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«Aspromonte. I roghi servano al progetto non alle polemiche»

Erano morti da una settimana. Non lo sapevano. Zia e nipote, di San Lorenzo, hanno cominciato a morire quando nelle campagne basse intorno a Reggio si è acceso un falò, piccolo, che se ne è andato…

Pubblicato il: 08/08/2021 – 16:12
di Gioacchino Criaco
«Aspromonte. I roghi servano al progetto non alle polemiche»

Erano morti da una settimana. Non lo sapevano. Zia e nipote, di San Lorenzo, hanno cominciato a morire quando nelle campagne basse intorno a Reggio si è acceso un falò, piccolo, che se ne è andato a zonzo pressoché indisturbato. È diventato incendio, ha incominciato a divorare gli alberi, il bosco. Poi è diventato un mostro. Si è mangiato tutto. Pure due vite in attesa, che non potevano immaginare di diventare la parte più dolorosa del disastro. Certo, se il fuoco fosse stato spento subito, ora staremmo tutti sereni a goderci l’estate. Mica è la prima volta di un incendio, è sempre accaduto così. Mancano, sono insufficienti, i rimedi e anche le cose partite piccole si trasformano in disastri umani. I l’ho detto, le avvertenze, le denunce, sono pane facile da mettere sotto i denti. Tutti siamo in grado di essere profeti: come buttarsi a mare senza saper nuotare. Si annega. L’Aspromonte è un forziere carico di tesori, circondato dai banditi, difeso da un sorvegliante che ha solo una fionda. Si sa già che sarà depredato. Accade periodicamente. Dopo, i banditi attendono che si accumulino altre gioie e ripartano all’assalto. Pratiche miracolose non esistono, Così, ogni tot anni assistiamo a un nuovo grande rogo. Rifacciamo profezie, polemiche. E continuiamo a lasciare un solo sorvegliante, con la sua inutile fionda in mano. Questo è: sessantamila ettari difesi da uno sparuto gruppo d’indiani. Possiamo dire, accusare, consigliare. Ma questo è e questo rimane. Aumentano i pirati che assaltano la nave, per motivi vari e noti. Aumentano i coglioni che sottovalutano il potere del fuoco, che pensano di controllare un falò di pulizia con un ramo d’ulivo. Solo dei fessi o degli illusi si prendono responsabilità di difesa di tale grandezza, con un panorama di nemici così vasto. L’Aspromonte, come i nostri due fratelli di San Lorenzo, ha cominciato a morire tanto tempo fa: quando è stato spopolato, irrimediabilmente; quando, nell’84, hanno bloccato le assunzioni alla forestale, gli operai si sono trasformati in clientes, hanno accettato di ricevere lo stipendio a casa senza neppure sapere dove fosse più la montagna. L’Aspromonte ha cominciato a morire quando non sono stati costruiti gli invasi per raccogliere l’acqua, quando non si sono approntate più le fasce per isolare il fuoco. Quando si è smesso di pulire il bosco. L’Aspromonte ha cominciato a morire quando sono state smantellate le guardie forestali, un esercito di uomini della montagna si è rivestito con i panni dei carabinieri che, non per colpa loro, sono altra cosa. L’Aspromonte ha cominciato a sparire quando sono stati messi in fuga i pastori veri, al loro posto sono arrivati quelli che vivono di sussidi europei e le capre le osservano dai pick up. L’Aspromonte è cominciato a morire quando invece dei camminatori, in montagna, si sono portati a spasso i turisti. Quando da luogo dell’anima si è provato a trasformarlo in posto della scialata. L’Aspromonte ha cominciato a morire quando abbiamo preso, quasi tutti, a tradirlo. Lunghe pause per la ricrescita della macchia, non soluzioni virtuose e definitive, e agguati subitanei, vigliacchi. L’Aspromonte ha cominciato a morire… Ma l’Aspromonte non è ancora morto, per merito di lei, di Mana Gi, e di pochi, suoi, bravi figli. E non è tempo di polemiche, di vendette. Non è tempo di chiacchiere. È il tempo di partire da un lutto per costruire un progetto, per costruire un esercito a difesa del forziere, per fare di una cartolina una risorsa per i propri figli. Su questo si misurerà il nostro essere traditori o no.

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