COSENZA Che la ‘ndrangheta metta le mani su tutti gli affari più redditizi non è una novità. Deposte le armi, concluso il sanguinoso capitolo delle faide, i boss della mala spostano gli interessi nelle zone più ricche del Paese in cerca di guadagni facili ma soprattutto “puliti”. «La pace è buona per tutti, la guerra porta solo disgrazie», confessano due ‘ndranghetisti intercettati. Riciclare denaro sporco diventa difficile, una delle possibili vie d’uscita è di investirli in aziende e imprese in grado di accaparrarsi i bandi disponibili per la realizzazione di opere e infrastrutture. Ecco spiegato il perché, accanto ad ogni grande progetto si prospetta, quasi sempre, il pericolo di infiltrazione da parte della criminalità calabrese. Alessandra Dolci, a capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano spiega – in una intervista ad Avvenire – come la criminalità sia diventata una holding in grado di produrre fatturati inimmaginabili fino a qualche anno fa. «C’è un’assoluta e totale accentuazione della dimensione economica delle mafie nel Nord Italia. Tante imprese mafiose o contigue alla criminalità, soprattutto calabrese, che hanno adottato modelli comportamentali tipici della criminalità economica». Cambiano i business e di conseguenza cambiano i reati commessi. Dallo spaccio di droga si passa alla violazione della normativa fiscale, dall’estorsione alla bancarotta, dal possesso e vendita di armi al riciclaggio. «Parliamo di imprese che hanno avuto una durata temporale di due o tre anni – dice Dolci – nella quale, gestendo manodopera, hanno omesso qualunque tipo di versamento di contributi e imposte».
Della mala economica aveva parlato, in una recente intervista al Corriere della Calabria, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. «Credo che le mafie abbiano cambiato prospettiva». Si parla di una criminalità meno armata. «Più che bombe, nel senso tradizionale del termine, oggi sono capaci di sganciare bombe finanziarie. Mi riferisco alla loro enorme ricchezza. Sganciano bombe finanziarie sull’economia legale, sulle regole del mercato e diventano protagoniste all’interno di scenari sempre più ampi di azioni destabilizzanti, certamente antidemocratiche, che siamo oggi chiamati a contrastare con strumenti sempre nuovi e diversi».
La procuratrice Dolci conferma il “new deal” dei clan calabresi. «Nelle indagini riscontriamo appalti affidati a consorzi di cooperative, consorzi che in realtà sono scatole vuote con uno o due dipendenti, che hanno dietro gruppi di cooperative, le quali sono meri contenitori di manodopera con durata temporale molto limitata. Giusto il tempo di sfuggire agli accertamenti dell’ispettorato del lavoro e delle agenzie di contrasto all’evasione fiscale. Quindi si ha una massa di lavoratori ai quali non vengono versati i contributi previdenziali, che spesso sono vittime di caporalato, le cui prestazioni vengono messe a disposizione di imprese medio-grandi, che se ne avvantaggiano, potendo usufruire di una maggiore flessibilità del processo produttivo e soprattutto abbattendo i costi della manodopera». Il risultato finale è drammatico. «Un mercato drogato, una concorrenza falsata, un danno per l’erario e per i lavoratori, con i contributi non versati».
Quanto sostenuto dalla procuratrice apre evidentemente ad una riflessione necessaria ed opportuna in vista delle Olimpiadi di Milano Cortina. In audizione, in commissione comunale, Dolci aveva suggerito di attuare l’efficace ed efficiente sistema di controlli adottato in occasione di Expo. «Ci sono differenze rispetto a Expo: Milano-Cortina non riguarda soltanto il contesto territoriale milanese, ma anche altre regioni. Le strutture sono realizzate da privati e c’è una convenzione di tipo privato, ma che non prevede l’accesso diretto da controllo ai cantieri da parte della prefettura. Gli accessi sono stati fatti, ma da parte del gruppo che si occupa di sicurezza sul lavoro e dell’emersione del lavoro sommerso», sostiene Dolci ad Avvenire.
L’evoluzione delle mafie non deve trarre in inganno, ci sono organizzazioni criminali capaci di rintracciare nuovi business pur restando saldamente legate al passato e all’arricchimento che passa dal narcotraffico. «Per quanto gli ‘ndranghetisti si siano infiltrati nell’economia e nella società, la droga c’è sempre e rimane la principale fonte di finanziamento da reinvestire nell’economia “legale”».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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