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Intervista esclusiva

Calabria a “caccia” di riscatto. Corvino: «Il porto di Gioia è una risorsa per tutti» – VIDEO

Il direttore dell’Osservatorio di Economia e finanza traccia le linee per rilanciare non solo il Sud: «Il futuro passa dal Mediterraneo»

Pubblicato il: 10/04/2023 – 14:00
di Roberto De Santo
Calabria a “caccia” di riscatto. Corvino: «Il porto di Gioia è una risorsa per tutti» – VIDEO

LAMEZIA TERME Cambiare il paradigma economico finora portato avanti. Invertendo la visione eurocentrica e nord Atlantica dell’economia e spostando l’asse degli interessi nell’area mediterranea. Una strada per rilanciare lo sviluppo non solo delle regioni meridionali come la Calabria, ma dell’Italia intera. Finora orientata a privilegiare rotte commerciali ed interessi lungo le direttive che passano da Berlino, Parigi, Bruxelles per arrivare nei Paesi ancora più a Nord del Vecchio continente e delle coste occidentali dell’America.
Una strategia che potrebbe risollevare le sorti anche del bacino mediterraneo, considerandolo come risorsa e non solo come area di crisi: vedasi emergenza migranti. Lungo questa tesi si sviluppa il pensiero di Antonio Corvino, economista, scrittore e direttore dell’Osservatorio di Economia e finanza (Obi). Una struttura che negli anni ha garantito un contributo fattivo nell’analisi sulla congiuntura del Mezzogiorno e il rapporto sul Valore aggiunto delle regioni meridionali. Dal 1996 l’Obi, infatti, studia i sistemi economici territoriali del Mezzogiorno individuandone dinamiche e processi nel contesto internazionale ed euromediterraneo.

Da sinistra Francesco Saverio Coppola, Pietro Busetta, Salvatore Matarrese e Antonio Corvino


Da qui l’analisi compiuta su quelle dinamiche che potrebbero far decollare sistemi produttivi di regioni naturalmente proiettate verso il Mediterraneo, come la Calabria. In questo senso il porto di Gioia, per il direttore dell’Obi, «è una grande risorsa».
Corvino sfata poi quella che definisce «una mistificazione» delle eccessive risorse indirizzate verso il Mezzogiorno e la Calabria. In realtà, sostiene, «i fondi strutturali dal 1989 ad oggi, sono stati usati per tappare i buchi lasciati aperti a Sud dallo Stato, su ogni versante». E sui ritardi di spesa delle risorse del Pnrr, denuncia, «non possono essere un alibi a disposizione dello Stato per sottrarre al Mezzogiorno il suo futuro». Mentre sull’autonomia differenziata, bolla: «partita spregiudicata che mira a spostare potere e risorse a Nord».

L’economia del Sud e della Calabria in particolare non ha ancora recuperato neanche il tasso di crescita della fase pre-pandemica a differenza di altre aree. E così il divario con il resto del Paese sta crescendo. Secondo lei c’è sufficiente consapevolezza di questo quadro, nelle programmazioni di politica economica?
«In Italia da molto tempo si è rinunciato a praticare ogni e qualsivoglia forma di programmazione. Possiamo dire che si va avanti senza alcuna bussola in tutto il Paese. La politica economica, quella che fissa obiettivi di medio e lungo termine, individua le risorse e attiva le strategie e le azioni per raggiungerli, mobilitando tutti i soggetti collettivi, economici, sociali, culturali ed istituzionali, non appartiene più all’orizzonte dei governi, da almeno un trentennio. Con buona pace di Keynes e del nostro Federico Caffè e dello stesso John Kenneth Galbraith. D’altronde le assurde continue privatizzazioni che hanno estromesso, in larga misura, lo Stato dal governo dell’economia, hanno depotenziato lo strumento della programmazione. Si va avanti per urgenze, provvedimenti tampone, direttive che arrivano spesso dalla BCE e dal Fondo Monetario internazionale oltre che dalla Commissione UE che si sono assunti il compito, i primi due, di guardiani dell’ortodossia iper capitalistica delle politiche nazionali, e la terza di stimolatrice delle stesse. L’obiettivo di recuperare i livelli occupazionali, produttivi, di reddito ante pandemia sono stati pertanto lasciati ai cosiddetti effetti rimbalzo più o meno sostenuti da provvedimenti governativi di aiuto finanziario dettati dall’emergenza. Ovvio che i rimbalzi scaturiscono dalla potenza insita nel tessuto produttivo dei territori e quindi sono affidati alla forza ed alla elasticità della molla che li sostiene. Ora è chiaro che il rimbalzo del tessuto produttivo meridionale ed, all’interno di questo, delle diverse economie regionali, ha negativamente risentito della debolezza intrinseca che nella pandemia ha trovato un’occasione di ulteriore peggioramento. Vi è da aggiungere che il Mezzogiorno, è stato sorpreso dalla pandemia allorquando non aveva ancora recuperato i livelli antecedenti alla crisi finanziaria mondiale del 2008 e della successiva del 2011. Un indicatore eloquente è dato dal tasso di attività della popolazione, ossia dalla percentuale di popolazione attiva sul totale. Il Mezzogiorno ha conosciuto un progressivo abbattimento della popolazione attiva che oggi si colloca intorno al 43/45% laddove all’inizio degli anni 2000 oscillava intorno al 50% con la sola Sicilia che era intorno al 43% e la Calabria al 46%. Oggi la Calabria è intorno al 41% come la Sicilia. Ma anche le altre regioni, con l’eccezione della Basilicata, Abruzzo e Molise, sono ben lontane dal 50%. E si badi che il Nord ha un tasso di attività di oltre il 65%, con il centro sopra al 60%. Se consideriamo gli altri parametri, disoccupazione, emigrazione dei giovani, e reddito, la situazione a Sud, nell’indifferenza generale, appare davvero pericolosamente compromessa».

La Commissione europea non sembra avere una politica attiva per il Mediterraneo

Si continua ad affermare che se non cresce il Mezzogiorno non ci sarà vera ripresa neppure per l’intera economia nazionale. Ma la “questione Meridionale” sembra ormai divenuta solo materia accademica?
«Per la verità la rivendicazione al Mezzogiorno del ruolo di seconda locomotiva del Paese è propria delle migliori energie meridionali. Sono gli economisti del Sud, e la stessa opinione pubblica più attenta al dibattito sviluppatosi negli ultimi anni, a sollecitare da parte dello Stato, del governo, delle forze economiche, di quelle politiche, la consapevolezza che lo sviluppo del Sud è una priorità della nazione oltre che un’esigenza per sé. È il “sistema Paese” che arranca ormai. Le regioni del nord, segnatamente, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, non fanno che perdere posizioni in Europa. Esse non sono più, da molto tempo, locomotiva ma vagoni al traino dell’economia tedesca e quindi soggetti alle opportunità ma anche ai rischi delle scelte strategiche della Germania. Il problema è che risulta difficile far passare dalla classe dirigente che governa l’Italia, l’idea di dotare il Paese di due locomotive in un momento assai critico per gli equilibri mondiali. Pretendendo di mantenere lo status quo piuttosto che rivoluzionare lo stato delle cose e ripensare i meccanismi di sviluppo, spostando l’asse verso il Mezzogiorno. Questo significherebbe rivedere non solo le scelte produttive, gli equilibri commerciali, le alleanze strategiche, ma anche e soprattutto le scelte logistiche, riconoscendo al Sud il ruolo naturale di piattaforma logistica del Mediterraneo oltre che di piattaforma produttiva in grado di attrarre, con le sue Zes (Zone economiche speciali) gli investimenti internazionali alla ricerca dei migliori siti dove atterrare. Purtroppo l’Italia del Nord è parte integrante del paradigma economico-produttivo nord Atlantico che privilegia lo sviluppo e l’integrazione delle economie del Nord Atlantico e del Nord Europa, abbandonando al suo destino il Mediterraneo ed il Sud dell’Europa, Mezzogiorno compreso. Non è un caso che l’Europa non abbia una politica per il Mediterraneo e l’Italia stessa guardi al Mediterraneo per i problemi dell’immigrazione piuttosto che per le potenzialità di sviluppo in esso insite».

Roberto Calderoli,  ministro per gli affari regionali e le autonomie, è il promotore del decreto sull’autonomia differenziata

In questo senso l’accelerazione impressa all’autonomia differenziata, sembra condannare ad una maggiore marginalizzazione di regioni povere come la Calabria.
«L’accelerazione impressa all’autonomia differenziata risponde certamente ad esigenze di natura elettorale. È infatti fin troppo evidente che i partiti si sono giocati la partita per il governo nazionale a Nord, con più o meno convinzione, mentre al Sud hanno riservato attenzioni assistenziali essendo mancata ogni visione nazionale dello sviluppo in chiave mediterranea.Il paradosso consiste nel fatto che oggi i partiti a trazione settentrionale stanno giocando una partita spregiudicata che mira a spostare potere e risorse a Nord in un quadro di unità nazionale. I vecchi proclami di secessione non esistono più. Non solo. Il Nord sarà ferocemente contrario ad ogni ipotesi di divisione o divorzio dal Sud. Hanno raggiunto il potere di decidere le sorti della nazione ed hanno tutto l’interesse di spingere l’infrastrutturazione a Nord, consolidare gli equilibri intorno alla macchina produttiva settentrionale e mantenere il Sud in uno stato di collasso assistito. Ammonta a circa 20 miliardi annui l’esborso finanziario del Sud per i suoi giovani che partono dopo essersi formati in casa. A questi si aggiungano i sessanta/ottanta miliardi annui che vengono sottratti al Sud con il criterio della spesa storica sui servizi ed il quadro è completo. L’autonomia differenziata punta a consolidare tale stato di cose. Con buona pace dell’unità nazionale che resterà solo un simulacro buono a quanti devono andare a trattare sui tavoli internazionali esibendo lo status di grande nazione. Rimane l’assurda incapacità del Mezzogiorno di reagire. Questa assuefazione a ritenersi, masochisticamente, responsabili del proprio sottosviluppo, instillata con metodo e costanza dalla classe dirigente settentrionale e dalla grande stampa settentrionale ad essa legata. Il Mezzogiorno ha, dal canto suo, un grave e antico, problema di classe dirigente. Il filosofo Aldo Masullo, nella sua postfazione al nostro volume “Mezzogiorno in progress” edito dalla casa editrice calabrese Rubbettino, affermava che, essendo venuta meno la leva economica per lo sviluppo del Sud bisognava puntare tutto sulla leva culturale. Il guaio è che la leva culturale presuppone la diffusione della responsabilità e consapevolezza civile dei cittadini quale condizione dell’assunzione in prima persona della bandiera del proprio riscatto. Purtroppo non siamo ancora a questo stadio. I giovani migliori se ne vanno, gli anziani aspettano e il resto spera in qualche forma di assistenza. È contro questa forma di rassegnazione che oggi bisogna lottare. E per la verità vi sono dei buoni segnali in questa direzione. Bisognerebbe che ci fosse un controesodo di quanti se ne sono andati. E non è detto che non succeda».

Le risorse europee sarebbero finite per sostituire i fondi ordinari destinati al Sud

In molti sottolineano che le risorse al Sud e alla Calabria non sono mancate. Soprattutto provenienti dai fondi strutturali europei. Ed il Pnrr ne sarebbe anche una comprova. Cosa non sta funzionando?
«La storia dell’abbondanza di risorse elargite alla Calabria ed a tutto il Sud è una mistificazione di cui sono consapevoli tutti, a cominciare da chi la propaganda.Dalla fine dell’intervento straordinario (fine anno ‘80) i governi hanno spostato sulle risorse europee l’onere della perequazione territoriale del Sud rispetto al Nord. I fondi per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, sono stati progressivamente prosciugati sino alla totale estinzione. I fondi europei che, per Trattato, dovevano avere un ruolo complementare nelle politiche di riequilibrio, sono finiti per divenire sostitutivi. Di fatto i fondi strutturali, dal 1989 ad oggi, sono stati usati per tappare i buchi lasciati aperti a Sud dallo Stato su ogni versante, dalle fognature agli acquedotti, alle (poche) strade e ferrovie alle scuole, alle imprese e via dicendo. È chiaro che il divario invece di chiudersi si è andato allargando paurosamente. La stessa scelta è stata fatta con il Pnrr. Voluto dall’Unione Europea per favorire la perequazione Nord-Sud esso ha finito per avere uno sguardo strabico, totalmente spostato a Nord. E non basta. È in corso una campagna mistificatrice che intende colpevolizzare il Sud per convincerlo che i fondi vanno spostati a Nord per essere spesi. In caso contrario meglio restituirli all’Europa. Né vale la teoria dell’incapacità delle regioni meridionali di spendere i soldi ad esse assegnati. Uno Stato virtuoso, in questo caso si sostituisce ai poteri locali, se questi non sono attrezzati per gestire le risorse disponibili, non gioca a rimpiattino dopo aver azzerato ogni visione di sviluppo a Sud, aver coltivato una classe dirigente subalterna ed aver, perdi più, svuotato le amministrazioni di ogni capacità progettuale. È vero che le classi dirigenti e segnatamente le rappresentanze politiche hanno gravissime responsabilità in proposito, ma queste non possono essere un alibi a disposizione dello Stato per sottrarre al Mezzogiorno il suo futuro».

La premier Giorgia Meloni e il ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto

Ed a questo proposito, secondo lei, è stato fatto abbastanza per sostenere il sistema della pubblica amministrazione meridionale ad affrontare la sfida del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
«Le amministrazioni degli Enti pubblici locali, con particolare riferimento agli enti comunali, sono notoriamente sotto dimensionate. È da molto tempo che le piante organiche dei Comuni sono bloccate in ossequio ad un patto di stabilità assurdo usato come un devastante boomerang. Ed anche la storia che a Sud il rapporto tra la popolazione ed i dipendenti pubblici sarebbe troppo sbilanciato in favore di questi ultimi, raggiungendo un indice superiore a quello del Nord, è una leggenda metropolitana che serve a dipingere il Nord come efficiente e virtuoso ed il Sud come infingardo e neghittoso. La realtà è che a Nord gli Enti pubblici dispongono di personale e capacità progettuali, oltre che di risorse, in scala nettamente superiore agli omologhi enti del Sud, dove spesso vi è una carenza di personale che si aggira, in molti casi, intorno al 50%, per non parlare delle risorse finanziarie (emblematico il caso degli asili nido e delle altre strutture di servizi sociali denunciato da Marco Esposito nel suo libro “Zero a Sud”). È ovvio che in queste condizioni molti enti pubblici a Sud stiano soffrendo nella preparazione dei progetti a valere sul Pnrr. Se si aggiunge la dimensione spesso ridotta se non minima di molte realtà locali, il quadro è completo. La dotazione di personale qualificato degli enti pubblici meridionali è un grave problema che rischia di vanificare molte opportunità pure aperte dal Pnrr. Anche in questo caso, date le lungaggini che caratterizzano i processi di selezione del personale, è urgente che lo Stato costituisca dei nuclei di progettazione a supporto degli Enti pubblici locali piuttosto che disquisire sui ritardi di questi».

Come sostenere, in questo contesto, il sistema imprenditoriale calabrese in particolare che è caratterizzato da micro imprese a bassa capitalizzazione e sempre a caccia di liquidità?
«A Sud, e non solo in Calabria, il tessuto produttivo è caratterizzato da un sistema di piccole e piccolissime imprese che stanno soffrendo i postumi della sbornia da globalizzazione. Ovviamente abbiamo anche delle eccellenze che, troppo spesso, vengono utilizzate per coprire la realtà di generale sofferenza dell’economia meridionale. Certo le (poche) punte avanzate vanno incoraggiate e salvaguardate ma è sulla massa delle imprese minori e sui settori da queste rappresentati che bisognerà agire. In questa prospettiva va corretto, sul piano fiscale , lo strapotere delle multinazionali che, forti di un’organizzazione digitale e logistica globale, sottraggono spazio e possibilità al resto delle imprese del territorio imponendo spesso a queste l’alternativa tra soccombere o sottostare alle condizioni capestro di quelle. Nel contempo le misure di sostegno alle imprese finanziate dai fondi europei dovranno puntare alla creazione di un mercato il più possibile ricettivo sia sul territorio che fuori. L’agroalimentare in particolare dovrà assumere un ruolo di punta nel traino della dieta mediterranea che è diventata patrimonio dell’umanità e che in Calabria può contare su una straordinaria biodiversità. L’integrazione dell’agricoltura, da quella più estesa a quella familiare, con il patrimonio ambientale della Calabria potrà sicuramente offrire grandi opportunità anche sul versante dell’accoglienza turistica ben oltre le aree costiere. In Calabria vi è, inoltre, il polmone di Gioia Tauro, una delle poche eccellenze non solo calabresi ma anche meridionali su cui puntare. È intorno a Gioia Tauro che bisognerà far nascere un tessuto non solo logistico ma anche produttivo che capitalizzi le grandi potenzialità esistenti anche in funzione delle Zes, in attesa che finalmente arrivi l’alta velocità/capacità che le colleghi al centro e nord Europa».

Il porto di Gioia Tauro può svolgere un ruolo determinate per il decollo della Calabria e del Sud

Vi sarà ancor più necessità di accompagnare gli investimenti delle imprese alla luce della nuova programmazione dei fondi strutturali. Quali misure in tal senso ritornerebbero utili per i territori fragili meridionali?
«L’avvio delle Zes è indubbiamente il primo e fondamentale passo verso la creazione di un tessuto produttivo in grado di investire in maniera efficace sul proprio futuro. L’integrazione delle piattaforme produttive con quelle logistiche e l’apertura agli investimenti internazionali costituiscono degli obiettivi irrinunciabili per dare slancio e potenza all’economia calabrese ed anche meridionale in maniera che si possa incidere positivamente sul tasso di attività della popolazione, sull’occupazione della stessa e sul reddito individuale e collettivo. La finanza e la ricerca, dal canto loro, dovranno muoversi in sincrono con il resto del sistema per garantire la necessaria disponibilità. e sul versante degli investimenti e sul versante dell’innovazione.I fondi strutturali attualmente disponibili sino al 2029 ed i fondi del Pnrr dovranno porre tutta l’attenzione necessaria al perseguimento di tali obiettivi. La dotazione infrastrutturale e la diffusione dei servizi di digitalizzazione, sono imprescindibili per assicurare il successo ai programmi di sviluppo delle singole aziende e dell’intero sistema economico. Insomma è necessario muoversi all’unisono, imprese, istituzioni, logistica, ricerca e finanza, come un unico corpo strutturato per vincere la sfida sempre aperta e non più rinviabile dello sviluppo. Sperando che tutti facciano il loro dovere e quanti sono partiti possano tornare da protagonisti magari insieme a nuove energie che qui si sentano attratte per lavorare ma anche per vivere». (r.desanto@corrierecal.it)

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