ROMA Lo scenario d’azione è sempre «l’habitat capitolino» dove tutte le consorterie che contestualmente operano e si interfacciano, in particolare nel settore carburanti, hanno necessità di trovare un equilibrio che, per quanto fragile, viene continuamente ristabilito. Tutti insieme in affari in un mercato che, nel corso degli ultimi anni, è diventato sempre più fiorente: quello del commercio dei carburanti. Si tratta di un settore tra quelli maggiormente sfruttati dalla criminalità organizzata per riciclare denaro e ritrarre ingenti profitti sia dal contrabbando del carburante attraverso le cosiddette “pompe nere”, che con le frodi fiscali. Come ricostruito dagli inquirenti, gli interessi per società e depositi è legato ad un guadagno «evidentemente garantito dalle ingenti quantità di prodotto che entrano quotidianamente nel mercato dei trasporti», tale da portare alla nascita di vere e proprie holding del crimine «strutturate mutuando le dinamiche proprie delle organizzazioni criminali di stampo mafioso», delle joint venture di concorrenza sleale che hanno affossato il mercato “sano”.
Da una parte l’uomo di fiducia «espressione dei Mancuso» potente cosca di ‘ndrangheta calabrese. Dall’altra la figura di riferimento delle consorterie mafiose della Capitale e sponsor del loro imprenditore di riferimento. Le indagini della PG, a partire dal settembre del 2018, hanno permesso di evidenziare la «presenza degli interessi della criminalità organizzata sul deposito “F.lli Vianello” il cui “protagonista” «ma anche regista di questa operazione sarebbe Roberto Macori, socio occulto di Piero Monti», annota la Dia. Il primo è finito in carcere, il secondo agli arresti domiciliari. Passaggio chiave è, poi, la costituzione della “Mediolanum Holding spa”, a partire dai primi giorni di marzo del 2019 e, a seguire, del gruppo di società interdipendenti con la sintesi di una «complessa rete di interessi criminali espressione parimenti della criminalità romana come la famiglia Senese, delle consorterie calabresi, Morabito e Mancuso, e campane con il clan Mazzarella, ed in particolare i clan D’amico e i Rinaldi-Formicola», annota ancora la Dia.
«… con il gasolio… Mazzarella… Mancuso, Pelle… tutta la malavita del mondo… ieri sera siamo andati a cena con questi Mancuso…». Così dirà in una intercettazione captata dagli inquirenti proprio Roberto Macori che, secondo la Dia, spiega al meglio «il livello di compromissione raggiunto da questo particolare segmento commerciale». Sarà proprio Macori, sempre secondo quanto si legge nell’informativa, «a relazionarsi con tutte le consorterie criminali che progressivamente ed instancabilmente si affolleranno per ottenere udienza» attraverso la “F.lli Vianello”, vero e proprio “portale” gestito strategicamente proprio da Macori. Le indagini degli inquirenti sulla “Mediolanum Holding Srl” «struttura societaria realizzata ricorrendo alla illecita provvista conferita da organizzazioni criminali di stampo mafioso» avrebbero consentito agli inquirenti di identificare nei sodalizi calabresi dei Morabito e dei Mancuso due distinti percorsi di avvicinamento ed investimento nella holding. Per gli inquirenti, infatti, «Roberto Macori, Piero Monti e Domitilla Strina (nell’elenco degli indagati e figlia di “Lady Petrolio”, in qualità di gestori di fatto del deposito “F.lli Vianello”, si sarebbero «adoperati in favore di Nicolò Sfara (anche lui indagato) e un altro soggetto, entrambi titolari della “Pegasus Petroli Srl” ed «entrambi intranei alla cosca Morabito» annota la Dia, per consentire a questi ultimi di «acquistare il carburante a prezzi particolarmente competitivi, attraverso l’uso di società “filtro”, reimpiegando in questo settore le ingenti somme di denaro provento delle illecite attività del clan» si legge ancora. Allo stesso modo lo stesso gruppo si sarebbe adoperato per «consentire di riciclare nelle attività della Mediolanum Holding, le provviste messe a disposizione dalla cosca Mancuso».
Parlavamo dell’uomo «di fiducia dei Mancuso». Bene, gli inquirenti lo avrebbero individuato in Antonio Cristofer Brigandì (nell’elenco degli indagati). Gli inquirenti hanno ricostruito i trascorsi familiari, a cominciare dai rapporti del padre con la potente cosca di Limbadi e, in particolare, con Pantaleone Mancuso (cl. ’47) «nell’individuazione ed eventuale mediazione di terreni a vocazione urbanistico-residenziale nel territorio di Pizzo Calabro (VV), su cui costruire alcune villette…» annota la Dia. Brigandì, inoltre, sarebbe in rapporti con «Andrea Betrò (anche lui tra gli indagati) e inserito in qualità di socio nella compagine della “Mediolanum Holding S.P.A.”, nonché nominato presidente del Consiglio di amministrazione della “Mediolanum Oil S.r.l.”» annota la Dia. «(…) non ha capito una cosa di come siamo fatti… tu con me ci litighi… mi vuoi denunciare… ma tu pensi che noi siamo diventati quelli che siamo perché…? Perché ci facciamo denunciare dalla gente e ci stiamo zitti?». È questa una frase intercettata dagli inquirenti e pronunciata proprio da Brigandì mentre discute con Monti. La Dia riporta, poi, un’altra intercettazione pronunciata mentre discutono alcuni indagati e in cui vengono “spiegati” quali potrebbero essere le “conseguenze” di litigare con la cosca Mancuso. «(…) per quel pezzo di terra… tu la vedi la televisione…? Per quel pezzo di terra… io ho fatto volare in aria a quello!! Un pezzo di terra di 20 mq…». Secondo gli inquirenti, il riferimento specifico è al terribile omicidio di Matteo Vinci, avvenuto il 9 aprile del 2018, e per il quale qualche settimana fa è stato confermato l’ergastolo per Rosaria Mancuso e per il genero Vito Barbara, ritenuti i mandanti dell’attentato.
Le attività tecniche avrebbero consentito inoltre di acquisire – attraverso le dichiarazioni autentiche rese dagli stessi indagati – elementi idonei ad individuare, proprio nelle fasi di subentro della Mediolanum Oil Srl nel deposito F.lli Fianello srl, «l’utilizzo del metodo mafioso e la forza di intimidazione della cosca Mancuso per sottrarre il deposito “F.lli Vianello” e porlo sotto il controllo di Piero Monti», annota la Dia. «(…) ma perché il deposito su come lo ha preso… quel deposito lo ha preso con le chiacchiere? Con le parole? Non ha messo un euro, uno non lo ha messo… Ha spinto tutti fuori col nome…» dice Roberto Macori mentre discute con Brigandì, con quest’ultimo che replica: «(…) ci si era messo il problema di queste famiglie con tutte ‘ste persone… mi hanno fatto mandare giù… mi hanno mandato… mio zio mi ha detto: “se devi andare vai, ho già chiamato… questi sono i numeri, queste sono le persone…” capito che voglio dire? (…) poi non c’è stato bisogno che si sono ritirati loro stessi in buon ordine, perché è uscita la notizia…». (g.curcio@corrierecal.it)
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