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la rete criminale

«Un paio di pistolate e finiamo la partita». Estorsioni e minacce: i clan dell’inchiesta Millennium

La disponibilità di armi per il conseguimento delle attività criminali. «A Palmi sono dovuto andare a prendere armi sotterrate»

Pubblicato il: 28/05/2025 – 7:02
di Mariateresa Ripolo
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«Un paio di pistolate e finiamo la partita». Estorsioni e minacce: i clan dell’inchiesta Millennium

REGGIO CALABRIA Un «paio di pistolate» per finire «la partita», ossia per chiudere i conti. Sono i termini utilizzati in una conversazione tra indagati finiti nell’inchiesta “Millennium” della Dda di Reggio Calabria. Una frase utilizzata parlando delle modalità attraverso cui agire nei confronti di un imprenditore oggetto di estorsione che si stava rifiutando di cedere alle minacce. L’operazione ha portato a 97 arresti e fatto luce sull’operatività dei “locali” reggini di Sinopoli, Platì, Locri, Melicucco e Natile di Careri, nonché di quelli di Volpiano, in provincia di Torino, e Buccinasco (Milano), Coinvolte le consorterie di ‘ndrangheta operanti nei tre mandamenti della provincia reggina: Centro, Ionico e Tirrenico. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso esterno all’associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico, anche internazionale, di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, scambio elettorale politico mafioso e detenzione e porto di armi.
Le attività investigative hanno consentito di accertare che si trattasse di un’associazione armata. Gli indagati infatti avevano disponibilità di armi – anche occultate – per il conseguimento delle attività criminali. Tra gli episodi ricostruiti attraverso le conversazioni captate ce ne sono alcune particolarmente significative.

«Se non porta i soldi lo spariamo»

Una conversazione in particolare, in occasione dell’estorsione a un imprenditore, permette di ricostruire le modalità di azione degli indagati, e dalla quale emerge un linguaggio particolarmente violento e che rimanda in modo esplicito all’intenzione di utilizzare armi per vendicarsi al rifiuto di pagare. «Scusa a te, se non porta i soldi, li dentro non gli possiamo fare niente, la è chiuso, ma come se ne va lo spariamo”. A parlare è Domenico Pillari, intraneo alla cosca Crea di Rizziconi, che secondo gli investigatori avrebbe colto al volo l’occasione di riscuotere il pizzo da un imprenditore, titolare di un attività all’interno di un centro commerciale, che era però di interesse di Cosimo Alvaro. A seguito della carcerazione di Alvaro, Pillari aveva preteso che l’imprenditore pagasse lui. Nella circostanza emerge l’intimidazione da parte dell’esponente del clan Crea, il quale aveva minacciato una azione violenta con l’impiego di armi da fuoco ai danni dell’imprenditore. «Sennò lo prendiamo un giorno come se ne va per la, un paio di pistolate e finiamo la partita».

Le armi sotterrate

Armi anche sotterrate. In una conversazione del febbraio 2021 è Vincenzo Condello a confessare di essere stato costretto a prelevare delle armi che deteneva in un nascondiglio sotto terra a Palmi. Una confessione durante il racconto che Condello stava facendo relativamente a una vicenda che aveva visto implicato il fratello e alcuni soggetti di Rosarno per una somma di denaro: un affare che aveva esposto a pericolo il fratello tanto che Condello si era premurato di recuperare le armi che teneva nascoste al fine di reagire a eventuali atti violenti che i “rosarnesi” avrebbero potuto perpetrare ai suoi danni. («A Palmi sono dovuto andare a prendere armi sotterrate…».

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