REGGIO CALABRIA L’indagine condotta dalla Distrettuale antimafia di Reggio, con l’arresto di 11 persone, 7 in carcere e 4 ai domiciliari, ha fatto emergere la particolare vocazione della cosca Araniti «nello svolgimento di attività criminali volte al controllo delle attività produttive del territorio, sia nel settore imprenditoriale sia nell’attività della pubblica amministrazione», scrive il gip nell’ordinanza. La cosca, infatti, negli anni si è costruita una certa reputazione soprattutto nella fase successiva alle guerre di ‘ndrangheta a Reggio, «diventato una vera e propria holding dell’attività economica criminale», lontano dall’immagine tipica di una cosca violenta.
Una strategia attuata attraverso l’avvio di imprese a gestione familiare, operanti principalmente, ma non in via esclusiva, nel settore degli appalti edilizi, la principale attività economica di interesse della cosca. Ma non è tutto: secondo le accuse dell’Antimafia – e riportate dal gip nell’ordinanza – la volontà degli Araniti di insediarsi nella gestione della cosa pubblica «non si è limitata all’acquisizione di posti di lavoro nella pubblica amministrazione o nelle società dalle stessa controllate» ma si è concentrata soprattutto nella creazione e nel rafforzamento di legami di fiducia con i candidati e rappresentanti della politica a livello regionale e locale, al fine di consolidare l’affermazione della cosca sul territorio.
Facendo leva sulla brama di vittoria elettorale dei soggetti politici coinvolti ed in cambio della promessa di procacciamento di voti, «la cosca Araniti, seguendo i modelli economici più avanzati, ha quindi puntato ad acquisire utilità spendibili non solo nel breve periodo ma soprattutto nel medio-lungo periodo», si legge nell’ordinanza. Un sistema ben congegnato dalle cosche reggine – coinvolte nell’indagine – nell’ambito degli accordi elettorali con i candidati prescelti, per gli inquirenti è «plasticamente dimostrato anche dal diverso patto di scambio politico mafioso tra Giuseppe Neri, Sergio Rugolino e Franco Gattuso, appartenente all’omonimo familiare di ‘ndrangheta, riferibile alla locale di Croce Valanidi», si legge nell’ordinanza. Secondo il castello accusatorio costruito dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, infatti, Giuseppe Neri, candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria del 2020, avrebbe «accettato la promessa di procurare voti in suo favore da parte di soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta di Reggio», e in particolare quella territorialmente riferibile al locale Croce Valanidi, al fine di « sovvertire gli esiti della ordinaria campagna elettorale» intervenendo, a pochi giorni dalle elezioni, «sull’elettorato di quell’area e zone limitrofe, al fine di imporre il voto a favore di Giuseppe Neri». La Distrettuale antimafia di Reggio Calabria aveva chiesto la misura cautelare per il reato ipotizzato di scambio politico mafioso. Per i giudici, invece, le vicende «non sembrano funzionalmente collegate tra loro» collocandosi invece «fuori dalla ipotizzata dinamica».
È in questo contesto che, secondo l’accusa, entra in gioco la figura di Daniel Barillà, finito ai domiciliari, il quale avrebbe avuto il ruolo di «rappresentante nel settore politico-istituzionale della cosca Araniti» ben noto non solo all’interno della cosca, ma anche all’esterno e oltre i confini territoriali sottoposti al suo controllo, riflettendo «la capacità di assoggettamento che il clan riesce ad operare tra coloro che entrano in qualsiasi modo in contatto con l’habitat criminale creato dagli Araniti». Secondo l’accusa, dunque, è proprio Daniel Barillà a dirigere la strategia dei brogli elettorali per conto della ‘ndrina, «controllando in modo dettagliato il voto a favore dei candidati prescelti, Giuseppe Neri per le elezioni regionali e Giuseppe Sera per quelle comunali, orientando quello dei residenti nel comprensorio di competenza della cosca», si legge nell’ordinanza. Secondo l’accusa, la cosca avrebbe attuato una complessa strategia elettorale con la contestuale scelta di più candidati da appoggiare, avendo ben presente il candidato vincente su cui convogliare il maggior numero di voti. Quindi, oltre a Neri e Sera, secondo gli inquirenti gli ulteriori candidati appoggiati, sotto la direzione di Daniel Barillà, sarebbero stati, durante le elezioni regionali del 2021, Domenico Battaglia detto “Mimmetto” e, in misura minore, Giovanni Muraca, entrambi di coalizione di centrosinistra. «La scelta, come dichiarato espressamente da Barillà in diverse occasioni, sarà funzionale sia a depistare il suo appoggio principale al candidato scelto dalla cosca, sia a non compromettere la sua immagine di politico di centrosinistra, essenziale per non attirare le attenzioni investigative e così continuare ad agire sostanzialmente indisturbato», è scritto ancora nell’ordinanza.
Secondo la tesi accusatoria, dunque, Giuseppe Neri «si sarebbe incontrato con i vari soggetti facenti parte del “gruppo di Sambatello”, siglando patti di scambio con cui garantirà la sua messa a disposizione per la distribuzione di incarichi e opportunità di guadagno». Secondo l’accusa, ad ulteriore conferma della piena consapevolezza di Neri, c’è una conversazione con Sergio Rugolino e Franco Gattuso detto “Ciccillo”, figlio del defunto capo locale di Croce Valanidi ed esponente apicale della “Provincia” ‘ndranghetista reggina. «(…) da parte nostra quello che si può fare, si fa al massimo» dice Gattuso a Neri, precisando: «logicamente platea non ne faccio perché noi siamo… non so se vi ha spiegato… periodi un pochettino brutti pure per altri motivi…». E ancora: «(…) siete una persona che si può ragionare… pensate di salire… dopo che siete là se ne parla, è inutile che parliamo…» dice a Neri che replica: «… bravo, bravo, bravo, bravo… mi piace che avete fatto un discorso… l’unico forse tra i pochi che fa un discorso concreto, serio…». Consapevole del peso della ‘ndrina a Sambatello, Neri spiegava in una conversazione intercettata: «(…) certo… no, questi… guarda te lo dico ad occhi chiusi, mille voti… tra Reggio e provincia, ma proprio perché li conosco…». Secondo l’accusa, «la dimostrazione della consapevolezza di Giuseppe Neri di aver raggiunto l’accordo elettorale non solo con Barillà ma con l’intera cosca Araniti, emergerebbe da una serie di telefonate – intercettate – effettuate nel pieno svolgimento della campagna elettorale per le elezioni regionali del 2020 ed aventi ad oggetto l’aspro scontro tra Neri e Antonino Creazzo», si legge nell’ordinanza. Quest’ultimo, discutendo con l’avversario politico, «portandolo a conoscenza delle azioni di minacce che erano state poste in essere da suoi sostenitori verso quelli del fratello Mimmo», si legge. (g.curcio@corrierecal.it)
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