Le celebrazioni del 25 aprile quest’anno saranno caratterizzate da ulteriori polemiche. In mezzo c’è la tragedia della guerra in Ucraina e la decisione dell’Anpi di escludere bandiere Nato dalle piazze, espressione di un’ ostilità aperta contro l’atlantsmo.
A distanza di 77 anni dalla fine di una tragica guerra, la festa della liberazione tarda ad essere patrimonio culturale comune.
Non per l’atteggiamento della destra, che si identifica sostanzialmente con partiti conservatori, ma per un rinnovato antifascismo che, in alcuni segmenti, sembra essere più un fatto politico che una rivendicazione storica
Il fascismo, come diceva peraltro Benedetto Croce che fu al governo nella prima fase del regime, è stato un fenomeno italiano e mediterraneo che non è replicabile e che si è estinto con Salò.
Sulla sua storia pesano come macigni non solo la privazione delle libertà ma tutte le scelte fatte in politica estera, che Renzo De Felice inquadra nella debolezza atavica degli italiani ad avere una visione oggettiva della storia stessa.
Proprio De Felice, ma anche Parlato, Accame ed intellettuali di area socialista, parlano delle tesi di Salò come discontinuità rispetto agli anni del consenso e del governo.
Qui non si tratta in alcun modo di legittimare idee e pensieri ma di porre fine, magari per sempre, all’idea che quella drammatica esperienza bellica non sia stata anche una guerra civile.
Pasolini la definiva una carneficina che spezzò un Paese già provato dal conflitto.
Ci furono ragazzini italiani, alcuni dei quali poi divenuti grandi scrittori di area diversa, attori, filosofi, che aderirono a Salò per un sentimento di dignità patriottica, di disperazione, di rifugio dalla sensazione di sconfitta derivata dall’8 settembre.
Francesco De Gregori, che si laureò in Storia alla Sapienza con De Felice e Paolo Mieli come relatore, scrisse “Il cuoco di Salò” proprio per fotografare la discesa agli inferi di generazioni che lottavano “dalla parte sbagliata”.
Fu una guerra tra italiani, aldilà dei tedeschi e degli alleati atlantici, che produsse lacerazioni profonde che la fine della guerra non placò.
Dopo 77 anni sarebbe giunta l’ora di chiudere lo scontro di odio, di “capire le ragioni dei vinti” (Luciano Violante) e di proiettare il ricordo tragico di quel periodo in una dimensione condivisa. Per dire no a qualsiasi guerra e per reclamare una vera, partecipata libertà.
*giornalista
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