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Il Presidente

Ci sono singolari Repubbliche e relativi “Presidenti” delle stesse, che non troverete mai nei libri di Storia, ma che ebbero una vita pluridecennale nell’Età Moderna ed una fama indiscutibile in tutt…

Pubblicato il: 30/03/2025 – 10:40
di Antonello Commisso
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Il Presidente

Ci sono singolari Repubbliche e relativi “Presidenti” delle stesse, che non troverete mai nei libri di Storia, ma che ebbero una vita pluridecennale nell’Età Moderna ed una fama indiscutibile in tutto il Mar Mediterraneo nonché sulle coste Atlantiche. Partiamo dall’inizio.

I Paesi Bassi, da noi oggi conosciuti come Belgio, Lussemburgo e Olanda, nel XVI secolo facevano parte, insieme ad altri vari Territori, della Corona Asburgica di Spagna, il cui sovrano era Filippo II. In quel periodo si era molto diffusa la “Riforma protestante” dando origine a numerose Chiese Cristiane non Cattoliche.

Una di queste, con molti fedeli, fu quella Calvinista, che attecchì in modo radicato in diversi Stati, nonché nei Paesi Bassi del Nord. Il monarca spagnolo “Re Cattolicissimo”, non poteva tollerare che ciò avvenisse, quindi mise in atto una politica intransigente e repressiva in tali territori, introducendo il Tribunale dell’Inquisizione con lo scopo di perseguitare gli “eretici” ed intensificando gli arresti e la presenza militare.

L’effetto ottenuto da Filippo II fu però totalmente l’opposto di quanto si aspettava, infatti i Paesi Bassi, guidati da Guglielmo d’Orange, a capo di un nutritissimo gruppo di rivoltosi, nel 1581 emanarono il cosiddetto “Atto di abiura”, col quale si dichiarava la deposizione del monarca spagnolo come re di questi Territori.

In risposta a ciò Filippo II inviò il suo potente esercito contro i “ribelli”, riuscendo però a riportare sotto la Corona spagnola solo i Paesi Bassi del Sud (ossia l’attuale Belgio e Lussemburgo).

Al contrario, le Sette Province del Nord (Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Frisia e Groninga) proclamarono la nascita della Repubblica, la quale venne da tutti conosciuta con il nome di “Olanda”, ossia quello della più grande fra le Province. Ci vollero 80 anni, fra l’alternarsi di paci e scontri militari, ma infine nel 1648, con la Pace di Westfalia, la Spagna dovette riconoscere l’indipendenza delle Sette Province Unite.

In questo contesto di scontri militari e fervori religiosi, nel febbraio 1570, ad Haarlem, città situata lungo le rive del fiume Spaarne a circa 30 Km a ovest di Amsterdam, dal matrimonio fra i calvinisti Pieter Janszoon, di mestiere fabbro, e Nora Bakker, casalinga, nacque il loro secondo figlio e ultimogenito, a cui fu dato il nome di Jan.

Il bambino crebbe forte e sano e, giunto a sei anni di età, fu mandato nella scuola di quartiere, gestita dalla Chiesa Calvinista locale. Qui Jan imparò a leggere e scrivere, nonché, per i successivi otto anni che vi rimase, gli furono impartiti sia gli sia i principi della loro Fede, oltre che svariate nozioni di Storia, Geografia, Latino e Matematica.

Finiti gli studi nel 1584, Jan si appassionò anche alla pesca, recandosi tutte le mattine al fiume, in compagnia di quello che sarebbe rimasto il suo migliore amico per tutta la vita, il generoso e un po’ tonto Cornelis Claesz.

Quest’ultimo un giorno gli disse: “Sai Jan, ho sentito dire che in mare si pescano pesci incredibili: aringhe grandi quanto una gallina, polipi dalla testa di capra e calamari con la coda di sirena. Perché un giorno non andiamo anche noi a pesca al porto di Amsterdam?”. Al giovane Janszoon veniva da ridere a queste uscite dell’amico, ma incuriosito anche lui dal mare che ancora non aveva mai visto, decise di accontentare Cornelis.

Così una calda mattina di giugno del 1586, i due si imbarcarono su una chiatta a fondo piatto e, tramite i canali che congiungevano la loro città ad Amsterdam, e successivamente attraverso le vie di accesso, giunsero al Porto, affacciato sul Mare del Nord. Quello che provò Jan vedendo il mare e le tante imbarcazioni ormeggiate fu quello che i francesi chiamano un autentico “coup de foudre”.

Ciò che i due amici ammirarono li lasciò entrambi senza fiato. Vi erano ancorate, come un loquace pescatore spiegò loro, le “Fluyt”, navi mercantili che consentivano il trasporto di grandi carichi; le “Carracck”, imbarcazioni a vela ancora più grandi, utilizzate per il trasporto di merci di valore e le “navi da pesca”, di dimensioni più piccole.

Vi erano infine presenti le “Navi da guerra”, imponenti e maestose, impiegate in un periodo di conflitti, per la difesa della città, e infine le “imbarcazioni fluviali”, usate per il trasporto di merci e persone lungo i fiumi e i canali. Ma più che Cornelis, fu Jan a restare impressionato da quell’insieme di velieri e chiatte, tanto da decidere all’improvviso, e con l’impulsività che lo caratterizzava, di volersi imbarcare, una volta cresciuto, su una di esse e intraprendere la via del mare.

Questa scelta non fu vista di buon grado dalla famiglia, ma il giovane Janszoon fu irremovibile, e appena compiuti i 18 anni, si imbarcò, insieme all’inseparabile amico Cornelis Claesz, su una “Fluyt” chiamata “Gouden Leeuw” (“Leone d’oro”). Qui l’incarico di entrambi gli apprendisti fu quello di aiutare ad issare e ammainare le vele, nonché osservare ed imparare dai marinai più anziani.

Fu così che col trascorrere degli anni i due diventarono esperti navigatori, imparando ciò che c’era da saper fare e, ancoratosi il “Leone d’oro” in vari porti, visitarono città quali Danzica, Riga, Tallin, Londra, Bordeaux, La Rochelle, Lisbona, Siviglia ecc… Ma man mano che passava il tempo, mentre Cornelis restava bonario e pacioso, il carattere di Jan si induriva sempre di più, fino a diventare un “leader” decisamente temuto dai compagni.

La prova di ciò si ebbe già nel 1596, quando un gradasso della “Fluyt” voleva abusare sessualmente di Claesz. In quella circostanza intervenne il ventiseienne Jan, il quale tagliò con un coltello tre dita della mano al prepotente, sbattendogli poi ripetutamente il capo su un barile di aringhe e infine gettandolo in mare, da dove fu ripescato dagli altri marinai. ”Grazie, Janszoon. Mi hai salvato il “Kont”! Se non fosse stato per te sarei diventato femmina!” Fu il commento del bonario Cornelis. Naturalmente, episodi di questo tipo non si ripeterono più.

Ciò che cambiò radicalmente la vita dei due amici, avvenne però nel 1604. Nel marzo di quell’anno infatti, il “Gouden Leeuw” fu assaltato da una veloce “Galea” a remi e vele da parte di pirati barbareschi, provenenti dalle coste del Nord Africa (Barberia). Essi, abbordarono la “Fluyt”, fin quasi a toccarla, lanciarono rampini e salirono a bordo.

Il combattimento successivo fu di breve durata, poiché le armi possedute dal mercantile olandese, lance e spade, poterono poco contro le scimitarre e le pistole “a ruota” degli assalitori. Jan si batté con coraggio e crudele ferocia, sbudellando due pirati e ferendone altri tre, ma alla fine dovette arrendersi come tutto il resto dell’equipaggio. Il bottino dei barbareschi fu ottimo, in quanto la “Fluyt” trasportava un carico di cotone grezzo e seta.

Oltre questo, praticamente tutti i restanti 24 membri dell’equipaggio, compreso il Capitano Frans De Groot, furono fatti prigionieri e incatenati, con lo scopo di essere venduti come schiavi negli appositi Mercati di Tunisi. Solo Jan fu risparmiato dal capo barbaresco Sahin el-Bar, ammirato dal suo furioso e brutale coraggio e, per intercessione dello stesso Janszoon, anche il suo amico Cornelis Claesz fu salvo.

“Quante lingue parlate? -Chiese subito il “Rais” Barbaresco, rivolto a Jan e Cornelis- “Il Fiammingo, il Latino, il Francese e lo Spagnolo e se serve anche l’Indiano e l’Americano” rispose, cercando di farsi apprezzare Claesz. Ma il “Rais era troppo scaltro e tagliò corto: “Non mi dire più idiozie come questa o ti taglio il “dhakar” (l’uccello)!” Disse Sahin.

“Io vi ho salvato perché ho bisogno di interpreti, non di “kussyatan” (coglioni). Se verrete con me la vostra vita è assicurata, altrimenti, come dite voi infedeli: ”Addio!” concluse il “Rais”. E poiché le possibilità di scelta erano pari al coraggio di Cornelis dimostrato in battaglia, ossia zero, i due accettarono loro malgrado di recarsi a Tunisi, che insieme ad Algeri e Tripoli, erano le maggiori città del Nord Africa in mano ai pirati barbareschi.

Contrariamente a qualsiasi aspettativa, Jan trovò la città affascinante. Pulita, ricca di stupendi edifici decorati con gusto, eleganti Moschee, bellissimi giardini e, cosa a cui non era abituato, piena di bagni e saune pubbliche. Un’altra fatto che lo colpì profondamente, fu lo spirito di tolleranza, che permetteva ad ebrei e cristiani di professare liberamente la loro fede dietro il pagamento di una tassa.

Naturalmente c’erano anche tanti bordelli per far sfogare i maschi, mescite di alcolici per chi non professava in modo ortodosso i precetti islamici e, naturalmente tre o quattro Mercati degli schiavi. In essi si vendeva “carne viva” proveniente da ogni angolo di mondo conosciuto. Giovani africane, aitanti iberici, adolescenti italiani, adipose, ma apprezzate algerine, ricercatissimi slavi e via dicendo. Naturalmente tutti erano incatenati e nudi, e gli acquirenti prima di comprare la “merce” avevano il diritto di toccare, palpare ed esaminare, per accertarsi della loro buona salute.

Ciò che Jan e Cornelis non videro fu l’equipaggio della nave sulla quale erano imbarcati, probabilmente erano in vendita, o già venduti, in un altro Mercato. Comunque sia, dopo una settimana trascorsa a Tripoli, la Galea “Zawba’a” (“Tempesta di vento”) che li aveva catturati, ripartì in cerca di nuove navi da assaltare e quindi di altro bottino, il tutto con la benedizione dell’Emiro Ahmed Osman, che riceveva puntualmente parte del saccheggio.

Sì, perché anziché “pirati”, sarebbe più opportuno definirli “Corsari barbareschi”, in quanto operavano spessissimo, forse anche ad Algeri o a Tripoli, con l’autorizzazione e la protezione delle più alte autorità delle città che li ospitavano, grazie alla cessione di parte del bottino. Comunque sia Janszoon che Claesz, furono subito impiegati come rematori, ma dopo alcuni mesi di abbordaggi e di battaglie, il “Rais” della “Zawba’a” decise che l’impiego di Jan era uno spreco, dato il suo valore di indomito combattente.

Così, per i successivi sedici anni, Jan divenne parte integrante dell’equipaggio, facendosi sempre valere nelle battaglie come feroce e sanguinario lottatore, tanto da ottenere il rispetto e il timore da parte di tutti, dal “Rais” all’ultimo mozzo. E naturalmente in questo lungo lasso di tempo, accumulò tanto oro, argento, armi, tessuti preziosi e denaro sonante di tutte le nazionalità, fin quasi a diventare più ricco del Comandante stesso.

Ma così come la storia sulla “Zawba’a” aveva avuto un inizio, era scritto nel destino, che avesse pure una fine. Ma non una fine tragica: tutt’altro. Con le ricchezze che aveva accumulato, Jan Janszoon fu in grado di pagare il 75% per una propria Galea, che chiamò “Nora”, come il nome della madre la quale, se ne fosse venuta a conoscenza, non sarebbe stata affatto felice per due ragioni.

Primo, sapere il proprio figlio pirata, predatore ed assassino, non rappresentava il massimo per una madre calvinista. Secondo, e molto più importante, se avesse saputo della convinta conversione di Jan all’Islam nel 1618, probabilmente si sarebbe uccisa. Sì, perché il fatto che Janszoon avesse abbracciato la Fede di Maometto non fu un fatto irriflessivo o ipocrita.

Tutt’altro, egli che proveniva da un Paese che viveva una violenta guerra di Indipendenza e religione e da un Continente in cui convivevano completivamente Chiese Cattoliche, Calviniste, Anglicane, Luterane, Valdesi e via dicendo, vide nell’Islam Sunnita un Credo tutt’altro che rissoso e sanguinario e, nei limiti del possibile, tollerante nei confronti delle altre Religioni. Fu così che all’atto della sua conversione prese il nome di “Murat Reis” e scelse di adottare il più possibile i dettami del Corano.

Così, a partire dal 1620 “Murat Reis” con la sua “Nora”, che finì di pagare nell’arco di un biennio, divenne un tremendo e sanguinario predatore di tutte le navi commerciali che intercettava nel Mediterraneo e non di rado si spinse sulle coste dell’Adriatico Orientale, catturando centinaia e centinaia di Slavi, molto richiesti per la loro resistenza, in tutti i Mercati di schiavi Nordafricani.

Una sola cosa però non gli stava bene, ossia il dover pagare una tassa agli Emiri delle città Berbere in cui attraccava. Egli era un “Pirata” non un”Corsaro”, e intendeva trovare un luogo dove non gli venivano richieste “tasse” e si sentisse libero come un delfino nel mare. E questo posto c’era e si trovava in Marocco, sulla costa vicina a Rabat. Il suo nome era Salé. Essa era una città importante, anche se meno di Tunisi, Tripoli o Algeri, ma rispetto ad esse aveva una differenza fondamentale.

Salé non era comandata da Emiri, ma era una “Città-Stato”, o se preferite, “Repubblica”, sorta come tale nel 1627, in cui un’assemblea indipendente di “Rais” prendeva decisioni in materia di pirateria e commercio. A “Murat Reis” non fu per niente difficile integrarsi nella Città-Stato, e per la sua fama e il suo prestigio, venne ammesso senza difficoltà nelle riunioni di pirati che prendevano decisioni-chiave. Anzi, col tempo il suo “peso politico” aumentò sempre di più, a causa degli innumerevoli successi navali, che in pochi anni gli permisero addirittura di costituire una sua flotta personale.

Fu così, e grazie anche alla sua abilità diplomatica, che divenne il “leader” più ascoltato dagli altri “Rais” della “Repubblica” o, se preferite, il suo “Presidente”. Infatti egli influenzava a suo piacere le strategie di pirateria senza incontrare ostacoli, stabiliva alleanze con le altre città, quali Tunisi, Tripoli e Algeri e la sua figura fu fondamentale per rafforzare il potere e l’influenza di Salé nel Mediterraneo e nell’Atlantico.

“Murat Reis” fu in grado anche di emanare leggi che regolassero la vita della città, come la costituzione di specifici luoghi dove far avvenire pacifici arbitrati fra contendenti, evitando così inutili spargimenti di sangue, o istituire una cassa comune alla quale i pirati potevano far ricorso in caso di necessità finanziarie, o ancora istituire figure simili agli “ambasciatori”, col compito di tenere i contatti con le città barbaresche.

Jan Janszoon o “Murat Reis” che dir si voglia, morì nel maggio 1648 a 78 anni, due prima del suo amico non convertito, ma sempre fedele e al suo fianco, Cornelis Claesz. Senza il “Presidente” che la guidasse con abilità e intelligenza, la “Città-Stato di Salè, sopravvisse stentatamente tra assenza di una nuova “leadership”, disordini, contrasti e sanguinose guerre fra fazioni di pirati, per altri 20 anni, finché indebolita e senza una guida autorevole, fu annessa all’Emirato del Marocco nell’aprile 1668.

Si concluse così amaramente l’avventura a tratti esaltante, della “Città-Stato” del defunto “Presidente” “Murat Reis”, che negli anni della sua conduzione rivaleggiò con le maggiori potenze berbere e riportò epici successi pirateschi nel Mediterraneo, nell’Adriatico e nell’Atlantico. Chissà in quale Purgatorio o Inferno, Islamico o Cristiano, si trova ora Jan Janszoon e chissà cosa penserà della sua unica, lunga e avvincente guida della “Repubblica di Salé”?

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