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il ricordo

Il catasto della memoria di Corrado Alvaro

L’11 giugno 1956 Corrado Alvaro moriva a Roma nella sua casa di Piazza di Spagna all’età di 61 anni. Cinque anni prima, vincendo il Premio Strega con “Quasi una vita. Giornale di uno scrittore”, l…

Pubblicato il: 04/03/2024 – 19:23
di Bruno Gemelli*
Il catasto della memoria di Corrado Alvaro

L’11 giugno 1956 Corrado Alvaro moriva a Roma nella sua casa di Piazza di Spagna all’età di 61 anni. Cinque anni prima, vincendo il Premio Strega con “Quasi una vita. Giornale di uno scrittore”, l’intellettuale calabrese veniva consacrato definitivamente come uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano. In realtà il suo nome circolò subito, a partire dal 1915, nel pantheon della scrittura collaborando, in epoche diverse, con “Il Resto del Carlino”, il “Corriere della Sera”, “Il Mondo” di Mario Pannunzio e “L’Espresso” di Arrigo Benedetti. La sua vicenda umana s’intrecciò con i drammi del secolo ma nel suo peregrinare si portò sempre dietro i caratteri forti della sua regione, di quell’Aspromonte che divenne il catasto letterario della memoria, una civiltà che andava scomparendo come l’acqua d’inverno sfocia nel mare percorrendo perigliosamente le fiumare. Alvaro fu tante cose: romanziere, poeta, diarista, memorialista, giornalista, critico teatrale, elzevirista, le sue opere sono state catalogate dalla Fondazione intestata a suo nome e che ha sede nel paese natale San Luca. Il fecondo filone alvariano si arricchì poi oggi di una preziosa e curiosa riscoperta: un testo scolastico, un sussidiario scritto nel 1925, un periodo di ristrettezze economiche per Corrado Alvaro che si trovò in difficoltà per aver stilato un profilo di Luigi Alberini, il mitico direttore del “Corriere della Sera” che dovette dimettersi per aver attaccato violentemente Mussolini dopo il delitto Matteotti.
Nel 2003 l’editore Iiriti di Reggio Calabria, avvalendosi della consulenza editoriale del critico Carlo Carlino, pubblicò una ristampa anastatica dal titolo “La Calabria, libro sussidiario di cultura regionale – Calabria”. L’elegante cofanetto, nel titolo, cita due volte la parola Calabria perché il volume contiene due distinti testi: nel primo si riproduce il sussidiario pubblicato nel 1926 dall’editore Giuseppe Carabba di Lanciano, nel secondo testo c’è la trascrizione della conferenza tenuta da Alvaro al Lyceum di Firenze nel 1931. Come si vede la produzione alvariana è stata un cantiere sempre aperto che svelava un’incredibile freschezza contenutistica, nel senso che molti segni descrittivi della regione, seppur datati, facevano affiorare i caratteri profondi della gente di Calabria.
“Narra la leggenda – esordisce Alvaro nel suo sussidiario – che i primi abitatori della Calabria furono figli del più ingegnoso uomo dei tempi favolosi: Dedalo, il quale tentò perfino di volare, e cercò di trarre delle leggi per domare gli elementi ciechi della natura”. Una visione prospettica che fa dire, nella premessa al libro, ad Aldo Maria Morace, all’epoca presidente della Fondazione Alvaro, «Una figura di grande complessità, questa dello scrittore di San Luca, per l’ampiezza degli orizzonti culturali ed ispirativi, che congiungono magicamente il microcosmo della Calabria – il paese dell’anima che funge da sostrato a tutto il suo itinerario creativo – e la realtà europea, in cui andava ad innestarsi, ma senza scerpare le antiche radici, senza cancellare l’identità storico-culturale di padri».
È incredibile che molti degli elementi almanaccati siano di grandissima attualità, dalla descrizione dei luoghi alla lettura filologica delle risorse di cui dispone il territorio. Il volume si avvalse dell’introduzione di Antonio Delfino, suo conterraneo (di Platì), che descrisse la tradizione domestica di Alvaro nei rapporti familiari e, più in generale, col suo habitat. Nel secondo testo, davanti alla platea dell’Arno, Corrado Alvaro, ad un certo punto, dice, scrive, «Fu una delle prime preoccupazioni della mia vita di scrittore ricercare i Calabresi che ebbero diritto di cittadinanza nella civiltà centro italiana che fu in definitiva la civiltà nazionale, e di rendermi conto dell’influenza che detta civiltà ebbe nella nostra regione calabrese; un Telesio, un Campanella, un Mattia Preti, che risposero subito alla formazione della civiltà di Toscana in Italia, un abate Gioacchino da Fiore che fu ideale capostipite di San Francesco d’Assisi; ecco i due stati d’animo nei quali noi Calabresi moderni e italiani possiamo riscontare d’aver risposto alle sollecitazioni della civiltà nazionale. Che Dante si sia ricordato del calabrese abate Gioacchino come d’una altissima espressione del pensiero medievale e monastico, che Petrarca abbia mentovato il nostro frate Barlamo che gli insegnò il greco, che Boccaccio parli dell’autorità della “Genealogia degli Dei”, che il Comune di Firenze abbia avuto come primo maestro pubblico di greco il nostro Leonzio Pilato, che infine Barlamo e Petrarca, Boccaccio e Pilato si trovino insieme a iniziare l’Umanesimo, ecco fatti che legano noi alla grande tradizione».
Purtroppo la pubblicazione non diventò testo scolastico per poter raggiungere un equilibrio comparativo sul percorso culturale compiuto dalla nostra regione dall’epoca alvariana ai giorni nostri.

*giornalista e scrittore

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