«Benvenuti». Racconta la quotidianità della permanenza dei 51 medici cubani in Calabria il documentario di Antonio Nasso “Medici dell’altro mondo: un anno con i dottori cubani in Calabria”, prodotto da Gedi Visual. Poco più di un’ora per raccontare l’arrivo dei cardiologi, radiologi, anestesisti, pediatri, ginecologi, ematologi, medici di medicina generale – 13 donne e 38 uomini provenienti da tutta Cuba – che hanno accettato di lasciare le loro famiglie per imbarcarsi in un’avventura dall’altro lato del mondo. «Per tutto il 2023 – così la presentazione del documentario sulle piattaforme del gruppo Gedi – questi specialisti hanno lavorato negli ospedali calabresi di Locri, Polistena, Gioia Tauro e Melito Porto Salvo per aiutare la regione a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Questo è il racconto del loro anno passato in Italia. Tra nuove amicizie e nostalgia di casa, mesi di lavoro intenso in corsia e videochiamate quotidiane con Cuba».
Si parte dal corso accelerato di lingua italiana all’Unical, poi le tappe nei presidi ospedalieri con le testimonianze dirette dei medici, tra impegno («siamo qui perché i calabresi hanno bisogno di aiuto») e il pensiero alla nazione d’origine: «Abito qui sul mare – racconta una dottoressa cubana in servizio a Polistena – e mi ricorda Cuba. Io sono medico e mio figlio piccolo capisce che sono qui perché c’è un’emergenza. Per noi la cosa più importante è il paziente, la sua mente e la sua anima».
Il presidente Occhiuto spiega che i medici percepiscono quanto spetterebbe a un italiano con eguale contratto, specificando che «in un primo momento il governo cubano pretendeva una quota dello stipendio ma poi così non è stato» (nei 60/70mila euro l’anno di costo è previsto anche l’alloggio). La selezione di medici extracomunitari è prevista fino al 2025 ed è normata da una legge nazionale approvata nel periodo del Covid. Oggi il modello Calabria viene apprezzato da altre Regioni, spiega il governatore.
Nel documentario – che si chiude con il ritorno a Cuba – non mancano i momenti in cui sorridere, come quando un cubano racconta di come si sia dovuto “sintonizzare” con il dialetto di pazienti che dicevano «capiscisti?». Ma c’è di fondo l’empatia di questa pattuglia di professionisti catapultati in una realtà per molti versi distante da quella d’origine eppure con un comune senso di solidarietà e comprensione reciproche.
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