SAN FERDINANDO Parlare degli insediamenti di migranti sparsi per la zona industriale e le campagne della Piana di Gioia Tauro è divenuto negli anni un esercizio di retorica. È il pensiero di quanti, almeno dal 2010 ad oggi, si sono spesi per restituire dignità alle persone stipate in quei luoghi. “I dannati della terra”, come li definiva un report di Medici per i diritti umani (Medu) o “gli invisibili” nelle accezioni legate all’attività di raccolta agricola, principale motivo e causa per cui i migranti sono arrivati, rimasti o tornati nella Piana. La storia, anno dopo anno, si è ripetuta in forma ciclica dalla così detta “rivolta di Rosarno” fino ai giorni nostri. Per quanto le iniziative – finanziarie e umanitarie – non siano mancate, l’approccio al problema non è riuscito ad emanciparsi dal piano dell’emergenza a quello delle soluzioni strutturali e di lungo periodo.
La tendopoli nella seconda zona industriale di San Ferdinando negli ultimi anni è diventata il simbolo di luoghi dei quali si parla sempre solo a ridosso delle tragedie consumate o sfiorate. L’ultima, in ordine di tempo, è rappresentata dal rogo della notte di Capodanno. Dopo il progressivo smantellamento delle tende iniziato ad agosto 2020 su impulso del Comune, l’insediamento, di fatto passato da formale a informale, è regredito in baraccopoli. Venti di quelle baracche fatte di legno, lamiere ed altri materiali di fortuna hanno preso fuoco. «È stata messa a rischio la vita di oltre mille persone. – ha scritto l’associazione NoCap allegando le immagini degli “scheletri” delle baracche – Nelle scorse settimane, noi abbiamo potuto offrire una alternativa a 30 braccianti, spostandoli da quel luogo di degrado. È inaccettabile che, nonostante tutte le risorse investite negli ultimi anni, esistano e proliferino ancora realtà del genere».
Le cause sono sempre le stesse: il divampare di roghi originati da fuochi accesi dagli stanziali per riscaldarsi o guasti e cortocircuiti dati dal sovraccarico dell’impianto elettrico che rifornisce l’insediamento. Appena dentro l’area della tendopoli, era facile notare il groviglio di fili assicurati al terreno con del nastro adesivo, senza la minima copertura, che andavano disperdendosi tra tende e baracche. Il progressivo degrado dell’area, lontana dal centro abitato di San Ferdinando, si è accentuato anche in seguito all’abbandono, per mancata erogazione dei fondi, dell’associazione Guardie Ambientali, per un breve periodo designata a gestire il sito ministeriale. L’insediamento è stato così «abbandonato alla più totale anarchia», come racconta il sindaco, Andrea Tripodi. Oltre al Comune, in questo periodo sono stati presenti operatori di associazioni e sindacati che hanno cercato di far fronte anche all’emergenza nell’emergenza data dalla pandemia. E non è mancato l’apporto di Vigili del fuoco e Polizia a presidio dell’area.
L’ex tendopoli è quindi divenuta un microcosmo disordinato dove da un lato si è colpiti dalla mancanza di servizi e igiene, come testimoniano anche i rifiuti accumulati appena fuori dal perimetro dell’insediamento, dall’altro dallo spirito di iniziativa dei residenti. Vicino a quello che era l’ingresso, prima che venisse divelta gran parte della recinzione, c’è una baracca-officina per le biciclette. Più avanti una baracca-palestra e una baracca-moschea molto più grande e meglio tenuta di qualsiasi altra. Ci sono regole minime di convivenza, per l’utilizzo di bagni o per l’approvvigionamento d’acqua, influenzate da talune presenze dominanti rispetto ad altre. Si vende o “affitta” di tutto, dai viveri alle prese per poter caricare i cellulari. L’acqua corrente c’è, ma è fredda. Alcuni residenti sono addetti a riscaldarla nei calderoni per venderla o darla a chi torna dai campi di raccolta. «Lamento sempre il fatto che il nome di San Ferdinando venga associato alla tendopoli e ad immagini di degrado», dice il sindaco Andrea Tripodi. «Vorrei invece che fossimo ricordati come quella comunità che si è fatta carico di questa situazione in solitudine, registrando la sordità di quelli che avrebbero dovuto sporcarsi le mani per dare termine a questo fenomeno che ha alla base la sofferenza degli uomini».
La storia degli insediamenti nella zona industriale di San Ferdinando (come nel resto della Piana) ha la sua matrice anche e soprattutto nei fatti di Rosarno del 2010, quando i migranti vennero “esiliati” dai centri abitati. «Nel momento in cui ci sono delle presenze nuove, che giocoforza comportano delle tensioni, si sente la necessità di agenzie che aiutino in questo percorso. – dice Tripodi – Senza, un territorio attraversato da lacerazioni e da una presenza mafiosa capillare, non può offrire delle risposte civili ed avanzate a fenomeni di questo tipo». Il suo mandato inizia nel 2016, dopo il terzo scioglimento del Comune. «Abbiamo scelto di non volgere lo sguardo dall’altra parte». Mentre le tendopoli mutano in baraccopoli (e viceversa) si susseguono le tragedie. Il 27 gennaio 2018 muore in un rogo la 26enne di origine nigeriana Becky Moses, nome associato a quello di Mimmo Lucano. Nonostante la sopravvenuta scadenza del permesso di soggiorno, l’ex sindaco di Riace le aveva rilasciato il documento d’identità per permetterle di rimanere al borgo. Verrà allontanata dopo il terzo diniego ed ospitata in una delle baracche dove morirà carbonizzata. Stessa sorte toccata al 29enne senegalese Moussa Ba, ultima vittima del fuoco nell’ex baraccopoli a febbraio 2019. La sua morte aveva fatto insorgere l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini: “Sgombereremo la baraccopoli di San Ferdinando. – aveva scritto su twitter – Lo abbiamo promesso e lo faremo”.
Iniziate le operazioni di sgombero della baraccopoli di San Ferdinando: 600 uomini in campo e 18 pullman pronti per trasferire in strutture di accoglienza 900 persone.
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) March 6, 2019
Come promesso, dopo anni di chiacchiere degli altri, noi passiamo dalle parole ai fatti.https://t.co/zVoEiywulw
Un diktat condiviso ed eseguito dall’allora prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari, in seguito promosso a capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione dov’è rimasto in carica fino allo scorso 10 dicembre. L’ex prefetto ha presentato le dimissioni dopo l’indagine contro lo sfruttamento lavorativo dei braccianti del “ghetto” di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, che vedrebbe coinvolta anche la moglie. «Il fenomeno, – commenta Tripodi – anche quando abbiamo realizzato la tendopoli, è stato sempre affrontato in modo emergenziale». Lo sgombero del 6 marzo 2019 ha prodotto l’ennesima soluzione a metà: nell’ex baraccopoli di San Ferdinando erano presenti oltre mille persone. La tendopoli era attrezzata per ospitarne meno di 400. Molti vennero trasferiti, altri si dispersero nelle campagne. La bonifica dell’area dell’ex baraccopoli è quasi terminata e sono state rimosse le carcasse delle baracche che affollavano terreno e panorama.
«Dopo aver studiato il problema ed elaborato delle soluzioni abbiamo chiesto aiuto in più direzioni. – dice il sindaco – Al centro del cambiamento volevamo mettere il lavoro, che con le sue dinamiche prossemiche avrebbe potuto creare un teatro diverso quindi favorire quel processo di cittadinanza per i migranti e crescita per il territorio». Così non è stato. «All’emergenza si è aggiunta una visione soltanto caritativa, ad esempio con l’erogazione dei fondi Fami, utili per organizzare la mobilità sul territorio o per assistere la residenza dei migranti col sostegno agli affitti». Il riferimento è ai fondi messi a disposizioni attraverso i progetti “Su.Pr.Eme Italia” e “Più Su.Pr.Eme” di cui, nella Piana, è risultato aggiudicatario il solo Comune di Taurianova con l’esclusione – e annessa polemica tra alcuni parlamentari Cinquestelle e l’assessorato regionale rappresentato, allora come ora, da Gianluca Gallo – del Comune di Rosarno. Sorte diversa quella di San Ferdinando, che al bando rivolto a superare “le forme di sfruttamento lavorativo e grave marginalità dei migranti negli insediamenti della Piana di Gioia Tauro e della Sibaritide” non ha partecipato. Da un lato perché la tendopoli a differenza, ad esempio, dell’insediamento di contrada Russo nel comune di Taurianova era un insediamento formale gestito dal Viminale. Dall’altro perché lo stesso Tripodi riteneva quelle misure «slegate da una strategia complessiva e di lungo periodo, che tenga conto dei bisogni delle persone in quanto tali». Il Comune di Taurianova, oggi guidato dal leghista Rocco Biasi, ha ottenuto oltre la metà dei 3,5 milioni messi a disposizione dalla Commissione europea (per i progetti finanziati dalla Regione e co-finanziati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dalla Direzione generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione Ue e dal fondo Pon 2014-2020) e lo scorso 19 novembre ha inaugurato l’“Agenzia sociale dell’abitare” che fa da apripista al progetto del “villaggio sociale” che dovrebbe accogliere in appositi moduli abitativi, su un terreno confiscato, sempre in contrada Russo, i migranti regolari che popolano quegli stessi insediamenti.
Misure atte a “deghettizzare”, ma che trascinano con sé quell’approccio che non supera l’incompiuta inclusione sociale data dall’“esilio” delle persone dai centri abitati o dalle lungaggini legislativo-burocratiche che bloccano molti stanziali nel “limbo” dell’irregolarità.
Fino al rogo di Capodanno nell’area della tendopoli erano presenti poco più di trecento persone «anche in funzione della crisi generale che sconta il mondo dell’agricoltura e per il contrasto operato dalle forze dell’ordine contro il caporalato».
Lo scorso 24 settembre è stato siglato un protocollo d’intesa voluto dal ministro Lamorgese tra Comuni interessati, prefettura e Regione «che si impegna al superamento della baraccopoli con la creazione di alcune “Foresterie stagionali”» dove trasferire gli stanziali. La fase attuativa, come ribadito anche dal prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, passa ora alla Regione. Nella serata di questo 4 gennaio, dopo l’incendio avvenuto nel sito di San Ferdinando, i vertici locali della Cgil hanno incontrato il prefetto per chiedere dei moduli abitativi idonei per le persone ancora presenti nell’area. «Auspichiamo – si legge in una nota del sindacato – che il Governo regionale assuma le responsabilità e le convergenze che oggi abbiamo riscontrato in prefettura e che verranno discusse nel prossimo Consiglio Territoriale sull’Immigrazione convocato per giorno 11 gennaio».
Sullo sfondo, rimane l’emergenza Covid che, date le precarie condizioni socio-abitative negli insediamenti, rappresenta più di uno spauracchio, come denunciato di recente da Medu. Il rischio è che si verifichi una situazione simile se non peggiore a quella dello scorso ottobre 2020 quando le aree della tendopoli e quella del campo container di contrada “testa dell’acqua”, nel territorio di Rosarno, vennero dichiarate “zona rossa”. La popolazione degli insediamenti della Piana ha risposto positivamente alla campagna vaccinale. «Stiamo cercando di dare un supporto, relativamente all’accesso alle vaccinazioni, all’utenza che per lo status amministrativo ha difficoltà ad accedere ai vaccini anti-Covid», spiega Mauro Destefano dell’ambulatorio Emergency di Polistena. «La risposta è stata positiva da parte delle persone. Durante le riunioni con le Istituzioni abbiamo sollecitato l’importanza di effettuare vaccinazioni per le persone che vivono in questi contesti anche al fine di superare le eventuali problematiche amministrative che potessero ostacolare l’accesso al servizio». La pandemia ha imposto ad Emergency come alle altre realtà operative nella Piana di rimodulare la loro attività anche a fronte delle ulteriori difficoltà sorte. All’«impossibilità di garantire igiene e distanziamento fisico» per chi vive in tende o baracche si sono aggiunte quelle del territorio come la chiusura, lo scorso ottobre, del pronto soccorso di Gioia Tauro. «Quando si presentò il focolaio da Covid è stato difficile gestire la situazione proprio per la natura stessa di questi insediamenti. – spiega l’operatore Emergency – Nonostante le vaccinazioni, il rischio rimane. Sappiamo che la curva dei contagi si sta di nuovo alzando quindi la situazione non è da sottovalutare». (redazione@corrierecal.it)
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