«Se i diritti della natura diventano la strada per contrastare l’arroganza dei gruppi di potere»
«Il passaggio dal diritto di protezione (sempre derogabile in ragione di quanto detto) al diritto della natura (e delle sue differenti componenti) è come riconoscere diritti “agli schiavi”, non più m…

Se i diritti della natura e delle sue componenti fondamentali (boschi, laghi, fiumi, foreste) diventano la strada nuova per contrastare l’arroganza dei gruppi di potere (e anche la retorica ecologista). Una breve nota su un recente libro (molto interessante) che mi sentirei di raccomandare a qualche amico (amministratore) innamorato delle politiche “taglia e ripianta” (se il bene è migliorare la condizione dei cittadini, accipicchia!). Sono molto contento che oggi “la Lettura” del Corriere pubblichi una intervista allo scrittore francese Camille de Toledo, autore di un libro, “Il fiume che voleva scrivere” (Neri Pozza), molto utile perché ci permette di riflettere attorno alla categoria del diritto di protezione della natura “dal punto di vista” delle sue componenti principali e non degli interessi dell’uomo – quindi della società, del mercato, etc. Immersi come siamo nella lunga stagione dell’agonia del creato (siccità, incendi, guerre), lo scrittore de Toledo si fa carico di affrontare il tema dei diritti dei fiumi, che per la prima volta, attraverso questo libro, parlano e rivendicano il loro diritto in quanto (potenziali) “persone giuridiche”, dotate, come sono, di una loro razionalità “naturale”, che esiste al pari delle altre “persone”, e quindi meritevole di essere ascoltata quando parla a noi umani. Nel mondo delle rappresentazioni (il compito del diritto non è proprio quello di dare forma a tutte le rappresentazioni dell’umano agire pubblico?) le entità naturali (fiumi, foreste, etc.) rivendicano una loro concretezza, un loro status, a differenza di tante altre “artificialità” (il denaro, per esempio), che connotano la nostra vita quotidiana in modo preponderante e anche prepotente, assegnando ad essa una diversa “pesantezza” (un “valore”) che modifica (in melius) il nostro stare nella società. Ecco allora che il riconoscimento di uno status giuridico ai “corpi naturali” (per esempio i fiumi) permette di perfezionare il nostro sistema di rappresentanza delle cose, riconoscendo una “voce” a questi diritti nelle sedi ove la loro rappresentanza può trovare una degna giustiziabilità. De Toledo parla di una nuova scienza, che chiama “ecopolitica” “affinché – scrive – le forze della natura possano rispondere agli assalti degli interessi umani”. Con questo riconoscimento le pretese delle multinazionali – dirette, per esempio, all’abbattimento di migliaia di alberi per fare posto ai bisogni energetici delle popolazioni (es: i parchi eolici) – dovranno essere bilanciate dai diritti di ciascuno di questi soggetti di natura (ogni singolo albero, ogni singolo fiume hai il diritto di dire la sua). Lo scrittore francese fa bene a ricordare la normativa europea sui fiumi, dove si prevede il “diritto del fiume” ad essere conservato in buon stato ecologico, quindi a prevalere ogni qual volta le ragioni dell’economia vengono descritte come prevalenti perché collegate ai bisogni delle persone, dei comuni, delle città. Il passaggio dal diritto di protezione (sempre derogabile in ragione di quanto detto) al diritto della natura (e delle sue differenti componenti) è come riconoscere diritti “agli schiavi”, non più merce sacrificabile, bensì soggettività giuridicamente preminenti.
*Ordinario di Diritto Interculturale e delle Religioni presso l’Università degli Studi di Salerno