Uomini, mezzi e risorse finanziarie per la produzione di marijuana nella Locride. «Questa anticipa di 15 giorni»
Il gruppo guidato dai fratelli Trimboli. La piantagione realizzata a Gerace e il “consenso” da chiedere al capo locale di ‘ndrangheta

REGGIO CALABRIA «Se riuscissimo a mettere 6/700 piante (frase incomprensibile)… acqua bella e pulita, con il timer». Nelle conversazioni captate dagli investigatori ci sono riferimenti al “capannone con lamiera” da utilizzare per l’essiccazione delle piante tagliate, i motori, i filtri, il materiale per la realizzazione della coltivazione, compresi i tubi per l’irrigazione e i fili per consentire il passaggio della corrente elettrica. Conversazioni che, per gli investigatori dell’inchiesta “Pratì” della Dda di Reggio Calabria contro l’organizzazione di ‘ndrangheta dedita al traffico e alla produzione di sostanze stupefacenti, inchioderebbero il gruppo con base operativa a Platì e operante nella Locride. Ventuno i destinatari di misure cautelari nell’operazione che ha fatto luce sull’esistenza di una rete criminale composta da tre gruppi, ognuno con ruoli e compiti ben precisi.
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Uomini, mezzi e risorse finanziarie
L’attività investigativa condotta da personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria ha permesso di accertare l’esistenza e l’operatività di un sodalizio criminale dedito al narcotraffico e facente capo ad esponenti della famiglia Trimboli (i fratelli Trimboli Francesco cl. 77, Trimboli Domenico cl. 81 e Trimboli Rocco cl. 73): «particolarmente “affezionati” ai traffici illeciti» tanto da organizzare un «coacervo di sodali» (quali Romeo Bruno Arcangelo, Papalia Francesco, Delfino Manuel, Multari Giuseppe e Multari Raffaele) diretto alla coltivazione di diverse piantagioni di canapa indiana in vista della commercializzazione di droghe “leggere”.
Una associazione, dunque, dotata di uomini e mezzi, terreni e casolari, e soprattutto mezzi finanziari, e – come rilevato dal gip – «avvantaggiato da una dimestichezza e da una spavalderia criminale allarmante dei suoi componenti, che permetteva agli indagati di realizzare i loro propositi criminosi e di lucrare profitti illeciti dallo smercio della sostanza».
Dall’importanza della quantità, a quella della qualità della cannabis («con i miei occhi, non è una palla,., l’ho vista io»), fino alle discussioni sulla varietà prescelta, anche in considerazione dei tempi di crescita inferiori rispetto ad altre tipologie di piante: «questa è buona come qualità e pure come tempi questa anticipa di 15 giorni quasi 20». Nelle conversazioni captate gli indagati facevano riferimento a vecchie e nuove coltivazioni, anche da realizzare simultaneamente, che gli avrebbero permesso «un approvvigionamento domestico continuo di stupefacente da immettere nel mercato».
La piantagione a Gerace e il “consenso” da chiedere al capo locale
Le coltivazioni non erano circoscritte nel territorio di Platì, come emerge dalla scoperta di una piantagione a Gerace. Una piantagione di canapa indiana costituita «da circa 435 piantine ancora in fase di maturazione (da cui era ricavabile sostanza stupefacente del tipo marijuana con un principio attivo di THC pari a 360.000 milligrammi corrispondenti a circa 14.400 dosi singole) organizzata su più terrazzamenti e dotata i sistema di irrigazione a goccia». La coltivazione, gestita dai fratelli Francesco e Domenico Trimboli, fu sequestrata il 22 luglio 2021. Al riguardo, nelle converazioni, emerge come Francesco Trimboli parlasse della necessità di dover ottenere “il consenso” del capo locale di ‘ndrangheta di quell’area geografica – per non incorrere in problemi con la famiglia criminale che controllava quella determinata zona: «Sempre con il consenso. Il consenso (frase incomprensibile)…perché non sono cose, perché (frase incomprensibile)… fare».
(m.r.)
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