Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 10:32
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 3 minuti
Cambia colore:
 

inchiesta “Millennium”

Lo scambio politico mafioso a Reggio Calabria: una «squadra» per intercettare pacchetti di voti

Scelto il politico, bisognava tenerlo lontano dai pericoli. «L’importante è non portare “cristiani” di una certa maniera»

Pubblicato il: 25/05/2025 – 10:30
di Fabio Benincasa
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Lo scambio politico mafioso a Reggio Calabria: una «squadra» per intercettare pacchetti di voti

REGGIO CALABRIA Il narcotraffico è il core business dell’attività criminale delle cosche raccolte nella “provincia” reggina o come sottolinea il procuratore facente funzione della procura di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, del «sistema criminale integrato tipico del terzo millennio». L’evoluzione della mala si lega anche ad una decisa azione di infiltrazione del tessuto economico e sociale. Tentativi che spesso conducono agli apparati politici o a quelli deputati alla costruzione di una proposta alternativa ai candidati scesi in campo.
Nella maxi inchiesta “Millennium“, viene contestato – tra gli altri – anche il reato di scambio elettorale politico mafioso. Alcuni indagati avrebbero accettato – questa l’accusa – di «procurare voti in favore di alcuni candidati avvalendosi di soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta». Come emerso, ci sarebbero interi gruppi intenzionati a «scendere» in politica, formando una «squadra» finalizzata alla ricerca di pacchetti elettorali. Tutti si muovono prestando la massima attenzione, non bisogna dare nell’occhio e anche l’avvicinamento degli eventuali candidati individuati doveva avvenire lontano da occhi indiscreti. In buona sostanza, «il politico di riferimento doveva essere tenuto al riparo da compromettenti incontri con esponenti di ndrangheta, in modo da lasciarlo indenne da seccature».
D’altra parte, sottolineano gli investigatori, le intercettazioni hanno evidenziato il timore degli stessi politici di intrattenere rapporti pubblici con alcuni soggetti, divenuti «scomodi» in virtù del loro coinvolgimento in vicende giudiziarie e a seguito delle condanne riportate per associazione mafiosa e reati connessi.
C’era chi evidentemente abituato ad essere sotto i riflettori delle forze dell’ordine, non temeva possibili conseguenze. A certificarlo una ammissione dello stesso soggetto, intercettato. Che si mostra sicuro di preservare – rispetto alle incursioni degli inquirenti – il proprio patrimonio di conoscenze criminali. Chi viene captato parla di conoscenze così influenti che se avesse deciso di saltare il fosso e collaborare sarebbe stato necessario costruire oltre al carcere di Arghillà, altri istituti penitenziari. «Se apro la bocca io, altro che Arghillà, ne devono fare uno a Sbarre ed uno a Gebbione di quello che so». Per costruire la macchina del consenso, ma soprattutto per non sporcare l’immagine dei candidati vigevano delle “regole“, non scritte, da rispettare. Non occorreva evitare relazioni con esponenti della ‘ndrangheta, ma «sottrarsi a contatti con esponenti della criminalità organizzata nell’ambito di pubbliche riunioni o comunque di incontri collettivi».
Insomma, come emerge da una intercettazione. «Ognuno ha le cose sue! (…) l’importante è non portare “cristiani” di una certa maniera…Fatti nostri, se io conosco a Totò Riina sono cazzi miei, vado io! (…) O tu conosci a Badalamenti!». (f.b.)

Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato

Argomenti
Categorie collegate

x

x