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l’inchiesta

Il villaggio turistico della ‘Ndrangheta e l’imprenditore che preferisce «pagare i delinquentoni» del clan Mancuso

Le valutazioni del gip sul «mondo Sayonara». Giuseppe Fonti si «autoconvince che è tutto lecito» ma il suo ruolo è «essenziale alla sopravvivenza della cosca»

Pubblicato il: 01/08/2023 – 12:41
di Pablo Petrasso
Il villaggio turistico della ‘Ndrangheta e l’imprenditore che preferisce «pagare i delinquentoni» del clan Mancuso

VIBO VALENTIA Al centro dell’inchiesta della Dda di Catanzaro sull’influenza del clan Mancuso nel settore turistico-alberghiero c’è quello che il gip distrettuale Gilda Danila Romano definisce il «mondo Sayonara». Vicenda complessa, quella legata al villaggio di Nicotera, nel quale la cosca ha un ruolo preponderante. Ed emerge «il coinvolgimento a vario titolo di plurime figure – apparentemente estranee al mondo criminale di riferimento – imprenditori anche anonimi, sempre secondo il punto di vista originario dell’indagine, anche di altro contesto territoriale che, tuttavia, da una comparazione fra quanto i documenti societari dipingono e quanto emergente dalle indagini espletate sono apparsi addentrati nel contesto criminale». Nel «mondo Sayonara» si muove (anche) Giuseppe Fonti, imprenditore di Cittanova accusato di aver architettato «una complessa operazione di finanziamento, finalizzata ad acquisire dall’asta relativa al fallimento della Sayonara srl – d’intesa con il fallito Antonio Ranieli (ora deceduto, ndr) – la proprietà del villaggio Sayonara» per metterla «a totale disposizione della cosca Mancuso, stipulando un contratto di locazione con la società di gestione individuata dal vertice Luigi Mancuso e dal suo factotum Assunto Natale Megna». L’accordo iniziale vede Fonti impegnato a rilevare la struttura per poi restituirla a Ranieli entro un anno. Quando quest’ultimo non riesce a reperire il denaro necessario a riacquistare la proprietà, l’imprenditore si sarebbe attivato per estrometterlo, «raggiungendo – secondo l’accusa – un accordo sinallagmatico con la cosca Mancuso». L’accordo raggiunto vedrebbe Fonti versare al clan «nell’arco di dieci anni» 600mila euro, importo che «sulla base delle disposizioni impartite da Luigi Mancuso, doveva essere decurtato dai canoni di locazione mensili, versati dalla società di gestione Cora srl, di fatto amministrata da Francesco Rapisarda e Agatino Conti», entrambi indagati. 

Fonti teme per la nomea del villaggio ma «accetta aiuti e richieste dei Mancuso»

Luigi Mancuso

Il gip sottolinea che «l’arrivo di Fonti nel mondo Sayonara trova il suo fondamento nei datati rapporti che egli ha con la precedente gestione Ranieri-Polito, e in particolare con Antonio Ranieli». Lo conosce da sempre, frequenta la sua famiglia «e conosce, per quanto di qui di più pregnante interesse, i rapporti che Antonio Ranieli aveva con la cosca Mancuso e segnatamente con il reggente Luigi Mancuso». L’inchiesta evidenzierebbe che Fonti sia «consapevole sin da subito della realtà in cui entra (una area geografica a forte connotazione ’ndranghetistica) e che vi insiste proprio la cosca Mancuso che m«antiene le redini della struttura e di tutto ciò che vi gravita: gestione, introiti, rapporti con gli imprenditori della zona, sfruttamento della struttura per interessi criminali extra imprenditoriali». Da cliente, Fonti avrebbe «da sempre carpito le potenzialità economiche e che abbia inteso sfruttare con questo suo inserimento». L’imprenditore, sono sempre valutazioni del giudice per le indagini preliminari, «soffre durante il primo anno per l’accordo stretto con Ranieli che potrebbe portarlo a restituire la macchina Sayonara» e «ha timore che la nomea del villaggio (legata alla famiglia Mancuso) possa avere delle ripercussioni sulla sua persona». Quanto, però, «vede concretizzarsi la possibilità di diventare padrone esclusivo del villaggio lavora alacremente in tal senso e accetta gli aiuti e anche le richieste dei Mancuso mediate da Megna».

«Preferisce pagare i delinquentoni perché è più conveniente che versare le tasse» 

Queste richieste vengono ritenute da Fonti «se non proprio legittime, comunque non del tutto criminali». Forse, valuta il magistrato, «è soprattutto a se stesso che racconta la favola della necessità di sopravvivere in una realtà del genere, ritenendo di doverlo fare per avere grandi vantaggi – lavorare in un’area dalla forte concorrenza pilotata (…) – e ritenendo di poterlo fare senza sporcarsi le mani». Fonti «vuole tracciare i pagamenti, vuole evitare incontri personali e dazioni a tu per tu con Megna e con Mancuso – vantandosi di non essere mai andato a cena con un Mancuso – rallegrandosi del fatto che i soldi vanno a chi devono andare senza però che li tocchi lui, perché è Rapisarda che li consegna». «È evidente – continua la disanima – la malafede di Fonti, che si contraddice in maniera chiara quando vorrebbe autoconvincersi che è tutto lecito, soffre ma vuole avere un guadagno, preferendo pagare tali delinquentoni perché tali sacrifici pagano di più di un mutuo e delle tasse da versare allo Stato». L’imprenditore entrato nel «mondo Sayonara» darebbe «un contributo essenziale alla sopravvivenza della cosca fornendo la garanzia di avvalersi a tutto tondo del villaggio: da sempre luogo sicuro (i famosi incontri con le cosche siciliane, i festeggiamenti per gli eventi personali garantiti da Ranieli) e da sempre soprattutto fonte inesauribile di entrate». È, questa, la prima fase di gestione del Sayonara e Fonti viene considerato «un soggetto di grande importanza per la sopravvivenza della cosca». Il suo contributo diventerà ancora più significativo «quando nei forti momenti di fibrillazione», come  quello registrato in corrispondenza all’inchiesta Rinascita Scott «la cosca necessita nuovamente di godere di azioni collaterali e satellitari che possano garantirne la continuità». (p.petrasso@corrierecal.it)

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