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il processo

Rinaldi: «Bergamini non voleva buttarsi, ho pensato che chiedesse aiuto»

Udienza fiume oggi al tribunale di Cosenza. Sentiti quattro testimoni presenti sul luogo della tragedia

Pubblicato il: 09/01/2023 – 19:34
di Francesco Veltri
Rinaldi: «Bergamini non voleva buttarsi, ho pensato che chiedesse aiuto»

COSENZA «Non ho avuto la percezione che volesse buttarsi, ho pensato piuttosto che chiedesse aiuto». Berardino Rinaldi, uno dei testimoni ascoltati oggi al tribunale di Cosenza nell’udienza (l’ennesima fiume: circa sette ore la durata) post festività natalizie del processo Bergamini, di fronte alle domande del pm Luca Primicerio e degli avvocati di parte Fabio Anselmo e Silvia Galeone, e della difesa, Angelo Pugliese e Rossana Cribari coadiuvati dall’avvocato Pasquale Marzocchi, è apparso sicuro di sé. Assente l’unica imputata Isabella Internò.

«Non capivo come mai quella persona in automobile stesse ferma senza reagire»

Quel pomeriggio, Berardino Rinaldi, all’epoca rappresentante di robot per la casa, era in viaggio con la sua automobile in direzione di Rocca Imperiale, dove alle 17 avrebbe incontrato due clienti per una dimostrazione pratica. Insieme a lui c’erano anche la moglie e i figli piccoli. «Non ricordo l’ora esatta ma sicuramente dalle 15.30 in poi – ha detto l’uomo –, dopo una piccola curva, mi sono trovato improvvisamente una Golf ferma davanti con quattro persone a bordo, veniva dal lato opposto della strada e aveva invaso la mia corsia. L’ho evitata d’un soffio prima di vederla andare via. Nello stesso momento ho notato un ragazzo al centro della corsia di sinistra della strada che cercava di fermare la Golf. Aveva entrambe le braccia alzate e mi dava le spalle, guardava in direzione Taranto. Dalle braccia alzate ho avuto la sensazione che volesse chiedere aiuto a quella macchina che l’aveva schivato giusto in tempo. I suoi capelli erano chiari e indossava un giubbino di pelle marrone chiaro, ma non l’ho visto in viso. Mi sono accorto che sulla piazzola, alla mia destra, c’era una automobile scura, perpendicolare alla corsia, parcheggiata in direzione mare, con all’interno una sagoma. Il ragazzo, che poi ho scoperto successivamente essere Bergamini, distanziava una ventina di metri da questa macchina. Mi sono chiesto come mai, con quel ragazzo che stava rischiando la vita in mezzo alla strada, quella persona in automobile stesse ferma senza reagire. Quando, dopo l’appuntamento di lavoro durato circa un’ora e mezza, sono tornato su quella strada, c’era traffico e ho capito che era successo qualcosa di grave». Il teste ha anche rivelato di aver provato a incontrare, tempo dopo, il padre di Bergamini per dirgli che a suo avviso il calciatore del Cosenza non si era suicidato come, invece, aveva letto sui giornali. «Pensavo fosse stata una disgrazia», ha aggiunto. Una volta diventati grandi, i figli dell’uomo, Salvatore e Rocco, hanno incontrato Donata Bergamini durante un memorial raccontandole tutto quello che sapevano di quella maledetta giornata. A quel punto tra il pm Primicerio e l’avvocato Pugliese, è nato un duro scontro sulla richiesta alla corte dello stesso pm dell’acquisizione degli atti di alcuni messaggi di Messenger tra Donata Bergamini e il figlio di Rinaldi. Acquisizione che è stata accolta dal collegio giudicante presieduto da Paola Lucente. A Berardino Rinaldi sono state mostrate anche due foto del luogo della tragedia, con la richiesta di indicarvi sopra le posizioni esatte dei protagonisti della vicenda e delle rispettive automobili.

Rocco Napoli: «Aveva lo sguardo assente»

Dopo Rinaldi, è toccato a Rocco Napoli, altro testimone che quella sera passò con il suo mezzo pesante da località Monica. «Piovigginava – ha evidenziato l’uomo – io guidavo il mio furgone di lavoro (era un ambulante, ndr) e insieme a me c’erano la mia ex moglie e la sorella. Stavamo andando a casa di mia suocera a Montegiordano. Già quando ho imboccato la semicurva, riuscivo a vedere la piazzola con all’interno una macchina parcheggiata, una Maserati bianca. Aveva il muso rivolto verso Taranto. A un tratto, prima della piazzola, ho visto un ragazzo che camminava sul ciglio della strada. Ho detto “guarda questo pazzo” e ho sterzato in senso antiorario per schivarlo. Ho notato che aveva gli occhi assenti. Erano circa le 19 e si vedeva discretamente, c’era un po’ di penombra». Una anomalia quella della buona visibilità alle sette di sera, fatta notare dal pm, a cui Napoli ha risposto con un «dottò, era più o meno il crepuscolo e avevo i fari accesi, sono passati trentatré anni, non mi posso ricordare tutti ‘sti fatti». Un concetto, quello del tempo trascorso dalla morte di Bergamini ad oggi, ribadito più volte anche davanti alle sollecitazioni della presidente della corte («dottoré, non posso ricordarmi bene, ho avuto tanti guai, pure di salute»). Tra i guai personali raccontati dall’uomo, anche una serie di precedenti penali che lo hanno costretto al carcere per otto anni. Nel corso della sua deposizione, Napoli ha insistito sullo “sguardo assente” di Bergamini (mimando, su richiesta della corte, la camminata del ragazzo) anche se nel 1991 aveva dichiarato che l’ex calciatore del Cosenza pareva essere in attesa di qualcuno visto che guardava verso Roseto. Napoli ha evidenziato come abbia deciso di sua spontanea iniziativa di presentarsi ai carabinieri di Roseto Capo Spulico nel 1989: «Ho parlato di quello che era accaduto a mia cugina Anna Napoli che è un avvocato e, spinto da uno spirito di giustizia, ho deciso di presentarmi in caserma». Sia sulla base delle sue precedenti dichiarazioni, sia per qualche contraddizione espressa nel corso dell’udienza di oggi, Napoli è stato incalzato più volte dall’avvocato Anselmo che ha sottolineato come il teste ricordasse perfettamente lo sguardo assente di Bergamini ma non il colore dei suoi capelli. «Nel corso degli anni – ha fatto notare Anselmo – lei ha detto prima che ha visto scendere Bergamini dalla macchina e poi, invece, che quando lo ha visto la prima volta era già sulla piazzola. Inoltre la figura femminile nell’auto emerge solo dal 2013 (quando Napoli venne ascoltato in carcere, ndr) e non prima». L’uomo, infine, ha aggiunto che ha sempre pensato che la versione del suicidio fosse l’unica possibile. «Ho immaginato – ha concluso – che avesse dei problemi e ha compiuto quel gesto. Da noi si dice “il cervello è una sfoglia di cipolla”. Anche mia cugina Anna Napoli la pensava come me».

Anna Napoli: «Per me si è suicidato»

I genitori di Anna Napoli, ascoltata dopo il cugino, già nel 1989 gestivano un distributore di benzina a Roseto Capo Spulico, a pochi metri di distanza dal luogo della tragedia. «Mi trovavo lì quella sera – ha rivelato la donna – e ricordo che proprio all’interno del distributore c’era un posto di blocco dei carabinieri perché c’era da poco stata una rapina a Villapiana. Il brigadiere Barbuscio insieme al suo collega fermò una Maserati bianca intorno alle 17.30 con a bordo due persone. Molti ragazzi si avvicinarono, incuriositi dall’automobile. Era quasi l’imbrunire e la zona era illuminata anche dalle luci dell’attività della mia famiglia. Subito dopo lo stesso Barbuscio disse che la persona fermata era un calciatore del Cosenza. Il giorno dopo, o forse la sera stessa, non ricordo bene, Rocco (Napoli, ndr) venne a parlarmi e mi raccontò di questo ragazzo che voleva buttarsi sotto il suo furgone. Io a quel punto gli ho consigliato di andare a raccontare tutto ai carabinieri. Sono convinta che senza la mia spinta non lo avrebbe mai fatto». Anna Napoli, oggi avvocato civilista, nei primi anni ’90 seguì il processo Bergamini alla procura di Trebisacce. «Facevo pratica in uno studio penale e partecipando a diverse udienze arrivai alla conclusione che si fosse trattato di un suicidio. Lo penso anche adesso – ha affermato – anche se non ho maggiori elementi rispetto a quelli che circolano. Ho solo letto e ascoltato i fatti del processo. Penso che in una strada trafficata come la 106 dell’epoca, fosse impossibile trasportare e adagiare il corpo di quel ragazzo sull’asfalto senza essere visti da nessuno».

Antonietta Valerio

Antonietta Valerio è l’ex moglie di Rocco Napoli, sentita per ultima oggi pomeriggio. I due sono separati da 24 anni, ma il 18 novembre del 1989 erano insieme sul furgone che li stava portando a Montegiordano. «Quella sera – ha detto – eravamo io, Rocco, mia sorella e il figlio piccolo. Non ricordo molto, stavo giocando col bambino quando dopo una brusca sterzata di Rocco, ho visto dallo specchietto retrovisore la sagoma di un uomo, ma nulla di più. Non era completamente buio». Dichiarazioni queste non proprio in linea con quanto affermato in passato dalla donna. In almeno una circostanza aveva parlato infatti di una Maserati bianca e, nel 2017, di un uomo alto visto dallo specchietto retrovisore con addosso un cappotto scuro. Antonietta Valerio, su richiesta del pm, ha riferito di aver raggiunto Cosenza per l’udienza di oggi insieme a Rocco e Anna Napoli. «Ma durante il viaggio – ha tenuto a precisare – non abbiamo parlato del processo». La prossima udienza si terrà il 12 gennaio. (redazione@corrierecal.it)

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