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Il ricordo

Maria Rosaria Sessa, vent’anni fa il femminicidio premeditato e “fatale”

Le ultime 24 ore della giornalista rossanese uccisa da Corrado Bafaro il 9 dicembre 2002. Una giornata che sarebbe dovuta essere diversa

Pubblicato il: 12/12/2022 – 14:35
di Luca Latella
Maria Rosaria Sessa, vent’anni fa il femminicidio premeditato e “fatale”

CORIGLIANO ROSSANO Il destino, forse, sarebbe potuto essere diverso. Ed invece condanna a morte Maria Rosaria Sessa, giovane rossanese di 27 anni, giornalista uccisa venti anni fa da Corrado Bafaro, sulla statale 107, in direzione Paola. Eppure, quella maledetta serata – inizialmente – non è nemmeno prevista.  
L'”amore” dell’omicida è egoista e malato. Bafaro inizia a maltrattare Maria Rosaria – anche fisicamente – da diverse settimane, da quando lei decide di troncare il rapporto, certamente esasperata da quegli atteggiamenti e con una proposta di lavoro in tasca, lontano dalla Calabria.
Quella sera il fato, però, si metterà di traverso.
I due non si dovrebbero incontrare anche perché lei si è rifuggita a casa dei sui genitori, a Rossano, da qualche giorno. Le telefonate di Bafaro la infastidiscono e intimoriscono a tal punto da condizionarle la vita. Il giorno prima, domenica, Maria Rosaria si reca allo stadio a seguire la sua amata Rossanese, “contagiata” dal fratello Nazzareno, prima portiere rossoblù e poi fisioterapista seduto in panchina.
Maria Rosaria scambia due chiacchiere con amici ed i colleghi di Metrosat che sono lì a riprendere la partita. Poi, però, a metà secondo tempo decide di tornare a casa, probabilmente dopo l’ennesima telefonata di Bafaro che minaccia di raggiungerla a Rossano. Impaurita, prende per mano il nipotino Santo e torna a casa dai suoi. Ma senza raccontare niente a nessuno. E forse avrebbe potuto. Maria Rosaria quella domenica lancia qualche segnale; indossa un foulard che le copre il collo su cui si intravede un livido ed accenna soltanto una frase sibillina: «Prendiamo un caffè dopo la partita? Vorrei parlarti». Il segnale lo lancia, ma non vi da seguito. Uscita dallo stadio improvvisamente, non risponderà più al telefono.
Il lunedì successivo, 9 dicembre, Maria Rosaria inizialmente non ha in programma di tornare a Rende a lavorare in redazione. Troppo “goloso” il servizio da realizzare Biagio Antonacci, quella sera in concerto a Corigliano. Ed invece, un mal di denti improvviso la costringe a rivoluzionare i suoi piani, ad anticipare il suo ritorno a Rende per ridefinire la giornata (realizzerà anche un servizio sull’apertura dell’anno accademico all’Università) per poi correre dal dentista.
Dopo la giornata di lavoro, quindi, Maria Rosaria si reca dall’odontoiatra ma all’uscita trova la “sorpresa”: ad attenderla c’è Corrado Bafaro, rappresentante di prodotti dentali. L’uomo convince Maria Rosaria ad accettare un ultimo invito a cena, a Rende paese. Dietro quel gesto apparentemente galante si cela, invece, la premeditazione: in auto Bafaro ha con sé un mazzo di fiori, un regalo e il coltellaccio nascosto nella tasca della portiera del lato conducente, a “portata di mano”.
A cena conclusa i due si rimettono in auto. Maria Rosaria immagina che l’uomo torni a Rende, ed invece imbocca la direzione opposta, in direzione Paola. Sono all’incirca le 22,30. In quel momento i due iniziano a litigare perché Maria Rosaria vorrebbe tornare subito a casa ed invece, la “deviazione” le sarà fatale.
La lite degenera fino a causare un’incidente, con l’auto che finisce la sua corsa, a destra, contro un muro. Quella parete sulla statale 107, di fatto, impedirà a Maria Rosaria di provare ad aprire il suo sportello e scappare via dall’uomo che a quel punto impugna il coltellaccio ed inizia a infliggere una lunga serie di coltellate. Prima alle braccia – evidente il tentativo della donna di parare i colpi – poi, l’ultima, mortale, alla gola.
Bafaro sarà ritrovato alcuni mesi dopo, ad aprile, in una villetta all’interno di un residence sul Tirreno, raggiunto a piedi quella sera – probabilmente la casa di qualcuno che conosceva – dove si toglierà la vita impiccandosi con la cintura dei pantaloni.
Il fato, dunque, e la premeditazione.

A casa, a Rossano, nessuno dimentica. Mamma Gina da alcuni mesi conduce una vita ancor più segnata dalla scomparsa del marito e compagno di una vita, papà Santo. Un uomo tutto d’un pezzo, siciliano di Catania, un signore d’altri tempi giunto a Rossano per via del suo lavoro, il poliziotto della stradale. I fratelli, Pino e Nazzareno sono conosciuti da tutti ma ancora oggi, a distanza di 20 anni, non si rassegnano. Il dolore è così forte, cieco, da impedirgli di parlare in pubblico di Maria Rosaria.
Ai microfoni del Corriere della Calabria è la nipote, Eleonora Sessa, figlia di Pino, a ricordarla per i suoi sorrisi e l’affetto infinito che la zia riversava su di loro ed i legami indissolubili con la sua famiglia di origine.
Una donna che anche per colpa di un destino beffardo è stata strappata troppo presto a questa terra. (l.latella@corrierecal.it)

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