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l’arte e le vite in fuga

Santa Maria delle Vergini è un piccolo miracolo di resistenza

«L’accoglienza è il carisma di questo luogo, già casa per piccole orfane». Ci accompagna Maurizio Misasi, consigliere d’amministrazione della Fondazione

Pubblicato il: 19/07/2024 – 14:34
di Concetta Guido
Santa Maria delle Vergini è un piccolo miracolo di resistenza

«Cosa mi manca del Camerun?». Khamis, 16 anni, sgrana gli occhi, contrae la fronte. «Non lo so». È da due mesi a Cosenza, ma già capisce un po’ di italiano. Diventa l’interprete degli altri “minori stranieri non accompagnati”. Così li definisce il Fami, il fondo per i progetti di accoglienza e integrazione del Ministero dell’Interno.
Khamis si preoccupa per gli amici egiziani. Loro parlano soltanto arabo. Eman, Abi e gli altri si sono imbarcati in Turchia e sono arrivati in Calabria dopo tre giorni di navigazione nel Mediterraneo orientale. La stessa rotta tragicamente percorsa dai naufraghi di Steccato di Cutro. Spiega loro chi sono, perché voglio sapere dei viaggi nei deserti e nei mari, delle loro famiglie, delle loro passioni. È un sabato infuocato ed è mezzogiorno. Aliou e Ibraim stanno preparando la pasta e il sugo per condirla. Pranzano tutti insieme. Poi chi è di turno lava i piatti e rassetta. Khamis ascolta, cerca di tradurre e si aiuta disegnando su fogli di carta e quando non bastano continua a tracciare segni e figure sulle sue grandi mani.

I ragazzi dell’epica moderna

Nel complesso di Santa Maria delle Vergini, mentre il resto del centro storico riposa, prende forma la narrazione dell’epica dei nostri giorni. A frammenti, in un linguaggio curioso, di sguardi, risate, arabo, italiano, francese, idiomi africani. Fatto anche di silenzi. Perché non ci sono parole giuste per raccontare a chi non ha attraversato clandestinamente frontiere armate e l’inferno libico, dove sono mamma e papà.
«Hanno storie molto forti alle spalle. Quello che è veramente commovente è che nonostante tutto continuano a mantenere i loro sogni». Alessandra De Rosa, tanta esperienza nel welfare, è presidente della Fondazione Santa Maria delle Vergini ed è coordinatrice di questo pezzo di programma Fami che accoglie  venti ragazzi a Cosenza. Altri 30 sono ospitati nell’ex seminario di Cariati. «Abbiamo chiamato tutto il progetto “Sarepta”, in riferimento alla figura biblica – la vedova scelta da Dio per aiutare il profeta Elia nel deserto, – perché siamo realtà con radici fortemente cristiane». La Fondazione ha partecipato al bando insieme con due cooperative, la Mifa e la Foco, che è la capofila. È un progetto di prima accoglienza. Significa che questi ragazzi sono appena sbarcati in Calabria e stanno iniziando l’avventura italiana.
«I primi sono arrivati il 28 agosto 2023 e da allora ne sono passati tantissimi. Dovrebbero fermarsi da uno a tre mesi ma alcuni restano più a lungo. Sinora non abbiamo avuto nessun problema, mai un ragazzo ci ha messo in difficoltà».

Le storie e i sogni

«Io in Italia voglio fare il saldatore». Khady, 17 anni, ha le idee chiare. «Hai imparato questo mestiere durante il viaggio?», chiedo. «Sì, in Tunisia». Mi passano davanti le scene del film di Matteo Garrone. «In Senegal ho fatto dieci anni di scuola. I miei genitori sono morti». «Di cosa?», viene spontaneo domandare. «Non lo so». Silenzio. Amadou vuole fare il calciatore ma gli andrebbe bene anche lavorare in un ristorante. È un ragazzone di 16 anni. Racconta di essere scappato dal suo paese guineano, di non aver detto nulla ai suoi familiari. Ancora Garrone. «Conoscete il film “Io capitano”?». È chiaro che non sanno di cosa sto parlando, ma la parola “capitano” li fa sorridere, fa animare un piccolo dibattito, forse ne conoscono il significato. 
Khamis si interessa di medicina, informatica ma se gli chiedi cosa vuole fare, risponde: «voglio correre!». E’ andato via dal Camerun nel 2023. Ha impiegato otto mesi per arrivare in Tunisia, prepararsi al viaggio e imbarcarsi. «Sono figlio unico, a casa è rimasta mia zia. Mi ha cresciuto nonna Abiba ma adesso non c’è più. Ero al campo di Sant’Anna di Crotone da una settimana, quando ho saputo che è morta anche lei».  Come il suo amico Khady non ha più i genitori. «Mia madre? E’ morta quando avevo un anno». Silenzio.
Correre è una buona idea. Lo farei anche io mentre lo ascolto. Ha lo sguardo vivace e profondo, a tratti imperscrutabile, di un minore non accompagnato che ha già vissuto la vita di almeno due adulti.

L’arte e le vite in fuga

Ci spostiamo nel chiostro quadrangolare, costruito nei primi decenni del Cinquecento, insieme con il cortile e la chiesa, su progetto del capomastro della Valle del Crati Domenico La Cava.
Santa Maria delle Vergini è un piccolo miracolo di resistenza, nonostante lo stato attuale della struttura, bisognosa di interventi di recupero. Qui le vite dei piccoli eroi dell’epica dei nostri giorni si incrociano con le antiche storie di educande, di mastri scalpellini e pittori, di opere d’arte che neanche la città sa di avere.
In un altare minore della chiesa c’è la “Madonna della tenerezza”, un’icona che i cosentini dovrebbero conoscere e valorizzare, come se fosse un reperto del Sacco di Roma di Alarico. Sono i veripezzi di tesoro della città.
Presenta al mondo il suo bambino indicandolo con una mano e appoggia la guancia sul suo capo. È un’icona di stile bizantino di fine Duecento. Ricorda la venerata Madonna del Pilerio del Duomo, che invece è raffigurata mentre allatta.

Alzi lo sguardo e incroci la bellezza di un coro ligneo dorato. È del Settecento ed è un’eredità delle suore di clausura cistercensi che hanno abitato qui fino all’Ottocento. «L’accoglienza è il carisma antico di questo luogo». Maurizio Misasi, consigliere d’amministrazione della Fondazione, indica una finestra murata: «qui c’era la ruota delle esposte. Le monache che in origine abitavano il convento, già ospitavano le fanciulle orfane». «La struttura è diventata un educandato con le Figlie di Sant’Anna, che l’hanno gestita per quasi 140 anni all’insegna dell’accoglienza e con opere di  formazione. Le suore gestivano anche una scuola aperta al pubblico. Molti cosentini hanno studiato tra queste mura». Oggi alle Vergini convivono due progetti, che impiegano complessivamente quattordici operatori socio assistenziali. Il primo, partito da più tempo  accoglie le donne in difficoltà e i loro bambini ed è dedicato alla beata Annarosa Gattorno, fondatrice dell’ordine religioso. «Da un anno si è aggiunto il “Sarepta”. Ai minori stranieri non accompagnati forniamo, oltre ai corsi di lingua, l’assistenza sanitaria, attività sportive e creative. Li educhiamo ad essere comunità – spiega ancora Misasi, – a prendersi le piccole responsabilità, come tenere in ordine le stanze e gli ambienti comuni; inoltre cucinano a turno e fanno il bucato, sempre assistiti dagli operatori».
Ci sediamo al fresco, intorno a un tavolo. Sabi riesce a raccontare, tra l’arabo e i disegni di Khamis, dei corsi di italiano che frequentano nella sede locale del Moci (il Movimento di cooperazione internazionale) e dell’associazione religiosa “Casa nostra”. «La mia maestra si chiama Caterina» dice e il suo sorriso è contagioso. Eman non si sente bene. Un’operatrice lo soccorre, accende un ventilatore, gli porge una bustina di zucchero. «Non è la prima volta che capita. Stiamo aspettando il risultato delle analisi e degli accertamenti sanitari»,  spiega.  Ousmane sta raccontando che la cosa più bella dell’Italia è la natura, che in Africa ha lasciato i genitori e che gli mancano sua madre e sua sorella. Continua a giocare con una mela gialla.

«Avete un pallone?», chiedo. In un attimo sono di nuovo tutti nel chiostro. Palleggiano, tirano, organizzano le porte.
«Ciao signora», mi saluta Khamis mentre corre.

Ps: alcuni nomi sono di fantasia, per proteggere i dati sensibili delle storie narrate

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