COSENZA Dal mondo reale a quello virtuale. Le piattaforme cambiano, la tecnologia si evolve, gli interessi mutano: anche le mafie oscillano tra il mondo reale e quello virtuale.
Libera, nel suo ultimo rapporto, accende i riflettori sul cybercrime: gli attacchi mirati con richiesta di riscatto, «in spaventosa crescita, in particolare a seguito dei due anni di pandemia». Lo stile di vita è mutato a seguito della diffusione del virus Covid e di conseguenza anche le abitudini dei lavoratori “costretti” per lunghi periodi a lavorare in smart working e costantemente al pc. Quella che qualche mese fa sembrava una riorganizzazione forzata e temporanea, si è invece trasformata in abitudine e sono molte le aziende che hanno trasferito sulla rete gran parte del lavoro. Una scelta necessaria e quasi obbligata per restare al passo con i tempi e snellire le procedure, tagliando costi e tempi di esecuzione. Ma non tutte le aziende conoscono i reali pericoli del web, sottovalutano i pirati informatici e la oppressiva presenza della ‘ndrangheta sempre attenta quando è possibile ottenere facili guadagni. Secondo i dati forniti dall’Agenzia per la Cyber Security Nazionale (ACN), nel 2023 sono stati registrati oltre 100.000 attacchi informatici contro le infrastrutture critiche del Paese. La Polizia di Stato ha registrato un aumento significativo delle denunce per cyber crime, con un incremento del 25% rispetto all’anno precedente.
Messaggi con inviti a cliccare su link fake, mail costruite per truffare i consumatori, offerte imperdibili a prezzi stracciati proposte da ignoti hacker a caccia di facili prede. Sono alcuni degli esempi di frode online, phishing e ransomware che per oltre il 40% dei casi «provengono da fonti esterne al territorio italiano». Facile immaginare come le organizzazioni mafiose abbiano iniziato a considerare la criminalità informatica come una fonte di reddito facilmente accessibile, «che richiede un investimento modesto a fronte di guadagni potenzialmente elevati».
La notte è il momento migliore per portare a termine i colpi. Il cybercriminale agisce di quando fa buio e quando le vittime sono lontane dagli apparecchi informatici. «Sempre più frequentemente, il riscatto richiesto è in bitcoin, che vengono acquistati su piattaforme di vendita, trasferiti in un portafoglio elettronico e inviati a un indirizzo fornito dall’estorsore (un codice di 27 caratteri alfanumerici). Da lì, le monete virtuali vengono “spacchettate” e fatte scomparire in paradisi fiscali come Hong Kong, Singapore o le gettonatissime Seychelles e Maldive». «Solo quando il bitcoin viene trasformato in denaro reale esiste una remota possibilità di identificare l’estorsore, ma poi bisogna confrontarsi con i Paesi offshore, che raramente collaborano con le autorità giudiziarie».
I numeri contenuti nel rapporto di Libera e che riguardano la Calabria sono allarmanti. Per quanto riguarda «le truffe e le frodi informatiche, nel 2023 sono stati registrati 7.291 reati, con un incremento del 6,7 % rispetto al 2022». La provincia di Cosenza ha registrato il maggior numero di reati legati a truffe e frodi informatiche, «con 2.343 casi, seguita dalla provincia di Reggio Calabria con 2.231 e da Catanzaro con 2.231. In termini percentuali, la provincia di Vibo Valentia è quella che ha registrato il maggior aumento di reati rispetto al 2022, con un incremento del 14%».
Cala, invece, il numero di reati legati ai delitti informatici: in Calabria, nel 2023, sono stati registrati 628 reati, rispetto ai 795 del 2022.
In occasione di una recente visita in Calabria, a Cosenza, il Prefetto Vittorio Rizzi (investigatore di grande esperienza, con un percorso professionale nel mondo della sicurezza) si è soffermato sulla capacità delle mafie di adeguarsi e sfruttare le nuove tecnologie. «La vera ricetta è rispondere ad un fenomeno criminale mondiale con una alleanza globale (…) i mezzi più incisivi ci sono ma dobbiamo essere sempre un passo in avanti rispetto a chi li usa in maniera illegale». La sfida è ardua, non solo per chi subisce attacchi informatici e finisce nella rete degli hacker ma anche per chi è impegnato quotidianamente in attività di contrasto ai criminali.
Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha recentemente avuto modo di rivelare un particolare dettaglio legato all’azione illecita commessa da un clan calabrese. «Una famiglia della ‘ndrangheta ha assoldato degli hacker tedeschi e rumeni per fare transazioni finanziarie nell’arco di 20 minuti in banche che si trovavano in 3 continenti diversi».
Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo, intervistato dal Corriere della Sera, ricorda come «consulenti e ingegneri informatici siano ormai fra le risorse più preziose anche delle organizzazioni criminali» e come «lo spazio virtuale sia divenuto il cardine organizzativo fondamentale delle forme più pericolose del crimine organizzato. Strutture e leadership criminali sono sempre più selezionate in base alla capacità di governare le tecnologie». (f.benincasa@corrierecal.it)
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