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sostegno e intimidazioni

‘Ndrangheta, la casa all’asta e l’intervento “minaccioso” della ‘ndrina. «Te la faccio pezzi pezzi»

Nelle carte dell’inchiesta “Habanero” della Dda di Catanzaro l’episodio avvenuto ad Orbassano nel 2018

Pubblicato il: 12/07/2024 – 6:52
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, la casa all’asta e l’intervento “minaccioso” della ‘ndrina. «Te la faccio pezzi pezzi»

«Li chiami tu e li avvicini poi se vedono che capiscono bene sennò glielo diciamo chiaro… se la paghi cento ne spendi altri cento là dentro… che vuoi dire? Che te la faccio pezzi, pezzi!». Avrebbe dovuto essere più o meno questo il tenore della minaccia da riservare a chi, all’asta, avrebbe mostrato concreto interesse per una abitazione di Orbassano. Siamo nel territorio della provincia di Torino e l’immobile non è di un soggetto qualunque, ma di Cosimo Bertucci, vibonese classe ’74, indagato nell’inchiesta “Habanero” della Dda di Catanzaro contro il locale di Ariola, «perché considerato parte della proiezione del gruppo in Piemonte», già titolari in Calabria di attività di costruzione con i fratelli.

Il «sostegno corale»

In questo passaggio dell’inchiesta, in particolare, gli inquirenti sottolineano come i componenti della ‘ndrina di Acquaro, in concorso con altri sodali ormai emigrati a Torino «fossero in grado di muoversi in maniera del tutto corale, intervenendo a supporto di chiunque di loro ne avesse bisogno, risolvendo qualsivoglia questione attraverso il ricorso al metodo mafioso». E in questo caso il pericolo era rappresentato dalla possibilità di perdere all’asta una casa. Lì – come ricostruito dalla Dda – Bertucci ci viveva con la sua famiglia, ma aveva subito un giudizio di esecuzione, con il rischio – molto concreto – di perderla definitivamente. Una possibilità che sia lui che i suoi “soci” volevano scongiurare a tutti i costi. E quando puoi contare su presunti esponenti della ‘ndrangheta vibonese come Giuseppe Taverniti (cl. ’77) e Francesco Maiolo (cl. ’83) – entrambi arrestati – allora la musica può cambiare davvero.

I preparativi

È il marzo del 2018 e i tre si ritrovano a conversare in un ristorante a Torino mentre sono intercettati dagli inquirenti. Come hanno ricostruito gli inquirenti, il dialogo «verteva sul l’intenzione di questi non solo di presenziare all’asta giudiziaria, ma di intimidire i potenziali acquirenti per indurli a recedere da eventuali intenti partecipativi e di aggiudicazione dell’immobile», si legge nelle carte della Dda. «Comunque dai ci siamo, tanto o veniamo o veniamo… e poi basta che veniamo in due…» osserva Taverniti. «Perché tu a me non mi cacci dalla sera alla mattina! Quando arriva il giorno che io la devo lasciare…» e Bertucci rilancia: «Entriamo con quattro mazze dentro… pure i fili della corrente…».

La casa all’asta

L’ora “X” scatta l’8 marzo 2018 alle 15.30, il momento, cioè, in cui sarebbero state aperte le buste per la vendita giudiziaria dell’immobile. E, proprio quel giorno, Giuseppe Taverniti e Francesco Maiolo ricevono la visita di Vincenzo Pisano (cl. ’94) anche lui arrestato nel blitz, nipote di Taverniti, e considerato «braccio destro di Angelo Maiolo». I tre soggetti – come ricostruito in fase investigativa – si recano a pranzo con i due Bertucci, Cosimo e Francesco, con i quali, durante il pasto, affrontano il tema dell’asta dell’immobile che sarebbe avvenuta circa due ore dopo. «(…) se li conosci, che qualcuno va e tu lo avvicini, senza che ci avviciniamo, ci mettiamo là…» dice Taverniti al gruppo. «Eh… ma il numero di targa è già… Sappiamo pure la via dov’è, no Franco? A chi è intestato, il numero di targa della macchina a chi è intestato e la via no?». Terminato il pranzo, il gruppo si sposta nei pressi del luogo dove di lì a breve si sarebbe tenuta l’asta giudiziaria. E, una volta giunti sul posto, si accordano per rimanere di fronte all’ingresso attendendo i partecipanti all’asta. Le intenzioni poco “lecite” del gruppo emergono – secondo gli inquirenti – anche da un frase pronunciata dallo stesso Francesco Maiolo che dice a Taverniti: «(…) e pensare che 10 anni fa… già ti avevano arrestato». A sua volta Taverniti risponde: «Se mi arrestano stavolta mi faccio gay (…) festa delle donne mi porta male…».

L’appostamento

Durante l’appostamento, Bertucci segnalava agli altri la presenza di due persone che potenzialmente avrebbero potuto essere gli acquirenti, facendo intendere di averli già visti. «Sì, sono passati di qua… hanno guardato da là, come hanno visto che ho guardato si sono girati…» conferma Taverniti. E così, secondo l’accusa, il gruppo da il via all’atteggiamento intimidatorio. Cosimo Bertucci chiede all’acquirente «informazioni circa la partecipazione di quest’ultimo», si legge nelle carte della Dda. L’acquirente chiede: «È casa sua? Quindi siete l’impresario?» «Si. Ma, se partecipate mi farebbe piacere sapere, visto che è casa mia…» replica Bertucci. «(…) in realtà è la prima volta che mi approccio, volevo capire come funzionava…» replica ancora il possibile acquirente con Taverniti che si intromette e risponde: «Si ma non è una costruzione per partecipare… Ha costruito e ci abita… Lui ha costruito e ci abita… Chi la prende, prende merda. Prende merda, non gliela lasciamo così la casa…».

La casa acquistata dal cognato

Il gruppo – come ricostruito dall’accusa – è ormai posizionatosi di fronte all’ingresso in una costante attività di osservazione di tutti i soggetti sopraggiunti, ipotizzando anche di picchiare preventivamente un soggetto. «Cosimo a quest’ora è che cambia posto… che gli meniamo, prima che ci arriviamo gli meniamo e poi gli diciamo il perché, dice “no è il destino, è giusto”».  Poco dopo, però, il gruppo va in ansia e tutto perché «un vecchio» li aveva colti di sorpresa, facendo un’offerta al rialzo da 128mila a 186mila euro. Suscitando l’ira di Taverniti: «Guarda che bastardo… Guarda che figlio di pu**ana… Mi ha chiamato Franco, mentre io ero seduto qua, mi ha telefonato Franco e ha detto che era dentro lì, era lui e un altro, che no, che non contrattava che era con l’avvocato, uno con la barba…». Come ricostruito in fase investigativa, dunque, dallo scambio di battute successive emerge che il “vecchio” fosse un avvocato della Banca, inviato appositamente per far alzare il prezzo di acquisto dell’immobile. Maiolo poi «riferisce di aver provveduto a fermare il soggetto e che quest’ultimo aveva rappresentato di essere un avvocato e di aver divagato circa l’interessamento all’asta dell’immobile di Orbassano», si legge.  Come emerso in seguito, «Cosimo Bertucci, non potendo partecipare direttamente all’asta, avrebbe incaricato il cognato. Effettivamente, dall’acquisizione degli atti dell’asta giudiziaria presso il Tribunale di Torino emerge come la stessa sia stata aggiudicata proprio al cognato al prezzo di 186.010 euro. «È l’immobile che è andato all’asta… È andato all’asta… ehh… l’ha comprato mio cognato… mio cognato…», dirà proprio Bertucci mentre è al telefono con il geometra, poi prende un appuntamento presso Io studio notarile per vedere di sistemare la situazione formalmente.  (g.curcio@corrierecal.it)

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