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La Calabria che verrà, Bianchi: «C’è il rischio di una nuova recessione»

Le previsioni del direttore della Svimez: «Nel 2023 in regione un forte calo dei consumi dovuto al mix di alta inflazione e salari stagnanti»

Pubblicato il: 06/01/2023 – 11:00
di Roberto De Santo
La Calabria che verrà, Bianchi: «C’è il rischio di una nuova recessione»

LAMEZIA TERME L’ombra della recessione si potrebbe allungare sulla Calabria nel corso del 2023. Complice la fragilità del suo tessuto sociale – caratterizzato da bassi redditi e marcata sottoccupazione – a cui fa da moltiplicatore un sistema produttivo troppo sbilanciato verso settori particolarmente esposti agli eventi congiunturali che il Paese sta vivendo. Fenomeni destinati ad accentuarsi nei prossimi anni. Da qui il rischio concreto che la Calabria possa continuare a risentire più di altri territori degli effetti avversi dettati dalla crisi energetica, dall’inflazione galoppante e dalle tensioni scatenate dalla guerra in Ucraina. Sono le previsioni che la Svimez ha ipotizzato sul prossimo futuro del Mezzogiorno e della Calabria, che delineano un quadro particolarmente cupo per la regione. Compromettendo i timidi segnali di ripresa che si erano visti nel 2021 e che poi erano proseguiti anche nel corso dei primi mesi dello scorso anno.
La frenata dell’economia regionale che si è registrata nell’ultimo scorcio del 2022 – con il calo dei consumi ed il rallentamento dei fatturati e dell’occupazione – rappresenta in modo plastico quello che potrebbe verificarsi nel prossimo futuro.
Stando alle proiezioni della Svimez, la spesa delle famiglie calabresi per beni e servizi dovrebbe continuare a contrarsi a causa anche dell’erosione dei redditi, imposta dall’impennata dei prezzi e dai costi della spesa energetica. Un effetto che interesserà anche la rete produttiva calabrese sensibilmente dipendente dalla fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e dell’energia. E il risultato, sempre stando alle elaborazioni della Svimez, si tradurrà nel calo più robusto in Italia dell’indice della ricchezza. Il Pil già nel 2023 scenderebbe di circa un punto percentuale (esattamente -0,9%), innescando così la recessione. Allontanando la Calabria ancor di più dal resto del Paese. Pertanto c’è il rischio che una fetta consistente di famiglie scenda sotto la soglia della povertà. Elementi dettagliatamente illustrati da Luca Bianchi, direttore della Svimez che al Corriere della Calabria lancia un allarme: «Nel 2023 stimiamo un incremento di 750mila persone in povertà assoluta, di cui 500 mila nelle regioni del Sud».

La Calabria più di altre regioni del Sud Italia ha risentito del rallentamento economico già in atto nell’ultimo scorcio dello scorso anno. Perché sussiste questo divario anche rispetto al resto del Mezzogiorno?
«La maggiore vulnerabilità dell’economia calabrese è dovuta essenzialmente alla fragilità del tessuto sociale con redditi mediamente più bassi e più esposti all’inflazione, oltre alla composizione settoriale con un peso rilevante delle costruzioni e del settore dei servizi. Due comparti che sono tra quelli che hanno risentito maggiormente del rallentamento congiunturale. Le costruzioni in particolare sono state frenate anche dall’incertezza normativa, che ha caratterizzato le modifiche del superbonus al 110% e dalle difficoltà di cessione del credito d’imposta».

L’impatto dell’inflazione ha avuto effetti particolarmente forti sul bilancio delle famiglie calabresi

Anche l’incidenza dell’innalzamento dei prezzi si è trasformata in una sorta di spartiacque tra le aree del Paese con un Sud e la Calabria in particolare, a subirne maggiormente i contraccolpi. A cosa è dovuto questo fenomeno?
«Il principale elemento che ha determinato l’inversione del ciclo economico in Calabria è proprio il maggior impatto dell’inflazione. L’economia regionale risente maggiormente, rispetto al resto del Paese, del rialzo dei prezzi a causa della presenza più diffusa nella regione di nuclei familiari meno abbienti, colpiti dai rincari dei beni alimentari e dei prodotti energetici, i cosiddetti “beni incomprimibili”. In Calabria oltre il 35% dei nuclei familiari appartiene alla fascia di popolazione più povera (il doppio della media nazionale), in queste famiglie le spese per bollette (+34% di inflazione) e generi alimentari (+9%) coprono oltre l’80% della spesa complessiva. Anche sul fronte delle imprese, la più diffusa presenza al Mezzogiorno di piccole e micro-imprese, contraddistinte da costi di approvvigionamento energetico da sempre più onerosi, con ridotte economie di scala, cui si aggiungono i maggiori costi di trasposto, spiega il prezzo e i rischi più elevati cui sono esposte rispetto al sistema produttivo del Centro-Nord».

Fonte: Svimez

E la conseguenza secondo i vostri dati, è che c’è stato un incremento di nuovi poveri in Calabria. Un trend che potrebbe crescere nel prossimo futuro?
«La forte inflazione, impattando sulle famiglie più fragili, potrebbe portare ad un aumento dei poveri soprattutto se vengono indebolite le misure volte a ridurre i costi energetici. In Calabria la povertà già era aumentata nell’ultimo anno anche se con ritmi non elevati. Le persone che vivono in famiglie a rischio povertà ed esclusione in Calabria sono circa 800mila (40% della popolazione in linea con la media meridionale) nel 2020 erano il 39,7%. Nel 2023 la Svimez stima un incremento di 750mila persone in povertà assoluta, di cui 500 mila nelle regioni del Sud».

Solo un quinto dei percettori di reddito di cittadinanza ha ricevuto un’offerta di lavoro delle agenzie per l’impiego

Le modifiche che si sono avute sul reddito di cittadinanza, in questo senso, potrebbero peggiorare il quadro socio-economico delle famiglie calabresi?
«Il Reddito di cittadinanza nel 2020 ha impedito che oltre un milione di persone cadessero in condizione di povertà assoluta, di cui due terzi circa nel Sud. Allo stesso tempo, è indubbio che non abbia funzionato come politica di accesso al lavoro. Le modifiche al reddito devono riguardare questo aspetto ma non possono tradursi in una cancellazione del beneficio per tutti i lavoratori teoricamente occupabili. Le modifiche al reddito di cittadinanza probabilmente incideranno, perché circa 70mila calabresi sono considerati occupabili e quindi perderebbero il reddito dopo i primi 7 mesi del 2023. Ma in realtà, per carenza di domanda di lavoro e per debolezza del sistema formativo e delle agenzie per l’impiego, solo un quinto (cioè una minima parte) ha ricevuto un’offerta di lavoro».

Ma i timori sono di non riuscire a far fronte alle necessità economiche della famiglia, registrate anche tra chi detiene un reddito. E soprattutto tra i dipendenti di imprese private del Mezzogiorno. Dunque c’è anche una questione della qualità degli stipendi?
«Purtroppo sta aumentando il numero dei lavoratori poveri il cui reddito da lavoro non consente di superare le soglie di povertà e disagio economico. Spesso dunque, se sottopagato o intermittente, neanche un lavoro protegge dalla povertà. Ciò è dovuto alla bassa crescita delle retribuzioni ed alla precarietà dell’occupazione con l’aumento del lavoro a termine (prevalentemente di breve durata) e del part time involontario. La Calabria è la regione con il più elevato peso dei dipendenti a termine sul totale (25,6% nel 2021 a fronte del 23% del Mezzogiorno). La fragilità del lavoro è confermata anche dal peso anomalo del part-time involontario che nel 2021 ha riguardato l’80% del totale dei dipendenti (77,5% nel Mezzogiorno). Ciò testimonia una riduzione dell’orario di lavoro non per esigenze di conciliazione lavoro-famiglia ma per ridurre il costo del lavoro».

Nonostante l’incremento record di occupati in Italia, registrato dall’Istat, la creazione di posti di lavoro per la Calabria resta il principale nodo da sciogliere per garantire un livello dignitoso di vita alle famiglie. Come incentivare questo meccanismo?
«È necessario incentivare il più possibile gli investimenti pubblici e privati e varare politiche attive del lavoro efficaci, per favorire la qualificazione dei lavoratori e l’incontro tra domanda ed offerta. La ripresa attivatasi dalla seconda metà del 2021 (+5,6% di crescita del valore aggiunto nel 2021 e +4,5% nella prima metà del 2022) ha dimostrato che solo la crescita può aiutare a superare la forte carenza di lavoro che caratterizza la regione. Il mercato del lavoro calabrese ha mantenuto una tendenza positiva, soprattutto nella prima metà dello scorso anno anche se meno espansivo rispetto alla media meridionale. Ma in confronto al 2021, è tuttavia calata l’occupazione autonoma e si è indebolita la creazione di nuove posizioni a tempo determinato, che potrebbe aver risentito più rapidamente delle esigenze di contenimento dei costi di produzione e del rallentamento della congiuntura economica.

Dalle vostre stime il Pil calabrese registrerebbe il calo più significativo già da quest’anno. Il più basso d’Italia. Dunque ci dobbiamo attendere una nuova fase recessiva per la regione?
«I primi segni di cedimento si sono visti già nel corso dello scorso anno con la frenata in Calabria della crescita del PIL dal 5,6% del 2021 all’1,8% del 2022 (inferiore al +2,9% del Mezzogiorno). Arretramento che, per il 2023, rischia di diventare recessione, perché mentre per l’Italia si prevede una crescita del PIL dello 0,5%, in quasi tutto il Mezzogiorno si tornerà al segno meno (-0,9% in Calabria). In questo quadro, incide significativamente la previsione di un forte calo dei consumi dovuto al mix di alta inflazione e salari stagnanti. Solo una piena implementazione delle risorse previste dalle politiche di coesione e dal Pnrr potrebbe scongiurare, attraverso una forte crescita degli investimenti, una flessione del Pil».

Dall’Europa stanno arrivando ingenti risorse destinate a creare occupazione e sviluppo in Calabria

Eppure ci sono risorse importanti che provengono dall’Europa attraverso le politiche di coesione a cui si aggiungono quelle previste dal Pnrr. Cosa occorrerebbe fare per evitare che tutta questa massa di fondi non si trasformi in un nuovo episodio della saga di occasioni sprecate per far recuperare il gap tra la Calabria ed il resto del Paese?
«I tanti fondi a disposizione, pur avendo lo stesso obiettivo, seguono logiche, metodi, attuazioni e certificazioni diverse che potrebbero creare un effetto imbuto, causando ridondanti e inutili sovrapposizioni. Non possiamo permettere che ciò accada. L’aver unificato in un unico ministero le competenze per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione è stata una buona scelta che auspichiamo dia i risultati sperati. Il rischio tuttavia c’è, soprattutto per la debolezza della pubblica amministrazione in tutte le regioni del Sud. I Comuni in particolare, che dovrebbero essere i principali enti attuatori del Pnrr hanno subito forti tagli: in Calabria tra il 2010 e il 2019 gli occupati negli enti locali si sono ridotti di circa il 15%. Il rafforzamento e la riqualificazione degli organici pubblici richiedono tempi non compatibili con la realizzazione del Pnrr e le procedure avviate per le nuove assunzioni hanno mostrato non poche falle. Per rafforzare la capacità attuativa degli Enti locali serve un affiancamento dal centro, mentre a livello locale devono essere pensate forme innovative di “alleanze” progettuali e attuative. In merito, la Svimez ha proposto la formazione di centri di competenza territoriali che, utilizzando le competenze tecniche esistenti all’interno delle Università meridionali, supportino gli Enti locali nella fase di progettazione e attuazione degli interventi. Più in generale, è necessario attivare tutti gli strumenti di accompagnamento alla progettazione e all’esecuzione di cui si è dotata la governance del Pnrr, incluso il potere sostitutivo da parte dello Stato nei casi di palese inadeguatezza progettuale e realizzativa degli Enti decentrati». (r.desanto@corrierecal.it)

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