenza stampa dopo la vittoria alle Regionali del 2020


Se si consideri, infatti, che la compianta Jole Santelli con 449.705 voti  ottenne la vittoria – grazie alla maggioranza dei votanti pari al 55,29% –  in realtà in termini di rappresentanza questo si è tradotto in appena il 23,7% dei calabresi. Elemento di riflessione ben sintetizzato dal grido d’allarme sullo stato di salute della nostra democrazia rappresentativa, lanciato da Federico Fornaro, nel suo saggio “Fuga dalle urne: astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 a oggi”. «Al di là delle argomentazioni teoriche (fondamentali per inquadrare o meglio comprendere i caratteri del fenomeno dell’astensionismo) – scrive – resta, comunque, una realtà incontrovertibile: una ridotta partecipazione elettorale non rappresenta soltanto un segnale di disaffezione nei confronti del sistema politico e dei partiti, ma può determinare a lungo andare una progressiva (e pericolosa) delegittimazione delle istituzioni democratiche».

De Luca: «C’è poca fiducia nei politici. Occorre “sanificare” i partiti»

Roberto De Luca, ricercatore di Sociologia dei fenomeni politici al dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria, è responsabile dell’Osservatorio Politico-Istituzionale dell’Unical. Il docente delinea i contorni di quella che definisce la «crisi della classe politica» della regione. Uno degli elementi che stanno alla base della disaffezione dei calabresi ad andare alle urne.

Roberto De Luca, ricercatore di Sociologia dei fenomeni politici
Roberto De Luca, ricercatore di Sociologia dei fenomeni politici

Professore nel corso degli anni, con un’accentuazione negli ultimi, si sta assistendo ad un progressivo crollo della partecipazione al voto dei calabresi. Più che in altre regioni. A cosa è dovuto?
«Non recarsi a votare è senz’altro un indicatore della disaffezione dei cittadini verso la politica. Se un tempo l’astensione poteva essere letta come una dichiarazione di protesta verso i partiti, l’interpretazione attuale da assegnare ai tanti astensionisti è quella di un disinteresse per la politica, una perdita di fiducia nei partiti e nei politici. La disaffezione alla politica e al voto è in costante aumento, non solo in Italia, e in alcune elezioni si manifesta con evidenza. In Calabria, in particolare, in alcune elezioni i livelli di partecipazione molto bassi, rispetto al dato nazionale, stanno sicuramente ad indicare il “disinteresse” per quella specifica elezione e, quindi, per la politica».

I dati indicano che l’astensionismo colpisce soprattutto il voto alle Regionali. Perché questa differenziazione rispetto alle Politiche?
«La partecipazione alle elezioni dipende dalla cosiddetta “posta in gioco”. La conquista del governo nazionale viene ritenuto sicuramente più importante del governo regionale e questo spiega i maggiori livelli di partecipazione nelle elezioni politiche. E sono le campagne elettorali – e la televisione – che determinano questa maggiore importanza della posta in gioco per le elezioni politiche e il coinvolgimento dei cittadini. Le campagne elettorali delle regionali, invece, hanno una limitata diffusione mediatica, tale da coinvolgere l’intero corpo elettorale. Né l’attività dei comitati elettorali dei candidati, che hanno sostanzialmente sostituito l’organizzazione dei partiti nelle campagne elettorali, riesce ad intercettare la gran parte degli elettori. Se fino al 2010, le elezioni regionali si svolgevano nella stessa data per le 15 regioni a statuto ordinario e ciò aveva una rilevanza mediatica nazionale, oltre che politica, le ultime due elezioni regionali in Calabria, nel 2014 e 2020, si sono svolte in contemporanea solo con la Regione Emilia Romagna. Il conseguente scarso rilievo dato dalla televisione nazionale alle regionali della Calabria (per le regionali del 2020 è stata assegnata, invece, una rilevanza “nazionale” all’esito del voto in Emilia e il conseguente ritorno in massa alle urne degli elettori di quella regione) ha determinato poco interesse dei calabresi. A ciò si aggiunga, evidentemente, la poca fiducia che i calabresi assegnano alla politica – e ai politici – della regione».

Si parla di mancanza di fiducia nella classe politica calabrese. In altre parole è in crisi la credibilità dell’intera proposta politica a invertire le sorti socio-politiche della Calabria. Quanto c’è di vero?
«La crisi dei partiti è soprattutto la crisi della classe politica. In Calabria, anche a giudicare dalle ultime vicende che stanno determinando gli schieramenti in campo nelle elezioni di ottobre, questa crisi è più che evidente. Lo svolgimento dell’elezione non è un evento che accade improvvisamente. Anche nello sfortunato ultimo caso della Calabria, c’era il tempo necessario a preparare candidati e programmi per farli conoscere agli elettori, soprattutto a coloro che hanno questa sorta di “pregiudizio”, o la convinzione, nei confronti della classe politica calabrese. Ma ancora noi calabresi abbiamo poche certezze sulla proposta per le regionali di ottobre, cioè dopo il silenzio estivo della politica. La mancanza di fiducia nella classe politica calabrese, soprattutto in coloro che sono al governo regionale, risulta palese nell’espressione del voto ad ogni tornata elettorale con la perfetta alternanza fra chi ha governato e chi è stato all’opposizione che diventa, a sua volta, maggioranza di governo. L’alternanza al governo, attraverso il consenso, è determinata più dal giudizio sull’operato del governo uscente che per la bontà della proposta dei nuovi governanti. E in questo gioco dell’alternanza di governo rimangono fuori dalla partecipazione, via via, quei cittadini che hanno perso ogni fiducia nella politica».

In questo senso l’astensionismo diffuso in Calabria è sintomo anche di una sorta di crisi del modello democratico?
«La mancata partecipazione al voto, quasi sempre, è generato dalla sfiducia nella politica e nel funzionamento del modello democratico. L’astensionismo, spesso, viene utilizzato per misurare la distanza fra cittadini e istituzioni. In Calabria, in molte tornate elettorali, questa distanza fra cittadini e istituzioni sembra enorme. Vi sono state, e si registrano ancora, occasioni in cui i cittadini calabresi sembrano essere maggiormente coinvolti nella democrazia elettorale. Ad esempio, nelle elezioni politiche del 2018 la partecipazione in Calabria, in controtendenza con il dato delle regioni del centro e nord Italia, è aumentata rispetto al 2013, grazie ai consensi ottenuti dal M5S che è riuscito a mobilitare diversi calabresi che hanno ritrovato in questo movimento una nuova fiducia nella politica. Altro esempio lo possiamo ricavare dagli esiti delle elezioni comunali quando, soprattutto al primo turno nei comuni superiori ai 15mila abitanti, la partecipazione supera – e di molto – addirittura quella delle elezioni politiche. Ciò è conseguenza della presenza nelle liste di tanti candidati consiglieri, fra i quali ce ne sarà sicuramente qualcuno conosciuto e di cui ci si fida. A titolo di esempio, nelle comunali di Cosenza del 2016 votarono quasi 7mila elettori in più rispetto alla Camera del 2018; a Catanzaro nelle comunali del 2017 si registrarono oltre 8mila elettori in più rispetto al 2018. Quindi, quando la politica e l’amministrazione del comune, in questo caso, è prossima ai cittadini, attraverso i candidati, vi è la risposta, con la fiducia, degli elettori. Ma il modello delle comunali non è trasferibile in ambito regionale e nazionale. In Calabria, a giudicare sui dati molto differenti della partecipazione nelle diverse elezioni, sembra che sia molto praticato un astensionismo “intermittente”, cioè l’elettore si reca a votare solo per quelle elezioni per le quali ha un interesse».

Le Regionali in Calabria registrano numeri sempre minore di partecipazione

E poi c’è anche una questione aperta della mancanza di rappresentatività. Con le Regionali alle porte chiunque si appresterà a governare la Calabria lo farà con un consenso comunque minoritario?
«Ai motivi ai quali abbiamo accennato prima, per questa elezione regionale, si aggiungono altre questioni che, probabilmente, terranno altri elettori lontani dalle urne. La crisi pandemica, probabilmente, ha contribuito alla pessima immagine della politica nella nostra regione. Le carenze strutturali della nostra sanità, il balletto delle nomine dei commissari, la gestione della crisi pandemica, hanno sicuramente ingenerato in tanti calabresi la convinzione di una limitata capacità della politica di interessarsi e risolvere le questioni che riguardano la vita dei cittadini. Quindi, si prevede un aumento dell’astensionismo che comporterà per lo schieramento che uscirà vittorioso dal voto di essere in netta minoranza rispetto a tutti i calabresi, fra coloro che hanno votato una lista perdente e coloro che non si sono assolutamente espressi. In queste condizioni, sarà molto difficile governare con la maggioranza dei cittadini che si sentono distanti dal palazzo del governo (e come d’altra parte ci dimostra l’esito elettorale con la perfetta alternanza). Ai problemi della rappresentanza, aggiunge un ulteriore ostacolo il sistema elettorale con un’alta soglia di sbarramento, 8% per le coalizioni o per le liste che corrono da sole. Nell’ultima tornata, la soglia di sbarramento ha fatto sì che più di un 15% di calabresi, che pure avevano votato, non ha ottenuto alcuna rappresentanza in consiglio».

C’è un dibattito aperto in Italia sul voto ai fuori sede. Una questione particolarmente importante per una regione come la Calabria che registra un alto numero di soggetti che vivono fuori dai confini. La ritiene che possa contribuire ad una partecipazione maggiore dei calabresi al voto?
«La Calabria, fra studenti e lavoratori, ha un alto numero di fuori sede che non ritornano a casa, in occasione della tornata elettorale, per esprimere la loro preferenza politica. Dal punto di vista normativo, sarebbe molto complicato consentire il voto ai fuori sede e, comunque, ritengo che non sarebbero molti a beneficiare di una tale opportunità. Molti dei “fuori sede”, infatti, non ritornano a casa per votare perché non trovano le giuste motivazioni nella politica. La sfiducia nella politica è una caratteristica di molti giovani e i fuori sede – per studio o lavoro – sono in gran parte giovani».

L'astensionismo in Calabria è a livelli altissimi
L’astensionismo in Calabria è a livelli altissimi

Al di là della proposta, ritiene che l’astensionismo sia un fenomeno irreversibile per la nostra regione o viceversa ci sarebbero elementi che potrebbero invertire questa tendenza?
«Da tempo la partecipazione elettorale in Italia e in Calabria, ma anche nelle altre democrazie occidentali, è in costante calo. Determinate condizioni, quali, ad esempio, l’importanza della posta gioco nelle elezioni, possono fermare il fenomeno. L’abbiamo visto nelle ultime presidenziali degli Stati Uniti con un importante aumento della partecipazione, ma anche in Calabria, come abbiamo detto prima, nelle politiche del 2018. Se l’astensionismo è, dunque, effetto del disinteresse per la politica o, peggio, dell’antipolitica, è necessario per fermarlo che la politica, attraverso i suoi attori, si prenda la scena riappropriandosi delle sue peculiari funzioni. E, in primo luogo, i principali soggetti della politica e della democrazia rimangono i partiti politici. La crisi di partecipazione e di rappresentanza in Italia e in Calabria è andata di pari passo con il declino dei partiti politici, intesi come soggetti collettivi e luoghi del confronto e di raccolta delle istanze dei cittadini. Un processo di “sanificazione” dei partiti potrebbe scaturire da un ceto politico eletto competente, e “appassionato”, che compia scelte efficaci che abbiano una concreta ricaduta sulla qualità della vita dei cittadini. In Calabria, se ci guardiamo intorno, possiamo cogliere tanti esempi di buoni politici ed amministratori. Sono i sindaci e gli amministratori che, caricandosi di responsabilità, anche eccessive rispetto al loro ruolo, lavorano con passione (il senso della politica) per la propria comunità. I partiti, per la loro rinascita e non solo in Calabria, dovrebbero partire proprio da questi amministratori, interpreti del senso della Politica». (r.desanto@corrierecal.it)

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