REGGIO CALABRIA Chiamatelo “Noodles”. O “Nudols”, scritto-come-si-legge, così è più facile. Il nickname, citazione da “C’era una volta in America”, emerge dalle chat criptate di Sky Ecc, sistema a uso e consumo del narcotraffico globale. Lo usa Giuseppe Romeo, uno dei capi del cartello “Staccu” di San Luca, che si nasconde in Spagna ma non rinuncia ai propri affari. Il nome è ispirato al grande “romanzo” criminale in celluloide firmato da Sergio Leone. La storia di David “Noodles” Aaronson-Robert De Niro è quella di una drammatica scalata dai quartieri bassi di Manhattan al vertice della mala newyorchese. Cosa c’entri con Romeo e il suo business non è chiaro ma ciascuno sceglie la propria epica. “Maluferru”, “U Pacciu” o “U Nanu” nel libro dei nomi della ‘Ndrangheta, Romeo sui propri dispositivi criptati diventa “Ronny”, “Ronin”, “Nudols” o “Guerriero di Dio”. Vede la propria vita come una battaglia, cerca di sfuggire a una condanna a 20 anni per reati di droga; per gli inquirenti è «tra i più potenti narcotrafficanti al mondo».
Ma non basta saltare da un nickname all’altro: la fuga di Romeo finisce virtualmente nella seconda metà del 2019, quando le forze mettono nel mirino la rete Sky Ecc, network usato per comunicare dai criminali di mezzo mondo. Inizia l’operazione congiunta di un joint investigation team francese, belga e olandese che permette, nel 2021, di introdursi nel sistema di criptazione. Gli investigatori ottengono, così, accesso alle comunicazioni di oltre 70mila utilizzatori dei dispositivi presenti in Europa. Una informativa confluita nell’inchiesta “Aspromonte emiliano” della Dda di Bologna spiega che le forze dell’ordine mettono le mani su «circa un miliardo di messaggi, dei quali più della metà era già stata decriptata, svelando agli inquirenti un mondo criminale dalle dimensioni inimmaginabili: non solo immagini di droga ed armi, ma anche di omicidi, torture e movimentazioni internazionali di denaro». È un pianeta virtuale nascosto: l’inchiesta si conclude il 9 marzo 2021, quando la polizia belga arresta 48 persone e sequestra 1,2 milioni di euro in contanti, 17 tonnellate di cocaina e numerose armi da fuoco.
La storia globale si mescola con un’inchiesta della Procura di Trento che riesce a piazzare un agente dello Scico sotto copertura in un’organizzazione sospettata di riciclare il denaro dei narcos sudamericani. I “criptofonini” sono una delle architravi del sistema: servono a coordinare il prelievo di denaro e a fornire indicazioni per riconoscere i “corrieri” che trasportano il contante. Il finanziere “undercover” ricostruisce i passaggi di denaro ed entra in contatto in tre occasioni con alcuni calabresi residenti in provincia di Reggio Emilia. Tanto per chiarire le dimensioni dei traffici: in tre incontri passano di mano un totale di 850mila euro. I protagonisti sono tre cittadini di origine calabrese tutti, «più o meno direttamente, collegati con gruppi criminali di matrice ‘ndranghetista operanti nella provincia di Crotone ma con ramificazioni anche nel Nord Italia». Non parla a caso il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri quando dice che lo Stato dovrebbe assumere degli hacker per combattere le mafie. In Emilia Romagna la macchina investigativa si mette in moto utilizzando, appuntano gli investigatori, «nuove tecnologie in grado di fronteggiare l’utilizzo, da parte dei gruppi criminali, di strumentazioni in grado di impedire le captazioni telefoniche». Grazie a un “Imsi catcher”, dispositivo che agisce come un “falso ripetitore”, si verifica la presenza, nell’area interessata dal monitoraggio, di tre dispositivi con tecnologia Sky Ecc. Appartengono a Giovanni Generoso, Gennaro Lonetti e Francesco Silipo, i tre calabresi «che avevano incontrato l’undercover il 4 dicembre 2020 e il 26 gennaio 2021, consegnandogli complessivamente 850mila euro in contanti». È a questo punto che le indagini incrociano il lavoro delle polizie di mezza Europa sui telefoni criptati. Comparando i codici Imei dei dispositivi utilizzati da Generoso, Lonetti e Silipo con il database emerso dalle operazioni del joint investigation team arriva la conferma: i tre usano Sky Ecc. E la rete si amplia: sono molti i «soggetti in contatto con gli indagati» per presunti «episodi di compravendita di rilevanti quantitativi di stupefacenti di varia natura». Oltre a “Nudols” o “Ronny” e il suo braccio destro Giuseppe Giorgi, ci sono “Chapo” (Gennaro Leonetti), “Giulio” (Giovanni Generoso), “Lucky” (Pietro Costanzo), “Don Peppe” (Giuseppe Cistaro), “Toto” (Francesco Procopio) e altri finiti nella rete della Dda di Bologna.
Parte l’analisi dei dati: centinaia di migliaia di messaggi e migliaia di immagini e file audio. Un lavoro enorme che si permette di «accertare l’esistenza di un sodalizio criminoso di natura transnazionale, facente capo al latitante Romeo, soggetto di primo piano della ‘ndrangheta calabrese, in grado di movimentare enormi quantitativi di stupefacente di varia tipologia e di relazionarsi con i più importanti cartelli del narcotraffico sudamericano». Una volta “bucato” il sistema di criptazione non è difficile individuare il capo del cartello di San Luca. Il 21 marzo 2020 “Nudols” invia un selfie che lo ritrae mentre si trova a casa con il Covid. Il neo sullo zigomo destro, quello sotto l’occhio destro, il sopracciglio destro più “rado” nella parte finale e un altro neo sopra il labbro sono segni distintivi inequivocabili. Ancora più chiara la chat del 22 ottobre 2019, quando si presenta al proprio interlocutore in spagnolo: «Ma il nome vero mio… Giuseppe… questo è il nome… il cognome è Romeo». Dai riscontri con la storia familiare arrivano altre conferme. Quando la situazione di suo padre, gravemente malato, viene gestita in maniera sgradita al latitante in un istituto penitenziari, “Nudols” pronuncia la frase «Conoscerai chi è Maluferru». In effetti, suo padre Antonio, detto “Cento Capelli”, è morto per una patologia tumorale il 24 maggio 2021, meno di un mese dopo essere uscito dal carcere di Parma, dove era recluso in regime di 41 bis. Il 15 settembre 2020, Romeo si lamenta delle attenzioni rivolte dalle forze dell’ordine alla sua famiglia e riferisce che «la madre era stata denunciata per truffa ai danni dello Stato, in quanto “veniva pagata in forestale senza lavorare”». La verifica conferma: la donna avrebbe «falsamente attestato “di aver svolto attività lavorativa in giorni in cui si trovava in posti diversi da quello di lavoro”». I guai giudiziari di famiglia continuano, prima con la latitanza finita a Barcellona nel marzo 2021, poi con l’inchiesta dell’antimafia emiliana. I magistrati scoprono che il clan di Giuseppe Romeo continuava a fare affari anche senza di lui. Gli affari continuano anche quando, citando “C’era una volta in America”, “Noodles” va «a letto presto». (p.petrasso@corrierecal.it)
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