LAMEZIA TERME Nel 1983, a Torino, Bruno Caccia faceva il procuratore. Da qualche tempo si stata occupando di un fenomeno che, nel capoluogo ma anche in tutto il Piemonte, era ancora visto come argomento fantascientifico. Eppure, proprio a quelle latitudini, la ‘ndrangheta calabrese aveva già messo piede, solo che nessuno, tranne Caccia, lo aveva capito. «Questo bubbone va estirpato», diceva Bruno Caccia riferendosi ai rapporti di alcuni colleghi magistrati del Tribunale di Torino con ambienti vicini alla mafia.
Il magistrato, dunque, stava diventando un problema, un pericolo concreto, quindi andava eliminato. E così, il 26 giugno del 1983, esattamente 41 anni fa, il Procuratore capo verrà ucciso: 13 colpi sparati da due killer non gli lasceranno scampo. Un episodio sconvolgente ora e soprattutto all’epoca, in una Torino ancora addormentata mentre i clan della ‘ndrangheta calabrese stavano arraffando tutto. A 41 anni dall’omicidio Caccia, ci sono verità giudiziarie come la condanna all’ergastolo in via definitiva per Rocco Schirripa.
Ma una certezza: si tratta di un caso tra i più “tormentati” della storia giudiziaria del nostro Paese, fatto di luci e ombre, mezze verità e confessioni e teorie crollate davanti ai giudici. L’ultima risale allo scorso dicembre quando il Tribunale di Milano ha stabilito che, oltre a Schirripa, nel commando non ne facesse parte anche un altro affiliato alla ‘ndrangheta, Francesco D’Onofrio, di cui aveva parlato per esempio il collaboratore di giustizia Domenico Agresta, indicandolo come parte del commando già nei primi verbali resi alla Dda di Torino nel novembre 2016 ma, dalle indagini, non è emerso nulla per confermare la tesi. Fino ad oggi – come scriveva La Stampa nei mesi scorsi – del commando composto da almeno 5/6 persone che hanno sparato a Caccia sono state individuate e condannate soltanto due persone. Oltre a Schirripa, si è accertata la colpevolezza di Domenico Belfiore che sta espiando la pena all’ergastolo in regime di domiciliari: il differimento pena è stato così deciso ormai da 8 anni per gravi motivi di salute.
Oltre quarant’anni dopo, la ‘ndrangheta a Torino è ormai certezza. Le operazioni – e i processi – sono stati numerosi negli ultimi anni, certificando la presenza di ramificazioni di diversi clan su gran parte del territorio: da “Minotauro” ad “Echidna”, solo per citarne alcuni, fino a quella che qualche settimana fa ha riguardato il “re” dei mercatini di Natale o l’inchiesta della Dda di Catanzaro sui Maiolo di Acquaro e i collegamenti con Brandizzo. (g.curcio@corrierecal.it)
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