COSENZA «Se volete lavorare dovete pagare». Sarà andata più o meno cosi – immaginiamo – la breve comunicazione riportata ai vertici della ditta “I.CO.P. Società Benefit S.p.a” impegnata nei lavori del “Terzo Megalotto” della statale 106, il più grande appalto in Calabria con un valore totale di 1,3 miliardi. La medesima ditta, questa l’accusa, sarebbe stata «costretta a corrispondere somme di denaro» attraverso un ingegnoso e illegale sistema di sovrafatturazione di servizi legati ai quantitativi di materiali necessari all’esecuzione dei lavori subappaltati, da parte di ditte presumibilmente compiacenti. Una circostanza che gli uomini della Dia di Catanzaro hanno accertato e raccolto nell’inchiesta nome in codice “Fattore Delta“: fonti di prova che chi indaga ritiene possano essere sufficienti per incastrare i presunti responsabili della richiesta estorsiva.
Dietro l’imposizione del pizzo e della tassa non dovuta ci sarebbe la criminalità organizzata cosentina, che quando si tratta di allungare i tentacoli su milioni di danari è sempre attenta e vigile a presentarsi a chi di dovere, imponendo la propria forza. Questa volta però, il legale rappresentante della ditta oggetto della presunta richiesta estorsiva si è opposto, presentando denuncia. Da lì è partita l’indagine della Direzione Investigativa Antimafia catanzarese guidata da Beniamino Fazio.
La “I.CO.P. Società Benefit S.p.a” ha un contratto di subappalto con la società “IMPRESA TRE COLLI S.p.A.” per la realizzazione della variante al metanodotto “Pisticci – Sant’Eufemia 4° tronco” consistente nella realizzazione di due microtunnel nel Comune di Trebisacce per un importo pari a 5 milioni di euro. Il rappresentante della Icop viene reso edotto rispetto ad una richiesta estorsiva avanzata al capo cantiere della Tre Colli. Si parla di «imposizione» di fornitori. La vicenda è intricata e qualcuno chiede spiegazioni e per questo motivo viene “invitato” a Lauropoli: storica roccaforte del clan Abbruzzese egemone nella Sibartide. Chi entra in macchina – dopo aver lasciato il cellulare a casa – raggiunge Leonardo Abbruzzese nella frazione del comune di Cassano allo Ionio. Una conversazione da tenere lontana da occhi indiscreti, ma la richiesta tuttavia sarebbe giunta forte e chiara a chi era impegnato nei lavori sul cantiere. «Per non avere problemi, avrebbero dovuto pagare il 3% dell’importo del contratto». Sarebbero stati indicati inoltre «i nomi dei fornitori con i quali avrebbero dovuto lavorare» mentre «l’importo sarebbe stato ricavato da una sovrafatturazione con i fornitori».
Già in passato, sul nostro giornale, abbiamo avuto modo di documentare e raccontare come le estorsioni non si concretizzino più mediante la classica richiesta di denaro, ma attraverso l’imposizione di materie prime e di ditte da impiegare nei lavori. Questo, per gli investigatori dell’Antimafia, sarebbe stato il modus operandi adottato anche dagli odierni indagati. «Due ditte avrebbero aumentato il quantitativo del materiale realmente fornito», un’altra – invece – «avrebbe dovuto contrattualizzare un importo superiore a quello realmente accordato». In buona sostanza, si sarebbero verificato un surplus nelle voci di spesa dedicate allo smaltimento ed al trasporto di terra e rocce da scavo: 45 euro rispetto ai prezzi di mercato pari ad 30/32 euro. «Il quantitativo di materiale da smaltire stimato per il cantiere di Trebisacce era di circa 20.000 tonnellate». Per completare il piano messo a punto, sarebbero servite delle ditte compiacenti e disponibili a presentare fatture «gonfiate». (f.benincasa@corrierecal.it)
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