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‘Ndrangheta, il processo ai Piscopisani e il “caso” pentiti

Durante l’udienza a Vibo una collaboratrice decide di non farsi interrogare perché «non al sicuro». Un altro prima si tira indietro poi risponde

Pubblicato il: 11/01/2022 – 17:30
‘Ndrangheta, il processo ai Piscopisani e il “caso” pentiti

VIBO VALENTIA Prosegue nel Tribunale di Vibo Valentia il processo “Rimpiazzo”, nato dall’omonima inchiesta della Dda di Catanzaro contro la cosca di ‘ndrangheta dei Piscopisani. Davanti al collegio giudicante, presieduto dalla dottoressa Tiziana Macrì, nella giornata di ieri si sono registrati alcuni episodi significativi.

Il “problema” dei collaboratori

A cominciare dalla scelta di Loredana Patania che – come riporta Zoom24 – ha deciso di non testimoniare in videocollegamento temendo per la propria incolumità. A seguito di questa scelta il pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, ha ammesso di avere «una leggera riserva sul fatto che sia una decisione “libera”», ritenendo plausibile la possibilità che si tratti, invece, «una situazione ambientale che lei ritiene sia imposta».  Quello con i collaboratori di giustizia nel corso dell’udienza è stato, evidentemente, un problema in più da gestire per il collegio giudicante. Si tratta di Daniele Bono che, nei giorni scorsi, aveva denunciato l’assenza di «condizioni di sicurezza necessarie per partecipare, pur da remoto, all’udienza».

L’interrogatorio del 35enne di Gerocarne, comunque, si è svolto regolarmente da remoto. L’uomo ha parlato di diversi omicidi, cominciare da quello di Francesco Scrugli, passando per Fortunato Patania e l’assassinio di Michele Mario Fiorillo. «I Piscopisani – ha raccontato il collaboratore – si diceva che facevano più che altro omicidi a pagamento, estorsioni su Vibo e Vibo Marina. Non so di preciso cosa facevano ma principalmente questo». «Francesco Scrugli, Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo – ha raccontato così come scrive ancora Zoom24 – erano tutti allo stesso livello, solo Scrugli magari era un po’ più responsabile perché era il referente di Andrea Mantella su Vibo». «Loro – secondo Bono – erano quelli più temuti dal clan dei Patania. Sapevano infatti che era gente pericolosa e avevano fatto degli omicidi a Lamezia ma anche a Sant’Onofrio e Reggio Calabria».

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