REGGIO CALABRIA «Ho le pezze d’appoggio, ormai si cambiano i campioni, andiamo lì e prendiamo un po’ di chili, e glieli caccio e glieli lascio uno due di questi e otto di quelli si tutte le buste e le altre le distruggiamo, e faccio pure il controllo io di parte, mi difendo, tipo eccoli qua, questi sono i campioni io li ho essiccati come avete detto voi e glieli ho portati là per fare il controllo, a me mi sono risultati perfetti e a voi no!».
A parlare nel corso di una conversazione captata dagli investigatori è Carmine Barone, per l’accusa incaricato al «coordinamento dei lavori delle coltivazioni illecite» e alla «vigilanza anche mediante stazionamento, perlustrazione diurna e notturna delle aree interessate dalle coltivazioni», secondo le direttive dategli dai dirigenti dell’associazione. C’erano Domenico Alvaro, “zi Mico”, e Vincenzo Violi al vertice dell’organizzazione dedita al giro illecito scoperto dalla Dda di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta “Fata Verde” che ha portato all’arresto di 11 persone, 14 in totale gli indagati. I due con il ruolo di «promotori, finanziatori, organizzatori e dirigenti degli altri sodali che operavano all’interno delle piantagioni, dirimevano i contrasti tra i sodali e adottavano le decisioni di maggior rilievo circa la coltivazione illecita e la ripartizione delle quote dei relativi proventi. Assicuravano il pagamento delle spese legali agli altri sodali nel caso di indagini a loro carico. Anche lui promotore e co-finanziatore delle piantagioni illecite di canapa, Marcello Spirlì «coordinava i lavori e gli aspetti relativi alla sorveglianza dell’area della piantagione e, in generale, si occupava di amministrare la piantagione e i sodali che gravitavano nell’area di coltivazione, eseguendo anche materialmente le colture e curando altresì la successiva fase di taglio/produzione e trasporto dello stupefacente».
Coltivazione, produzione, commercializzazione e traffico illecito di cannabis. Il giro illecito si svolgeva tra i comuni reggini di Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Taurianova, San Procopio, Candidoni e che coinvolgeva anche Lamezia Terme. L’organizzazione era in grado di riorganizzarsi rapidamente anche nei casi in cui, come effettivamente avvenuto, una parte dei sodali veniva coinvolta in altre indagini di rilievo, come nel caso più rilevante di Domenico Alvaro, arrestato nell’ambito dell’operazione “Eyphemos” della Dda di Reggio Calabria, oppure nel caso in cui le aree in cui decidevano di effettuare la coltivazione illecite venivano scoperte e sequestrate forze dell’ordine come accaduto per la prima piantagione di canapa di Lamezia Terme. Parte dei proventi era destinata alla cosca di ‘ndrangheta Alvaro, rappresentata proprio da Domenico Alvaro, a lui il sodalizio doveva dare conto anche dei mancati guadagni.
La mattina del 30 settembre 2021 i carabinieri forestali di Lamezia Terme effettuano un controllo sulla piantagione. Carmine Barone è presente sul posto. Il nipote Rosario Capogreco (anche lui indagato), riesce a trovare una via di fuga scavallando la recinzione e, così sottraendosi al controllo. Secondo il copione concordato tra i sodali, Barone esibisce la documentazione comprovante la sussistenza di un’azienda agricola a suo nome, un regolare contratto di affitto del terreno e le fatture di acquisto di semi certificati di canapa. I militari procedono quindi alle operazioni di campionamento con prelievo della coltura, a Barone vengono consegnati dei campioni in contraddittorio per le eventuali controverifiche.
«Ormai si cambiano i campioni, andiamo lì e prendiamo un po’ di chili, e glieli caccio e glieli lascio uno due di questi e otto di quelli si tutte le buste e le altre le distruggiamo. E’ a questo punto che Barone espone al nipote Capogreco la propria strategia che consisteva nel «sostituire i campioni a lui consegnati dai carabinieri dopo il prelievo della coltura (in virtù del contraddittorio garantito dalla legge), con altri campioni di canapa “legale” in modo da sottoporli autonomamente ad analisi chimica ed ottenere un risultato da opporre agli esiti delle analisi effettuate dai Laboratori per l’analisi di Sostanze Stupefacenti dei Carabinieri (LASS)».
Il controllo aveva profondamente inquietato l’uomo che manifestava «i suoi timori per lo sviluppo delle indagini sulla piantagione — ennesimo indizio della chiara illiceità della stessa — ipotizzando una contestazione associativa a suo carico e l’accostamento a un “clan”, quale prestanome, unitamente a Roberto De Fazio», anche lui indagato, «in qualità di partecipe, concedeva i terreni su cui insistevano le coltivazioni illecite di canapa, unitamente al figlio Jonathan De Fazio titolare del contratto di affitto del terreno».
L’idea criminale del Barone si spingeva «fino a proposte, dopo la loro sostituzione con canapa legale, di far essiccare i campioni della canapa estratta e poi consegnatigli dai Carabinieri, come detto illegale (poiché con THC maggiore di 0,6%), di modo da venderla in via esclusiva, unitamente ad un’altra pianta da estirpare, e cosi recuperare le “spese” sostenute dai due, per un guadagno di circa 3-6.000 euro».
Ma il controllo dei carabinieri, oltre a mettere in allarme il gruppo, li aveva indotti ad accelerare i programmi di raccolto compatibilmente con la maturazione della piantagione che doveva raggiungere un effetto drogante tale da poter essere smerciata con i canali criminali che avevano più volte dichiarato di avere, soprattutto grazie al rapporto instaurato con la cosca Alvaro e con Vincenzo Violi.
Nel corso di una conversazione Barone «rappresentava al nipote la necessità di attendere almeno altri otto giorni prima di procedere al taglio delle piante, in modo tale che le stesse nel frattempo, producessero una “resina” tale da renderle adatte alla vendita nei “loro” mercati». Su suggerimento di Spirlì poi Barone aveva chiesto a Capogreco di provare un campione della canapa nell’attuale stato di maturazione, per accettarsi del suo effetto stupefacente («se “sballa” o meno»): quest’ultimo rispondeva di non aver dubbi a tal proposito poiché l’aveva già provata da “fresca”, ossia non essiccata, verificandone l’effetto drogante: «Sballa pure… me la sono fumata pure fresca e sballa pure fresca».
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