REGGIO CALABRIA Leucemie acute e croniche, mieloma multiplo, linfomi di Hodgkin e non Hodgkin rappresentano le principali malattie oncoematologiche, insieme ad un gruppo di patologie non tumorali ma che afferiscono sempre al difficile e complesso ambito ematologico. La ricerca da un lato e le applicazioni terapeutiche dall’altro hanno portato, negli ultimi anni, ad alcuni risultati positivi, alcuni dei quali difficilmente immaginabili sino ad un decennio fa. Percorsi incoraggianti che, in alcuni casi, danno forma e consistenza alla prospettiva della guarigione, in altri consentono di incidere sulla sopravvivenza e sulla qualità della vita. A Reggio Calabria per tre giorni il primo corso di formazione della Magna Grecia “Up-date in ematologia” ha permesso a ricercatori di tutta Italia di confrontarsi secondo una logica di condivisione delle conoscenze che da sempre rappresenta il valore aggiunto di una ricerca che vuole produrre risultati concreti.
Tra le patologie oggetto di approfondimento il mieloma «il futuro nel mieloma – dice al Corriere della Calabria Elena Zamagni, professoressa del dipartimento di Scienze mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna ed autrice 720 pubblicazioni scientifiche – è rappresentato da molte cose, una migliore diagnostica, una migliore stratificazione di rischio dei pazienti, uso delle più moderne metodiche di imaging, strumenti di detectazione della minima malattia residua. Ma il futuro del mieloma è anche terapia a durata fissa per consentire una migliore qualità della vita dei pazienti ed infine minima malattia residua sostenuta negativa, ciò apre il concetto di una iniziale possibilità di guarigione per una malattia che fino a dieci anni fa era considerata inguaribile». L’introduzione del concetto di guarigione porta a ragionare sui cambiamenti rispetto al passato «è cambiato – aggiunge Zamagni – che l’introduzione di terapie combinate con diverse classi di farmaci insieme ci permette di intercettare quelli che vengono chiamati sottocloni del mieloma che non è una malattia unica ma è fatta da tante sottopopolazioni che inducono la resistenza e diciamo che stimolano la ricaduta. Poter usare terapie combinate permette di stroncare contemporaneamente tutti questi sottocloni e permette di ottenere risposte più profonde a livello sia midollare che del sangue periferico e quindi in qualche maniera tardare la ricaduta che ancora spesso c’è nel mieloma». Ma c’è di più «il passo successivo, quando c’è una risposta profonda e duratura per un tempo ideale, sarà quello di interrompere il trattamento». Sul mieloma, ci spiega Zamagni, la prospettiva della guarigione non è peregrina o azzardata «oggi i due terzi dei pazienti beneficiano di una remissione profonda e duratura per circa 8/10 anni dopo la prima linea di terapia, allo stesso tempo devo dire che c’è un terzo dei pazienti che ha una prognosi completamente diversa, delle ricadute molto più ravvicinate. Il futuro io lo vedo in una migliore, più precoce e rapida identificazione di questo gruppo di pazienti, sui quali però dobbiamo ancora fare tanta strada». Un percorso, dunque, che richiede tempo e ricerca anche perché «nel mieloma è stato difficile inizialmente l’approccio individualizzato perché la sua biologia è complessissima, non c’è quella che insegniamo agli studenti e si chiama mutazione driver, parliamo cioè di un’alterazione che, se colpisci quella ammazzi tutti. Il mieloma è molto più eterogeneo, la biologia è migliorata così come i nuovi strumenti di stratificazione prognostica, si va insomma nella direzione giusta però ancora all’inizio i pazienti fanno tutti la stessa terapia». Quanto all’a rilevanza di questa patologia i numeri ci raccontano di un’incidenza non altissima ma con un impatto sociale rilevante «in Italia registriamo circa 5/6000 casi all’anno, è una patologia delle persone anziane però negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dell’incidenza anche nella popolazione più giovane, dai 50 ai 60 anni. Per fortuna sotto i 40 anni è molto raro». Auspicabili percorsi di cura e guarigione che dipendono dalla ricerca «i ricercatori italiani – dice Zamagni – sono bravissimi ed il nostro Paese è uno dei maggiori arruolatori dentro i trial clinici, alcune cose andrebbero riviste però, c’è un problema di costi che andrebbe affrontato complessivamente ed una velocità nell’accesso ai farmaci che va migliorata».
Il corso di formazione a Reggio Calabria, che si è qualificato per le partecipazioni autorevoli e per l’altissimo livello di confronto, ha anche consentito di approfondire alcune patologie meno rilevanti in termini numerici, come la Leucemia Plasmacellulare «parliamo – ci spiega Maria Teresa Petrucci, dirigente medico di Ematologia nel Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’Azienda Policlinico Umberto I Università di Roma – di una neoplasia tumorale che rientra nell’ambito delle alterazioni della linea B, è una malattia molto rara, parliamo dell’1-2% dei casi. Tuttavia, è una delle forme più aggressive ed essendo molto rara molte volte non ci sono studi controllati, evidenze che ci consentono di valutare quale sia la terapia più efficace, in genere distinguiamo due forme, una primitiva che arriva all’esordio della malattia ed una secondaria che può essere considerata la fase terminale del mieloma multiplo». E c’è un altro elemento che merita attenzione «è una malattia – aggiunge Petrucci – che appartiene diciamo così alla stessa famiglia del mieloma ma interessa persone più giovani, l’età media è intorno ai 50 anni. Ha anche un’esplicazione diversa dal punto di vista clinico, meno interessamento osseo ma più problemi di anemia, di pancitopenie e quindi globuli bianchi bassi, alterazioni citogenetiche diverse».
«La particolarità – precisa Petrucci – è che i pazienti rispondono bene alle terapie ma con la stessa facilità presentano una recidiva con un esito poi abbastanza precoce, le sopravvivenze purtroppo sono molto più brevi rispetto a quelle dei pazienti con mieloma. Circostanze, dunque, che motivano un investimento sulla ricerca». (redazione@corrierecal.it)
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