LAMEZIA TERME «Dobbiamo mangiare pure noi che siamo usciti ora dal carcere» «Questo vuole un piano, gli date un piano! Eh, non è che vi potete prendere tutto lo stadio…». Gli interessi sullo stadio San Siro a Milano e, in questo caso, quelli legati alla Curva Sud del Milan, fanno da tempo gola a numerosi soggetti attenzionati negli ultimi dalle forze dell’ordine. I loro legami e le “amicizie” più o meno dirette con esponenti della ‘ndrangheta calabrese rappresentano una carta da giocare il cui valore, spesso, è risultato fondamentale. Siamo nel 2018 e la conversazione intercettata vede protagonisti Peppe Calabrò, noto come “U Dutturicchiu”, a processo per il rapimento e l’omicidio di Cristina Mazzotti, e Domenico Vottari – soggetto con alle spalle precedenti per omicidio, armi e stupefacenti – alle quale partecipano due soggetti già noti, Luigi Mendolicchio e Giuseppe Campisi. Il primo, infatti, ammette: «Lì c’è il business, quello vero» e il secondo chiosa: «Hai voglia!».
Mendolicchio peraltro è stato coinvolto nell’operazione “Ossessione” contro il narcotraffico internazionale, risalente al 28 gennaio 2019, ed è stato condannato a 4 anni e 6 mesi. L’inchiesta, condotta dalla Guardia di finanza di Catanzaro e coordinata dalla Dda del capoluogo, aveva messo in luce una grossa e redditizia attività di narcotraffico internazionale. Due le grandi “ossessioni” (appunto) degli indagati: la paura di essere intercettati e monitorati e la continua tensione di stare costantemente sul mercato della droga. Giuseppe Campisi, invece, è considerato «referente del clan Mancuso in Lombardia». Anche lui coinvolto nel blitz “Ossessione”, è stato catturato a marzo del 2022, dopo aver scontato una precedente condanna a 30 anni per associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio (commesso a Milano) ed estorsione. Il 23 ottobre 2019 si era sottratto all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Giuseppe Campisi, inoltre, è il fratello del broker della cocaina Domenico Campisi, ucciso a Nicotera nel 2011 lungo la strada provinciale mentre si trovava in auto.
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Nel corso del dialogo, intercettato dalla pg, veniva fatto un breve accenno ai numerosi “interessi”, molti dei quali illegali, orbitanti intorno allo stadio Meazza di Milano. «(…) lì vendono fumo, vendono tutto… sai chi me lo raccontava? Vittorio… te lo ricordi Vittorio Bociocchi…». Il riferimento è ovviamente al defunto capo ultrà dell’Inter, ucciso un paio di anni fa. Le intenzioni del gruppo, quindi, erano quelle di riprendersi una “fetta” della Sud. «Vottari» annotano i pm nel fermo «avrebbe dovuto individuare dei soggetti “puliti”, quindi scevri da pregiudizi penali, necessari a mantenere i rapporti ufficiali sia con le Forze dell’Ordine che con la società calcistica del Milan», riportano ancora i pm. E, infatti, nel dialogo tra i protagonisti, questo aspetto risulta quasi decisivo. «(…) ci vogliono due persone che hanno a che fare con la DIGOS e con la Società…».
Altro aspetto non da sottovalutare e che preoccupava il gruppo era l’eventuale mancanza di “protezione” da parte dei platioti. Per questo «Vottari avrebbe sottolineato a Peppe Calabrò e agli altri presenti» annotano ancora i pm nel fermo «che avrebbe sottolineato a Saverio Trimboli, implicitamente, il suo “peso” criminale», si legge ancora nel fermo. «(…) Sarino era nella cella con me, è un bravo figliolo, solo però… ovviamente ci sono gli interessi… poi io quando l’ho chiamato da parte gli ho detto “Sarino, non vi dimenticate che siamo paesani…”». «(…) un conto è che… il rispetto loro… un conto là che si tratta di mangiare!». E ancora: «(…) questo ho detto a Totò… gli ho detto: “Vedi che io ci metto un attimo, io il prossimo anno non metto lo striscione, però ci faccio fare tutti gli abbonamenti al “primo anello blu” e stai tranquillo… che se parla qualcuno dei tuoi te lo prendo e te lo butto dalla balconata”».
Il racconto, poi, proseguiva con un altro episodio ovvero l’avvicinamento da parte del cognato di Sarino, ovvero un Barbaro, che millantava di essere stato mandato dal sanlucota, offertosi come mediatore per dirimere la controversia, spendendo anche il nome di Peppe Calabrò – a sua insaputa – circostanza che irrita “U dutturicchiu”. Come annotano i pm nel fermo, dunque, sia Calabrò che Vottari «convenivano che l’interessamento e la protezione fornita dai platioti erano frutto di meri interessi economici potendo contare su “una gallina dalle uova d’oro”», stimando un incasso settimanale tra gli 80 e i 100mila euro. «(…) si li dividono…soldi a palate con niente…». (g.curcio@corrierecal.it)
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