CATANZARO Aveva la possibilità di fornire pesce (fresco e congelato) in modo quasi esclusivo, oltre che alle strutture ricettive di Nicotera marina, a numerose altre strutture della costa vibonese, del litorale lametino e parte del reggino e questo perché Assunto Megna dal fianco del clan Mancuso non si era mai staccato. E questo nonostante la brutta lite con il ramo ‘Mbrogghia alla quale era seguito un rogo che aveva bruciato la casa in campagna di Assunto Megna.
Ma procediamo con ordine.
A parlare con i magistrati della Dda di Catanzaro è Emanuele Mancuso, 35 anni, collaboratore di giustizia, l’unico di un casato di ‘ndrangheta così potente. Figlio di Pantaleone Mancuso, alias “l’ingegnere”, Emanuele Mancuso nel decreto di fermo dell’inchiesta “Imperium” viene descritto dai magistrati della Dda di Catanzaro come «assai estroso, attivo sui social network e diametralmente opposto al basso profilo tenuto per decenni dai suoi parenti». Allo stesso tempo, questo ragazzo che si dedicava prevalentemente alla coltivazione di marijuana e che ha deciso di saltare il fosso il 18 giugno 2018 viene giudicato assai credibile: «Le sue dichiarazioni appaiono sin da subito autentiche e genuine, fornendo sostanziali riscontri a quanto emerso dalle indagini».
Mancuso dimostra di conoscere bene Assunto Megna, anche perché il figlio Giuseppe è stato per diverso tempo fidanzato con la sorella di Emanuele, Desireè, «fidanzamento per il quale entrambe le famiglie erano favorevoli per un possibile matrimonio». E lo stesso Assunto si è mostrato fedelissimo a Pantaleone “l’ingegnere” (in foto) nel momento in cui questi era detenuto in Argentina. Megna «si sarebbe recato diverse volte in Argentina e, unitamente ad un suo amico natìo di San Ferdinando, soggetto assai influente e di buona posizione economica, avrebbe anche curato e gestito la permanenza della madre in Argentina. Proprio in Argentina, Megna avrebbe sostenuto le spese legali in favore del padre oltre che preoccuparsi della incolumità durante il periodo di detenzione nelle carceri argentine. Inoltre Megna, unitamente al suo amico, avrebbe dovuto occuparsi anche di far rientrare in Italia il denaro (100mila euro) sequestrato al padre in seguito al suo arresto».
«Megna – racconta Emanuele Mancuso – partiva per l’Argentina per dare supporto economico e supporto in tutto, in senso lato, generale. Talché conosceva un soggetto di San Ferdinando, come ho già riferito, di peso, che aveva dei grossi contatti in Argentina. Comunque Megna aveva porte aperte lì… No, in pratica Megna, siccome là i carceri non sono come qua, là la stanza te la devi comprare, là la vita te la devi comprare a soldi, poi mio padre era pure imputato là per false… per scambio di persona, per……false generalità e rischiava una pena di 3-4 anni e loro gli hanno trovato un avvocato, stavano vedendo di sistemare la situazione. Infatti è uscito pulito dall’Argentina con una condanna dalla pena sospesa, se non sbaglio». Con l’uomo di San Ferdinando la famiglia Mancuso era in obbligo tanto che questo soggetto «ogni anno trascorrerebbe le sue vacanze estive presso la struttura ricettiva hotel Cliffs di Joppolo nonché presso il Sayonara Beach a Nicotera Marina».
Per quanto riguarda l’hotel Cliffs di Joppolo, Assunto Megna avrebbe, negli anni, accumulato grossi crediti nei confronti dei fratelli proprietari delle due strutture (Sayonara e Cliffs) per delle forniture di pesce e derivati. Grazie «a tali crediti e all’impossibilità dei fratelli di assolvere alle proprie obbligazioni, il Megna avrebbe ottenuto, come contropartita, la gestione dell’hotel Cliffs per il tramite di varie società precostituite per lo scopo; ovviamente il fatto che Megna avesse ottenuto la gestione di fatto dell’hotel Cliffs, non poteva non prescindere dal benestare dei vertici della famiglia Mancuso con i quali avrebbe negli anni sempre spartito i proventi derivanti dalla gestione della menzionata struttura ricettiva».
«Il passaggio del Cliffs hotel – racconta il collaboratore – ad Assunto Megna è sempre sottoposto al vaglio e alla benedizione del clan Mancuso, cioè ci mancherebbe, il debito non ce l’aveva solo Megna, ce l’ha pure mia zia Rosaria Rita Del vecchio con il Cliffs hotel, cioè che lui c’ha un milione di euro e mia zia ne ha 200mila di credito con il Sayonara, non vedo il perché Assunto dovrebbe requisire il Cliff, mentre mia zia dovrebbe stare lì a fare bocca muta…».
Secondo quello che racconta Emanuele Mancuso, Megna sarebbe sempre stato «organico ed intraneo alla famiglia Mancuso». Prima legato al ramo ‘Mbrogghia, ai figli di Peppe ‘‘Mbrogghia (Domenico ed Antonio), un rapporto interrotto bruscamente dopo una lite «e, tra le varie conseguenze, oltre a minacce di morte proferite da Domenico Mancuso, è stata bruciata la casa in campagna di proprietà del Megna, casa in passato abitata dai suoi genitori ed ubicata nei pressi del campo sportivo di Nicotera Marina; la casa è stata immediatamente ricostruita onde evitare eventuali indagini delle forze dell’ordine oltre che per non minare il consenso sociale del Megna nel comprensorio». Perché, come spiega Emanuele Mancuso, è «una questione di consenso sociale, perché se bruci una casa a un soggetto del genere, la gente può pensare che non vali più nulla». Dopo la lite Megna si è avvicinato a Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni” ma la la scarcerazione di MANCUSO Luigi avvenuta nell’anno 2012, e il quasi contemporaneo arresto di Scarpuni avvenuto nel marzo del 2013, avrebbero fatto si che Assunto Megna transitasse nell’articolazione “unitaria” retta da Luigi, detto il Supremo, capo storico del casato, mettendosi a sua completa disposizione. E quello che dice Luigi Mancuso è legge.
«No, Luigi comanda, procuratore. Luigi, quello che dice è legge. Ma te lo dice in un modo – appunto io parlo di carisma – che non gli puoi nemmeno dire di no, non gli puoi dire di no, ti porta al punto di fare quello che vuole lui, trova sempre, per ogni persona il modo di rapportarsi. E come poteva Megna dire di no a Luigi Mancuso? Sennò di che cosa stiamo parlando?». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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