Calabria senza reddito di cittadinanza, Cersosimo: «Di certo aumenterà la povertà»
Per l’economista la riforma del governo presenta una falla: l’occupabilità. «Dopo un anno saranno poveri come prima, senza lavoro ed alcun sostegno»

COSENZA È partita la prima fase dell’era post Reddito di cittadinanza. Una stagione nuova voluta fortemente dal Governo Meloni che ha rottamato la misura principale della politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà finora operativa nel Paese varata dal primo governo Conte nel 2019. Una misura che mirava, nelle intenzioni degli ideatori, ad «abolire la povertà in Italia», stando ai proclami dell’allora vice premier Luigi Di Maio.
Dal primo settembre hanno debuttato il Supporto per la formazione ed il lavoro (Sfl) ed il Sistema informatico per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl). Si tratta nel primo caso dello strumento, previsto dall’esecutivo e destinato agli ex percettori del reddito di cittadinanza considerati “occupabili”. Questi otterranno un’indennità di 350 euro mensili per un anno a condizione che si iscriveranno sulla piattaforma Siisl partecipando a progetti di formazione, qualificazione o riqualificazione professionale. Inoltre per potere ottenere quella indennità si dovrà dimostrare di aver un’Isee inferiore a 6mila euro.
Soltanto per le famiglie nel cui nucleo ci sono minori, disabili o con più persone ultra sessantenni o in carico ai servizi sociali, continueranno a ricevere il Rdc però fino a dicembre prossimo. Dopo di che dovranno far domanda per ottenere l’Assegno di inclusione. Altra nuova misura varata dalla riforma targata Meloni che consente a chi ha un’Isee inferiore ai 9.360 euro ed il reddito familiare sotto un certa soglia, di ottenere un’erogazione di 500 euro per 18 mesi.
Una mannaia per migliaia di percettori di reddito di cittadinanza che ha comportato già la revoca del sostegno per decine di migliaia di famiglie. Stando ai dati dell’Inps alla fine saranno oltre 240mila nuclei familiari a vedersi notificata l’azzeramento della misura.
E la Calabria che risulta tra le regioni con il tasso di inclusione più elevato (il rapporto tra il numero di persone raggiunte dalle misure di sostegno e la popolazione residente), pagherà dazio.
Una situazione che solleva più di un timore per il futuro di migliaia di famiglie calabresi più fragili. Soprattutto in questa fase di transizione verso le novità introdotte dal governo Meloni.
E sono in molti a sollevare dubbi sull’efficacia delle nuove misure come strumento di contrasto alla povertà, ma anche come sistema per far incrociare domanda ed offerta di lavoro. Specialmente in un territorio, come quello calabrese, in cui è atavica la fame di occupazione.
Tra questi c’è l’economista Domenico Cersosimo, già professore Unical che si dice «certo» che l’azzeramento del Reddito di cittadinanza comporterà «l’aumento della povertà assoluta in Calabria». Il “vulnus” principale, intravisto dall’economista, al corretto funzionamento del sistema in Calabria resta quello legato al concetto di “occupabilità” introdotto dalla riforma. Per Cersosimo, quelli che usufruiranno del nuovo meccanismo a causa della mancanza di offerta di occupazione sul territorio, «dopo un anno saranno poveri come prima, senza lavoro e per di più senza alcun sostegno».

Ormai sono migliaia i nuclei familiari in Calabria che resteranno senza reddito di cittadinanza (Rdc). L’ultima sospensione ne interessa circa 3.000. Intravede un rischio di bomba sociale per la regione?
«Allo stato attuale non penso che ci sia un “rischio di bomba sociale” in Calabria. Non vedo soggetti collettivi interessati a costruire una piattaforma e una mobilitazione sociale con e per i poveri, per lottare contro le disuguaglianze e l’ingiustizia sociale crescenti nel capitalismo italiano. Tanto nel mondo sindacale quanto, ancor più, in quello che è rimasto dei partiti, la “questione povertà”, che riguarda sia i poveri di reddito, sia il lavoro povero, che la povertà educativa, non trovano attenzione e rappresentanza adeguate da tempo. I poveri frequentano poco le urne, sono soggetti “irregolari”, difficilmente organizzabili, è “faticoso” scovarli, ascoltarli, immaginare percorsi di mitigazione e di fuoriuscita personalizzati dall’indigenza; per questo i poveri e le povertà sono fuori agenda. Né intravedo, a parte sparute eccezioni, sussulti di responsabilità e prese di posizione da parte delle élites più avvertite delle università, delle scuole, delle chiese, dei giornali, dei soggetti consapevoli che l’aumento delle disuguaglianze implica uno svantaggio di sistema, che la crescita della povertà diminuisce il benessere collettivo e la sua sostenibilità nel tempo, anche quello dei ricchi. Spero di sbagliare, ma la mia impressione è che assisteremo a piccole fiammate di proteste più o meno rabbiose, a qualche forma di ribellismo localistico, semmai a qualche gesto eclatante isolato, come stiamo assistendo da qualche settimana a Napoli e in Campania e in questi ultimi giorni anche a Cosenza. È invece certo che la soppressione del Reddito di cittadinanza implicherà un aumento della povertà assoluta in Calabria e nel resto del Sud; centinaia di migliaia di famiglie e di singoli non avranno neppure l’essenziale, come mangiare e vestirsi adeguatamente, avere un tetto dove dormire, comprare i quaderni ai figli, curarsi. Temo che si tratterà di un impoverimento “silenzioso”, che verrà assorbito nei meccanismi consolidati della nostra società regionale “ruminante”, che digerisce con rassegnazione il peggioramento».

Eppure il Governo ha rassicurato che non lascerà nessuno da solo. Basteranno le misure introdotte per riassorbire quanti in Calabria usciranno dalla “protezione” del reddito di cittadinanza?
«Che il governo non lascerà “nessuno da solo” è soltanto un’iperbole populista falsa; uno dei tanti espedienti politicisti di manipolazione della realtà. È vero l’opposto: la scomparsa del Rdc determinerà un aumento della solitudine e del senso di abbandono in moltissimi poveri, che ripiomberanno di colpo nelle difficoltà e nell’incertezza quotidiane più estreme. Non solo, tanti poveri privati del sostegno economico, per quanto modesto, avranno ripercussioni negative sulla loro salute fisica e mentale e, più in generale, sul piano motivazionale, con una caduta della propensione all’attivazione e della fiducia sul futuro. La cancellazione del Rdc, è necessario sottolinearlo, abolisce il diritto costituzionale di ogni cittadino, a prescindere dall’età e dalla condizione lavorativa, a un’esistenza decente, minimamente accettabile. Un arretramento secco: nel 2024 l’Italia sarà nuovamente l’unico Paese in Europa dove non sarà garantito un sostegno economico a tutte le persone in condizione di povertà assoluta. Con l’aggravante che si trasferiranno risorse finanziarie dai poveri ai ricchi, dagli indigenti agli imprenditori».

Tra i detrattori del Rdc, si sostiene che in molti ne avrebbero approfittato per non lavorare o che quel meccanismo non avrebbe stimolato la ricerca di un lavoro. E la Calabria, per numeri, è tra quelle regioni che ne avrebbero più tratto beneficio. Qual è il suo pensiero?
«I nuclei familiari percettori del reddito di cittadinanza sono relativamente più alti in Calabria e nelle regioni meridionali semplicemente perché è nel Sud che si concentra più che altrove la povertà assoluta. La distribuzione territoriale del Rdc è determinata dalla geografia dei poveri che, come è noto, penalizza particolarmente il Mezzogiorno. È del tutto fisiologico dunque che i beneficiari del Rdc siano sovra-rappresentati nelle regioni del Sud; esattamente come i bonus e gli incentivi alle imprese che finiscono per essere indirizzati soprattutto alle imprese del Centro-Nord, ossia dove più densa è la matrice dei beneficiari potenziali. Non capisco dunque dove sia lo scandalo. E trovo anche del tutto “fisiologico” che un’aliquota marginale di “falsi” poveri approfittino del Rdc per catturare impropriamente risorse pubbliche destinate ai “veri” poveri. D’altro canto, non succede così, per stare all’esempio, nel campo degli aiuti alle imprese? La bassa credenza nella legalità e la strutturale inadeguatezza degli apparati di controllo della pubblica amministrazione italiana finiscono per alimentare una platea di opportunisti, faccendieri, approfittatori di denaro pubblico, spesso sostenuti da veri e propri “professionisti” specializzati nella cattura di risorse pubbliche. Visto che ci sono gli imbroglioni aboliamo il sostegno ai poveri e alle imprese, oppure adottiamo meccanismi e controlli efficaci per ridurre l’uso distorto delle risorse?».

Le nuove regole previste dal Governo prevedono un doppio binario per chi usufruiva del reddito. Il meccanismo introdotto per discriminare questo passaggio resta quello dell’occupabilità. Quali potrebbero essere gli effetti in Calabria?
«Da gennaio 2024 il Rdc verrà sostituito da due diverse prestazioni: dall’Assegno di inclusione (Adi), rivolto espressamente a contrastare la povertà assoluta delle persone che vivono in famiglia con minori, con adulti di oltre 60 anni o con disabili, e dal Supporto per la formazione e lavoro (Sfl), indirizzato invece all’attivazione al lavoro. I poveri che vivono in famiglie senza minori, senza disabili e senza over-60 non riceveranno più il sostegno economico ma potranno fare ricorso al Sfl, che prevede un aiuto monetario temporaneo di un anno per un ammontare mensile, solo 350 euro, che non consente una vita dignitosa, e che viene erogato a condizione che il beneficiario partecipi a corsi di formazione o a progetti di utilità pubblica. Sicché, mentre il Rdc, nonostante i non pochi limiti, assicurava una vita accettabile potenzialmente a tutti i poveri, con la riforma del governo Meloni molti poveri saranno privati di ogni aiuto economico. Il sottoinsieme di poveri non “meritevoli” dell’Adi, è infatti considerato dalla riforma come composto da persone genericamente “occupabili” e dunque indirizzati ai corsi di formazione. “Occupabili”, si noti bene, non perché dotati di particolari capacità, abilità, caratteristiche e competenze professionali o esperienze di lavoro pregresse, bensì semplicemente perché non vivono in nuclei familiari con minori, over-60 o disabili. L’“occupabilità” dunque come espediente semantico per negare a milioni di poveri il sostegno economico e il diritto ad una vita decorosa. Per i poveri residenti in Calabria e nel resto del Sud, il “doppio binario” sarà particolarmente penalizzante dal momento che gli “occupabili” che pure decideranno di frequentare i corsi di attivazione al lavoro si troveranno a fronteggiare un’inadeguatezza endemica della domanda di lavoro locale: dopo un anno saranno dunque poveri come prima, senza lavoro e per di più senza alcun sostegno. Il governo finge di non sapere che il mercato del lavoro calabrese e meridionale è in larga parte un mercato dell’offerta e che il problema è la penuria assoluta di occasioni di lavoro, in particolare di occupazioni stabili, legali, emerse e retribuite secondo gli accordi collettivi sindacali. Il governo finge anche di non vedere che in Calabria e in larga parte del Mezzogiorno, il lavoro non è di per sé una garanzia per fuoriuscire dalla povertà: molto spesso infatti precarietà estrema e salari scandalosamente bassi non consentono agli occupati di uscire dalla trappola di “lavoratori poveri”. Senza una estensione dell’Adi a tutti i poveri, il prossimo anno la Calabria farà i conti con una crescita elevata di singoli e di famiglie in condizione di indigenza, con implicazioni rilevanti sulla sostenibilità sociale e civile. Ciò non toglie che per persone povere effettivamente “occupabili”, ossia con caratteristiche e capacità adeguate per aspirare ad un’occupazione di mercato, sarebbe utilissimo oltre che auspicabile un programma ben congegnato di rafforzamento delle competenze professionali per l’inserimento lavorativo».

Il governo inoltre punta alla rete dei servizi sociali da un lato e ai centri per l’impiego dall’altro per regolare sia quanti avranno bisogno di servizi di assistenza, sia quelli che dovranno essere “riavviati” al mondo del lavoro. Su entrambi la Calabria segnatamente registra forti criticità. Come se ne esce?
«Oltre ai problemi strutturali appena accennati, i calabresi poveri saranno costretti a fare i conti con un’infrastrutturazione primordiale e del tutto inefficace dei servizi pubblici locali sia nel campo socio-assistenziale che in quello formativo-lavorativo. La riforma del Rdc prevede che potranno usufruire dell’Adi anche le persone in condizioni di svantaggio, anche se appartenenti a nuclei senza minori, anziani o disabili, purché inserite “in programma di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali”. L’attuale sotto-dotazione di personale e di figure professionali adeguate dei servizi sociosanitari territoriali è così marcata e persistente, e in aggravamento, che difficilmente saranno in grado non solo di prendere in carico eventuali ulteriori “persone svantaggiate” che usufruiranno dell’Adi, ma anche di migliorare decisamente la qualità e l’efficacia dell’offerta di servizi. Lo stesso discorso vale per i Centri per l’impiego: sebbene di recente potenziati in termini di organico, continuano a funzionare come luoghi burocratici, inefficaci e di assoluta irrilevanza per le sorti dei disoccupati alla ricerca di lavoro. È difficile dire cosa fare. La situazione è così grave e incancrenita che tutto sembra immodificabile. Quello che a me appare certo è che sia necessaria una discontinuità radicale nelle strategie e nelle missioni regionali, nell’organizzazione e nelle modalità di funzionamento dei centri, oltre che di un irrobustimento quantitativo e qualitativo rilevante dell’organico».

Quali misure potrebbero essere attivate ad esempio dalla Regione per affrontare questa situazione?
«In questo campo, la cosa migliore, a mio avviso, sarebbe che la Regione non “toccasse palla”. La dotazione, l’organizzazione e la qualità dei servizi sociosanitari e assistenziali è persistentemente disastrosa, con conseguenze drammatiche per famiglie, giovani e bambini, per cui sarebbe auspicabile una “sottrazione” piuttosto che un ampliamento dei poteri di intervento della Regione. Clientelismo, particolarismo, improvvisazione e pressappochismo sono i caratteri dominanti dei servizi pubblici regionali tanto nella sfera delle politiche attive del lavoro quanto in quelle passive. Purtroppo anche le modalità recenti di reclutamento di nuovo personale destinato ai centri per l’impiego sembrano congegnati più per selezionare “i peggiori” che per attrarre i “migliori”. Il centro per l’impiego sembra il fine in sé, occasione per collocare amici, parenti e conoscenti, piuttosto che mezzo per provare a facilitare l’interazione tra offerta e domanda di lavoro. Formazione, lavoro, assistenza sono le aree della politica regionale dove, a mio parere, più radicale dovrebbe essere la discontinuità istituzionale e organizzativa. Per questo andrebbero affidate e progressivamente ricostruite da soggetti pubblici esterni, centrali, competenti, lontani dalle logiche di chi intenzionalmente inverte fini con mezzi». (r.desanto@corrierecal.it)