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la decisione

‘Ndrangheta, pentiti «poco credibili» e prove «insufficienti» contro Gaetano Emanuele

Le motivazioni della Cassazione che, ad ottobre, ha annullato con rinvio l’ordinanza nei confronti del ricercato vibonese classe ’75

Pubblicato il: 09/12/2024 – 15:47
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, pentiti «poco credibili» e prove «insufficienti» contro Gaetano Emanuele

LAMEZIA TERME Una ordinanza che deve essere annullata con rinvio quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza affinché il Tribunale di Catanzaro, «attenendosi ai principi esposti, proceda a un nuovo giudizio sul punto».
Così i giudici della Corte di Cassazione (I sezione) lo scorso 23 ottobre avevano annullato l’ordinanza emessa nei confronti di Gaetano Emanuele, vibonese classe ’75, latitante dal blitz “Habanero” della Distrettuale antimafia di Catanzaro, condotta sul campo dai Carabinieri di Vibo Valentia, contro il locale di ‘ndrangheta di Ariola. Gaetano Emanuele è indagato per il triplice omicidio legato proprio alla “Strage di Ariola” ed è peraltro fratello di Bruno Emanuele, boss delle Preserre.La Corte, infatti, si era pronunciata dunque, accogliendo il ricorso avanzato dalla difesa di Emanuele rappresentata dagli avvocati Giuseppe Di Renzo, Alessandro Diddi e Mauro Lanzo, nonostante la Procura Generale avesse avanzato richiesta di inammissibilità del ricorso.  

L’inchiesta

Gaetano Emanuele è sottoposto a indagini per gli omicidi di Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barillaro e per il tentato omicidio di Ilario Antonio Chiera, reati commessi il 25 ottobre del 2003, utilizzando dei fucili da caccia calibro 12 a pallettoni esplosi verso l’autovettura e dopo, quando questa si è fermata, gli autori si sono avvicinati e hanno sparato frontalmente. Una dinamica ricostruita attraverso gli accertamenti effettuati nell’immediatezza e dalle dichiarazioni rese da Ilario Antonio Chiera, sopravvissuto all’agguato che ha chiamato i soccorsi e ha descritto uno degli autori del reato mentre nel corso del tempo hanno reso dichiarazioni numerosi collaboratori di giustizia: Francesco Loielo, Rocco Oppedisano, Michele Ganino, Enzo Taverniti, Bartolomeo Arena, Luciano Oliva e Antonio Forastefano. Proprio quest’ultimo, in particolare, aveva dichiarato di avere appreso da Angelo Maiolo – mentre era latitante – che all’omicidio aveva partecipato come esecutore materiale anche Gaetano Emanuele.

Le motivazioni

Secondo i giudici, infatti, diversamente da quanto affermato apoditticamente dal Tribunale, «non emerge alcun elemento dal quale si possa desumere che quanto raccontato dal collaboratore in merito a Gaetano Emanuele facesse parte di un patrimonio comune del gruppo». E ancora: nessuno degli altri collaboratori ha reso dichiarazioni sul punto «né sono stati indicati altri argomenti dai quali emerga che la notizia rientrasse tra quelle pacificamente note all’interno del clan» e cioè che fosse espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso «derivante dalla circolazione all’interno della stessa di informazioni e di notizie relative a fatti di interesse comune degli associati». Secondo la Cassazione, inoltre, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del Riesame, non si può ritenere che le dichiarazioni rese da Forastefano «siano equiparabili a quelle dirette perché costituite da confidenze autoaccusatorie ricevute direttamente dall’autore materiale del fatto». Si tratta di una informazione corretta «solo in ordine a quanto narrato da Angelo Maiolo in merito alla propria responsabilità, che ha in tal modo “confessato” al collaboratore, ma non può essere esteso alla posizione di Gaetano Emanuele».
Nelle motivazioni, inoltre, si fa riferimento anche alle dichiarazioni di Oppedisano. Secondo la Cassazione «il collaboratore in ordine alla credibilità intrinseca del quale la motivazione del provvedimento impugnato è inesistente, ha riferito di un discorso avvenuto, peraltro in termini generici, circa un anno prima che venissero commessi gli omicidi» mentre gli ulteriori elementi emersi non sarebbero solo a carico di Gaetano Emanuele, come le autovetture ritrovate in una zona «compatibile con diversi indagati» e quindi non soltanto con il latitante vibonese, l’impronta digitale rinvenuta su uno dei fucili calibro 12, presumibilmente quelli utilizzati per commettere gli omicidi, non è di Gaetano Emanuele mentre la fibra del passamontagna «in qualche modo riconducibile a quello utilizzato da uno degli esecutori materiali» è stata rinvenuta su di «un’autovettura nella disponibilità di Vincenzo Bartone». (g.curcio@corrierecal.it)

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