COSENZA «Le dichiarazioni dell’imputata sulle modalità della morte di Denis, tenacemente difese nel corso degli anni sono inverosimili e, pertanto, mendaci». Si apre con questo passaggio il paragrafo dedicato a Isabella Internò nelle motivazioni della sentenza del processo Bergamini, depositate dalla Corte d’Assise di Cosenza lo scorso 27 dicembre. L’ex fidanzata del calciatore rossoblù, morto a Roseto Capo Spulico il 18 novembre del 1989, è stata condannata in primo grado a 16 anni di reclusione per omicidio volontario in concorso con ignoti. L’imputata, durante il procedimento conclusosi il primo ottobre 2024, non si è voluta sottoporre alle domande del pm Luca Primicerio e degli avvocati di parte. Ha rilasciato soltanto una dichiarazione spontanea proprio nel giorno della sentenza («Voglio solo dire che sono innocente, lo giuro davanti a Dio. Dio è l’unico testimone che purtroppo non posso avere al mio fianco»).
In virtù della decisione presa da Internò e dopo la richiesta del pm di acquisire a processo i verbali relativi alle dichiarazioni rese dalla donna nell’immediatezza dei fatti, nonché di quelli resi successivamente, la Corte presieduta da Paola Lucente, ha ammesso soltanto il verbale di spontanee dichiarazioni del novembre 1989 e il verbale di Sit del 24 novembre dello stesso anno, «poiché, nel momento in cui tali dichiarazioni venivano rese, Isabella Internò non era indagata, né poteva considerarsi indagabile, in assenza di indizi non equivoci di reità». «Nell’immediatezza – si legge nelle motivazioni della sentenza – l’imputata si rivolse a Raffaele Pisano avvicinandosi al camion da lui condotto. Infatti Pisano Raffaelle, escusso all’udienza del 24/11/2022, dichiarava che, dopo pochi minuti, sentiva qualcuno bussare allo sportello destro del suo camion, dove, nello specifico, si trovava il lato guida. Era una donna che esclamava “Oh Dio, Dio, mi ha detto che se non lo seguo in Grecia mi fa un ricordo per tutta la vita… il primo camion che arriva, mi butto sotto il camion”. Confermava, inoltre, che la Internò gli disse testualmente “il mio ragazzo si è voluto suicidare” e, ancora, “Non l’ho potuto convincere di non fare il suicidio, di non ammazzarsi”. Altra fonte diretta è l’allenatore del tempo del Cosenza calcio, Luigi Simoni, il primo che la Internò contattò, una volta recatasi nel ristorante di Mario Infantino. Nelle Sit rese il 27 novembre 1989 ed il 13 giugno 2018, Simoni spiegò di avere parlato al telefono con la Internò due volte, mentre, quella sera tragica, era in ritiro con la squadra al motel Agip. «Nella prima telefonata – sottolinea la Corte – gli disse che Denis era morto buttandosi sotto un camion in Roseto capo Spulico e che, in quel momento, il suo cadavere giaceva sull’asfalto. Lo pregò di mandare qualcuno, sul posto a prelevarla. Nella seconda telefonata, nella quale la Internò chiedeva di parlare con lui, gli riferiva che, prima di suicidarsi Donato le aveva detto che era stanco del calcio e voleva recarsi a Taranto per imbarcarsi. Gli riferì altresì che Donato, le aveva parlato di una generica stanchezza per l’ambiente del calcio, escludendo il riferimento ad episodi specifici. Gli disse ancora che aveva ritenuto di avere convinto Bergamini a desistere dal suo intento allorquando il calciatore scese dalla vettura e improvvisamente e si buttò sotto un camion». «La donna – prosegue la Corte – che, sino a quel momento aveva parlato senza mostrare particolari emozioni e senza piangere, ad un tratto si mostrò preoccupata per eventuali conseguenze che avrebbe potuto subire per il fatto di essersi trovata coinvolta nella vicenda. In particolare, nel secondo verbale, Simoni dichiarava che la ragazza era molto fredda allorquando gli comunicava il tragico evento, nel corso della prima telefonata, non lasciava trapelare alcuna emozione, come se gli stesse riferendo che Denis avrebbe fatto tardi».
Il secondo a ricevere una telefonata da Internò fu il calciatore Francesco (Ciccio) Marino, il quale, all’udienza del 23 giugno 2023, «confermava il dato emerso dalle dichiarazioni di Simoni con riguardo al tono di voce della Internò, dal quale non trapelava eccessivo coinvolgimento o agitazione per l’accadimento. In effetti, a riscontro delle dichiarazioni dell’imputata v’è il contenuto dell’informativa di Polizia giudiziaria a firma del brigadiere Barbuscio, nella quale, il militare dava atto di avere escusso, nell’immediatezza dei fatti, l’odierna imputata, alle ore 20.30 del 18/11/89 Internò Isabella gli riferì che, alle ore 16:00 del 18/11/89, Bergamini le aveva telefonato chiedendole di uscire perché doveva dirle delle cose importanti. Quindi, il calciatore si recava con la sua autovettura presso l’abitazione della ragazza e, una volta a bordo, le chiedeva di essere accompagnato a Taranto perché doveva imbarcarsi e lasciare l’Italia. Una volta giunti presso la piazzola, i due conversavano fino alle 19:00 circa. Bergamini insisteva nel suo proposito di espatriare, dicendo alla ragazza che avrebbe chiesto l’autostop fino a Taranto, mentre lei sarebbe dovuta ritornare a Cosenza con la Maserati; al contrano, la Internò gli chiedeva di desistere dall’intento espressole, anche perché pioveva ed era buio. Denis, tuttavia, usciva dall’auto senza indossare il giubbotto e, dopo essere giunto sul ciglio della strada, tentava, invano, di fermare due vetture in transito. A quel punto, l’imputata riteneva di aver convinto Bergamini a desistere poiché lo stesso ritornò nuovamente nei pressi dell’autovettura, come meglio specificato da Barbuscio durante l’udienza del 7/5/1991 nel processo a carico di Raffaele Pisano. Tuttavia, il ragazzo, appena vide l’autocarro di Pisano giungere sulla strada, in corrispondenza della Maserati, scese dall’auto e repentinamente si lanciò sotto la ruota anteriore del mezzo».
Le dichiarazioni rese a caldo da Isabella Internò, ricorda la Corte, sono state confermate anche da Roberto Ranzani, allora direttore sportivo della squadra, il quale, nelle sommarie informazioni rese il 29 novembre 1989 ed il 16 gennaio 2012, ricordò di avere dialogato con Isabella Internò, mentre si recavano presso la caserma dei carabinieri a bordo dell’autovettura Maserati del povero Denis, condotta nell’occasione da Sergio Pini. Nella circostanza, la ragazza ebbe a confidargli che Bergamini le aveva riferito che voleva smettere di giocare a calcio e voleva recarsi a Taranto ed andare all’estero. I due rimanevano nella piazzola per circa una mezz’ora, nella quale la ragazza tentava di farlo desistere dal proposito di espatriare. Quando erano fermi, disse alla Internò che, se una delle tre autovetture si fosse fermata e lo avesse caricato, egli avrebbe proseguito in direzione Taranto e la donna sarebbe ritornata a Cosenza con la Maserati. In caso contrario, anche lui sarebbe tornato indietro. Cosi tentò di fare l’autostop atre autovetture, facendo segno con la mano di fermarsi e che, alla fine si gettò sotto un camion, dopo averle detto, sorridendole, la frase “ti lascio il mio cuore, ma non il mio corpo”». Una frase, questa, commentata dal portiere Luigi Simoni nell’udienza del 13 gennaio 2022. «Fu in quella circostanza – rilevano i giudici nelle motivazioni – che il Simoni iniziò a maturare la consapevolezza che Denis non si fosse suicidato, atteso che, conoscendo caratterialmente il compagno di squadra, gli appariva abbastanza inverosimile che avesse potuto pronunciare parole così “affettuose”».
Centrale, secondo la Corte d’Assise, è risultata anche la testimonianza di Donata Bergamini, sorella del calciatore del Cosenza, che ha riferito di avere compulsato Isabella Internò nell’immediatezza degli accadimenti, per conoscere le modalità del tragico evento che aveva riguardato il fratello, con tutti i particolari del caso. «Già la domenica sera del 19/11/1989 – viene riportano nel documento – presso il motel Agip, ove la famiglia Bergamini si era recata per incontrare i dirigenti della società ed i compagni di squadra, Isabella Internò, che sopraggiunse unitamente ai suoi genitori, rivelò ai familiari che Donato “aveva fatto l’autostop a cinque macchine… anzi prima di fare l’autostop a cinque macchine l’aveva guardata…le aveva sorriso…poi si era avvicinato alla strada, aveva fatto l’autostop a cinque macchine e poi dopo si è buttato sotto al camion. Se non erro, nell’occasione disse anche che voleva lasciare il calcio e che era stufo del calcio e quindi voleva andare all’estero…le disse prima di buttarsi, ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo”. Al Pretore di Trebisacce, la teste aveva aggiunto il particolare che Denis durante il tragitto in macchina alla volta di Roseto era sereno e canticchiava. Inoltre la teste precisava che l’imputata, nell’odierno dibattimento, le aveva descritto il fratello come un pazzo, un goliardico, nel senso che costui fece l’autostop a cinque macchine, che divennero nel corso del racconto tre macchine, per poi avvicinarsi a lei con un saltello e dirle “ti lascio il mio cuore, ma non il mio corpo”, e, di seguito, “tuffarsi come se fosse in piscina”. Ed il lunedì mattina seguente, Donata Bergamini incontrava, nuovamente, l’imputata presso il motel Agip, dopo averla contattata telefonicamente, perché voleva restituirle un documento di identità, rinvenuto presso l’abitazione del fratello il giorno precedente. Nell’occasione, la Internò si presentò, insieme a due amiche, con un atteggiamento distaccato, quasi mostrando disinteresse per la vicenda. Alla domanda sul comportamento tenuto dall’imputata durante quei momenti, la teste rispondeva: “Una persona normalissima, come se non avesse neanche… cioè come se neanche fosse toccato a lei… proprio come se la cosa non fosse la sua”. Anche durante il funerale, allorquando Donata vide la Internò sdraiata sulla bara di Denis, tentò di captare altre informazioni, ma la donna le rispose che le aveva già detto tutto e, ad un tratto, si dileguò. Donata Bergamini riferiva, altresì, che poco tempo dopo la morte di Denis, l’imputata ebbe una conversazione telefonica con Domizio Bergamini, al quale comunicava che l’autovettura Maserati doveva rimanere a lei, poiché questa era stata la volontà espressa da Denis prima di morire. Domizio le rispose che se gli avesse raccontato la verità gliene avrebbe regalate due di Maserati, ma la donna si limitò a dire che aveva sempre detto la verità e che, in caso contrario, avrebbero dovuto dimostrarglielo. Quest’ultima affermazione veniva ribadita dalla Internò anche alla stessa Donata Bergamini. Invero precisava la Bergaminidi avere nuovamente compulsato, in molte altre occasioni l’imputata per conoscere i dettagli dell’accaduto, dal momento che il suo narrato non la convinceva, ma la Internò, lungi dal rispondere sulle specifiche domande particolareggiate, non ascoltava, ripetendo come “un disco” tutto il racconto dal principio, ovvero dal momento in cui partirono da Cosenza insieme, alla volta di Roseto».
«Di tutta evidenza – rimarca la Corte nelle motivazioni della sentenza – è che le dichiarazioni dell’odierna imputata soffrono di incolmabili contraddizioni, soprattutto alla luce di quanto raccontato dalla stessa nell’immediatezza del fatto, come si evince dalla lettura degli unici verbali ammessi, nella specie, il verbale di spontanee dichiarazioni del 18.11.1989 e dal verbale di s.i.t. del 23.11.1989». Ripercorrendo cronologicamente gli eventi, secondo i giudici una prima contraddizione riguarda la telefonata «presumibilmente effettata da Denis a casa di Isabella, intorno alle 16:00 del pomeriggio del 18.11.1989. Se, da un lato, Isabella riferiva chiaramente di essere stata lei a rispondere al telefono e di aver parlato con Denis, dall’altro, la madre, Concetta Tenuta, escussa all’udienza dell’08.05.2023, affermava con certezza che, al momento della telefonata, Isabella non era in casa, ma si trovava dall’amica Carmela Dodaro. Allo stesso modo, non vi è traccia nella deposizione di Concetta Tenuta della circostanza relativa all’appuntamento dal parrucchiere, dal quale mamma e figlia, secondo quanto riferito da Isabella, avrebbero dovuto recarsi proprio quel pomeriggio. Né tale programma emerge dalle dichiarazioni di Carmela Dodaro, alla quale Isabella, prima di ricevere la telefonata di Denis, aveva confidato di non avere nulla da fare quel sabato, tanto da chiederle se potesse uscire con lei». Per la Corte d’Assise un’ulteriore contraddizione emerge al momento dell’arrivo dì Denis sotto casa della Internò, «collocabile intorno alle ore 16:30, secondo quanto riferito dall’imputata. Mentre, infatti, quest’ultima indicava la presenza di alcuni ragazzini del condominio, che riconobbero e salutarono il calciatore, Carmela Dodaro, che aveva assistito alla scena, non riportava tale circostanza. Le più macroscopiche contraddizioni – si legge ancora nelle motivazioni – riguardano, tuttavia, i momenti successivi, trascorsi con Denis. Particolarmente evidente è il mutamento di versione quanto al luogo che il calciatore avrebbe avuto intenzione di raggiungere, imbarcandosi da Taranto: ora la Grecia (come emerge dalla deposizione di Valeria Bisciglia, del calciatore Stefano Benanti, dalle dichiarazioni di Pisano e dal verbale di s.i.t. del cugino dell’imputata, Francesco Arcuri), ora le Hawaii o l’Amazzonia (come riferito dalla stessa imputata nelle primigenie dichiarazioni); infine una destinazione imprecisata (in numerosi fonti dichiarative si fa riferimento, più genericamente, all’estero). D’altro canto, è improbabile che dal porto di Taranto, il calciatore avrebbe potuto raggiungere Isole e regioni così lontane».
La Corte evidenzia ancora nuove contraddizioni sul numero di autovetture che Denis avrebbe fermato prima di buttarsi sotto l’autocarro di Pisano. Nelle stesse dichiarazioni della Internò, rese a distanza di pochi giorni l’una dell’altra, «si fa riferimento dapprima a due macchine, poi a cinque». Infine, per quanto riguarda le fasi successive alla morte di Bergamini, «il racconto di Isabella Internò – spiega la Corte – mal si concilia con le testimonianze rese nel corso dell’odierno procedimento. Tra queste, quella di Panunzio, l’automobilista che accompagnò la giovane Isabella presso il ristorante di Mario Infantino per consentirle di telefonare e di comunicare quanto accaduto. Isabella, nel verbale di Sit del 23.11.1989, riferiva che era stato proprio il Panunzio ad allertare i Carabinieri, circostanza categoricamente smentita dal predetto, che affermava di non aver fatto alcuna telefonata. Il racconto di Isabella Internò appare contraddittorio anche in relazione alle telefonate effettuate e ai destinatari». In un altro passaggio, la Corte rileva che Isabella Internò «precisava di avere sostato in macchina nella piazzola all’incirca mezz’ora prima che Denis, sceso dal veicolo, si portasse al limite della piazzola e proferisse, voltandosi verso di lei la frase “ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo”, per poi fare due o tre passi in avanti e gettarsi con un tuffo sotto il camion condotto dal Pisano. Tale dinamica, invero, presuppone che il giovane si trovasse in prossimità della piazzola, allorquando veniva investito. Eppure, con riferimento all’automezzo, evidenziavano i Ris che dall’attenta analisi delle fotografie del frontale del camion non si rilevava alcun segno di ammaccatura o altre tracce, per esempio di natura ematica, sul frontale del mezzo, circostanza inconciliabile con la versione del tuffo. Inoltre, gli stessi Ris ritenevano impossibile che l’impatto tra l’autocarro e il corpo del Bergamini fosse avvenuto al livello della piazzola di sosta, dal momento che era assolutamente improbabile che se fosse stato trascinato per un così lungo spazio non avesse lasciato tracce ematiche sull’asfalto, non rilevate dalle immagini pur accurate, scattate dai militari operanti. Invero, lo spazio misurato dagli esperti militari, tra la fine della carreggiata ed il punto ove giaceva il corpo era di sessanta metri; inoltre, lo spazio di frenata del camion era stimato in un range tra i cinque, sei metri, corrispondenti all’inizio delle tracce ematiche sull’asfalto, ed i 15-18 metri, calcolati dall’ingegnere Coscarelli. Questi dati di generica, indiscussi e, dunque incontroversi – spiega la Corte – rendono, pertanto, inverosimile sia la posizione del pedone raccontata dall’imputata, ovvero in prossimità della piazzola, sia che la giovane donna, la quale, in base alle sue stesse dichiarazioni, era rimasta seduta in macchina, avesse potuto udire alla distanza di oltre sessanta metri la frase proferita dal malcapitato, per di più giudicata estranea al modo di esprimersi del Bergamini, come riferito dai suoi più stretti amici». (f.v.)
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