COSENZA C’è una visione che genera stupore – nella sua accezione più vera – che significa “provare meraviglia e sorpresa, tale da togliere quasi la capacità di parlare”. Come fosse una domenica ‘di sole e d’azzurro’ (ah, le parole di Zucchero!) che parla al cuore. Ci vuole un po’ di tempo, in termini di percorrenza, per raggiungere da Villapiana – sulla costa – il Santuario della Madonna delle Armi a Cerchiara. Ci si lascia dietro – oltre alle infinite spiagge – gli agrumeti; qualche risaia; su un lato, il letto del torrente Caldarello, che più a valle si apre nella classica fiumara calabrese, punteggiata di oleandri e di agavi centenarie. Passando per Cerchiara, che è adagiata flessuosa verso il fondovalle. Una strada tortuosa, ma che ad ogni curva in salita invita a fermarsi. Lo stupore è anche qui, visibile da un percorso che si lascia alle spalle lo specchio dello Jonio e si apre sulla stupefacente natura del versante orientale del complesso montuoso del Pollino. Ci si lascia ‘affatare’ da ogni cosa di quei paesaggi che sembrano essere stati immaginati da un Dio tutto proprio. Perché qui sopravvivono alla storia dell’uomo gli squarci, le cicatrici dei fulmini di Giove, rami protesi chissà dove, anche serpentiformi, come quelli dei faggi di Cerchiara. In mezzo, anche le forre, i dirupi, gli abissi che arrivano a misurare quasi 700 metri, come quello del Bifurto (ricordate il film “Il buco” di Michelangelo Frammartino?). Con un po’ di gentilezza data da qualche rosa canina, o la ginestra dei carbonai, i cespi di biancospino, e anche viole, le genziane, primule e rare orchidee. È così che si arriva alle pendici del Monte Sellaro – tra pietraie e boschi che odorano di resina e mistero – dove sorge il Santuario della Madonna delle Armi. Qui si incontrano storie, confini e identità, in un luogo che sembra fondersi con la natura stessa. Dai suoi 1.015 metri di altitudine, guarda in silenzio all’intera Piana di Sibari. Allunga la vista fino al Golfo di Taranto, come se il santuario fosse un faro su un mare di terre antiche, dove le storie si stratificano e ogni passo porta con sé il ritmo lento del viaggio e della scoperta.
Questo angolo del Pollino è forgiato dalla roccia e dalle grotte millenarie che hanno dato rifugio a monaci, viandanti e pellegrini. Il santuario prenderebbe il nome dal greco “ton armòn”, “delle grotte”. E infatti, le cavità e gli anfratti del Monte Sellaro sono come scrigni segreti che hanno preservato storie antiche. Secondo la leggenda, nel 1450 alcuni cacciatori di Rossano trovarono, mentre erano all’inseguimento di una cerva, due icone lignee raffiguranti i Santi Evangelisti all’interno di una grotta. Le tavolette, portate in paese, scomparivano per poi ricomparire nella stessa grotta, quasi a voler tornare alle radici del monte. Fu questo prodigio a spingere gli abitanti a edificare una cappella sul luogo del ritrovamento, che diventerà poi il santuario.
Durante i lavori di costruzione, un altro evento straordinario segnò la nascita del santuario: di un ‘mastro’ costruttore, si racconta che fosse esasperato da un operaio che continuava a riportagli indietro una pietra tondeggiante. Pur di rompere questa catena, il mastro decise di squadrarla e così, con un colpo netto, la ruppe. Forse strabuzzò gli occhi quando vide apparire, sul lato interno del masso appena spaccato, un’immagine nitida della Madonna con il Bambino. Fu presto definita achiropita, cioè “non realizzata da mano umana”. Da allora, questa immagine miracolosa, protetta da una teca barocca d’argento, è custodita all’interno del santuario e venerata dai fedeli.
Ogni anno, il 25 aprile, la comunità di Cerchiara si reca in pellegrinaggio verso il santuario per celebrare la Madonna. Si tratta di un cammino che ripercorre sentieri montuosi, tra preghiere, canti e la speranza di ricevere una grazia, proprio come avvenne nel 1846, quando il popolo in pellegrinaggio ottenne il miracolo della pioggia, tanto attesa, dopo un lungo periodo di siccità.
All’interno del santuario, un ibrido di arte e architettura. Varcando il portale in pietra bianca locale, si accede a una chiesa scavata in parte nella roccia, con una pianta irregolare a croce latina, con affreschi settecenteschi di scuola napoletana, tra cui la “Gloria della Vergine con Trinità e Santi” e il “Giudizio Universale” di Joseph De Rosa. L’altare maggiore del XVIII secolo e la Cappella dei Pignatelli raccontano una storia di continui ampliamenti e donazioni, dalle radici bizantine alle trasformazioni avvenute nel corso dei secoli grazie ai principi Sanseverino di Bisignano e ai Pignatelli di Cerchiara.
«È un luogo mistico dove si respira un’aria veramente di serenità, anche per chi non è un credente fervente» racconta Luca D’Alba, guida ufficiale del Parco Nazionale del Pollino, quando invita a vivere l’intensità di questa esperienza perché qui si può respirare la storia di una terra che ha conservato la sua anima antica.
Il Santuario della Madonna delle Armi è una delle tappe del Cammino Mariano del Pollino che, nel complesso, è un bellissimo tracciato di circa 800 km da percorrere in road bike, e circa 400 da percorre a piedi. Bene è sempre farsi accompagnare da guide ufficiali, specie se si tratta di avventurarsi per i tratti di natura più selvaggia. E magari, da qualche parte, anche sul dorso di asinelli, veri esperti di sentieri arditi. Quando si giunge al Santuario della Madonna delle Armi, si capisce però che il viaggio non finisce mai. Che ogni passo in salita, ogni curva, ogni pietra, racconta qualcosa che non si può spiegare, ma solo sentire. È lì che si avverte la forza dei passi di chi ci è passato prima, dei pellegrini che hanno camminato tra queste terre aspre e sacre, dei viandanti che hanno avuto il fiato spezzato dalla stanchezza, e delle storie che ancora danzano nell’aria, sospese tra una preghiera sussurrata e il vento che sfiora le pietraie.
È vero, non serve essere credenti per essere in un luogo come questo, ma si avverte forte che ogni cosa converge verso una presenza più grande, qualcosa che sfugge alle parole. Allora, ogni tanto, in una giornata ‘di sole e d’azzurro’, è qui che bisognerebbe fermarsi.
(redazione@corrierecal.it)
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