LAMEZIA TERME È già stato definito un “narcogolpe” portato avanti da narcoguerriglieri (alcuni improvvisati) che, tramite passa parola sui social e in particolare Tik Tok hanno messo in atto un disordine, prendendo d’assalto città con armi e colpi sparati a caso. Quello che sta accadendo in queste ore in Ecuador è il risultato di un sussulto criminale che, a queste latitudini, era per la verità atteso da tempo e da molti. Si tratta di un’offensiva che coinvolge le 22 bande attive nel paese andino. Il resto è cronaca di queste ore: il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza, proclamato un coprifuoco, e costretto la popolazione a rintanarsi a casa appena cala il buio. Per tutta risposta i cartelli hanno deciso di sfidare lo Stato.
Proprio qui dove il business legato al narcotraffico internazionale ha assunto dimensioni sempre più grosse negli ultimi anni, con affari sempre più ingenti, nuove rotte e nuovi capi. Come José Adolfo Macías «Fito», capo del cartello egemone in Ecuador, Los Choneros, associato a quello di Sinaloa, ed evaso dal carcere Litoral di Guayaquil probabilmente il giorno di Natale, durante una visita medica. Fuga che ha scatenato sommosse e violenze nel Paese. L’obiettivo del “narcogolpe”, come scrive il Corriere della Sera «non è prendere il potere, non è amministrare con loro uomini, nemmeno controllare lo Stato. Tutt’altro. Il narcogolpe vuole terrorizzare il Paese, ristabilire la propria supremazia sul governo e costringerlo alla negoziazione».
In Ecuador, di fatto, c’è molto in gioco e il business legato alla droga è diventato dirompente, facendo gola a molti. Troppi. Nel solo 2022, ad esempio, le autorità hanno sequestrato oltre 200 tonnellate di cocaina, stabilendo un record nuovo nel contrasto al narcotraffico. Epicentro è, soprattutto, il porto di Guayaquil, proprio la cittadina al centro delle cronache recenti. È da qui, come certificato dalle ultime operazioni, che le navi container cariche di cocaina salpano alla volta dell’Europa e in Italia. Ed è proprio lungo questa rotta sudamericana che ha un ruolo preponderante la ‘ndrangheta calabrese. Gli ultimi dati riferiti al 2022, ad esempio, spiegano come una buona parte della cocaina sequestrata in Italia (oltre 25 tonnellate) sia arrivata nei nostri porti dall’Ecuador. E basta pensare ai sequestri di 110kg di cocaina nel porto di Catania, i 208kg in quello di Livorno, i 72kg nel porto di Civitavecchia. E, su tutti, i 654kg sequestrati nello scalo di Gioia Tauro. La regia è delle cosche calabresi, in rapporti da tempo privilegiati con i narcos sudamericani.
Tra il 2016 e il settembre del 2019, sono state individuate e sequestrate oltre 62 tonnellate di cocaina nei porti marittimi dell’Ecuador. Quaranta di queste tonnellate hanno lasciato il porto principale della Perla del Pacifico. Risale proprio al 2016 il sequestro più ingente di coca in Ecuador individuato in un carico di 3.200 sacchi di sale di grano. Il test sul campo ha determinato che 474 sacchi erano sono stati miscelati con la cocaina, ciascuno con un peso approssimativo di 25 chili, per un totale di 11,85 tonnellate di coca purissima e diretta proprio in Europa.
In questi ultimi anni i narcos dell’Ecuador sono riusciti a ritagliarsi una fetta sempre più grande del mercato, in combutta con i narcos colombiani e quelli italiani legati alla ‘ndrangheta calabrese. Un dato emerso recentemente nell’inchiesta “Eureka”, maxioperazione di polizia che si è concentrata, in particolare, sul clan di San Luca e sul contrabbando di una grande quantità di cocaina dal Sud America all’Europa. Secondo i risultati dell’inchiesta, il clan avrebbe lavorato con l’organizzazione criminale Primeiro Comando da Capital in Brasile, con il Clan del Golfo in Colombia e con un gruppo di etnia albanese in Ecuador. La droga sarebbe stata portata con navi portacontainers in porti come Anversa, Rotterdam o Gioia Tauro in Calabria.
Un’altra prova dei forti interessi della ‘ndrangheta in Ecuador è stata la ricerca “The Cowboys of Cocaine”. L’inchiesta ha seguito Antonino Vadalà, membro della ‘ndrangheta. Lo stesso Vadalà, arrestato nel marzo del 2018, e localizzato dagli investigatori durante un incontro in un centro commerciale a Venezia (insieme a un altro boss) il porto in cui proprio Vadalà aveva pianificato di importare spedizioni di cocaina dall’Ecuador e dal Perù con due vantaggi. Quello veneziano, infatti, era uno scalo meno sorvegliato rispetto alla Calabria, non era dominato da nessun clan ed era la base operativa di Francesco Giraldi, l’importatore locale con cui Vadalà voleva associarsi.
Il mare (e l’oceano) è l’elemento principale per il traffico intercontinentale di droga per la ‘ndrangheta. La “strada della droga” che si trova all’altezza del “parallelo 10” a nord dell’equatore. «Considerando che il Sud America è la zona zero della cocaina – dice la giornalista messicana Ana Lilia Pérez nel suo libro Mares de cocaína – se fosse percorsa verso est come un’autostrada diritta, questa rotta attraverserebbe 25 paesi dal Costa Rica alle Isole Marshal. Copre tre oceani, numerosi mari e baie ed è un favorito dei trafficanti di droga perché questa rotta marittima offre una vasta gamma di possibilità di viaggiare in qualsiasi parte del mondo, da acque con poca vigilanza e possibilità minime di detenzione». (g.curcio@corrierecal.it)
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