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LA LENTE DI EMILIANO

Scacco matto alla resa. La “restanza” di Francesco contro lo spopolamento

Con la sua attività, in 10 anni ha superato momenti difficili, tra crisi economica e pandemia, realizzando il suo sogno. Senza aiuti pubblici

Pubblicato il: 17/07/2025 – 8:54
di Emiliano Morrone
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Scacco matto alla resa. La “restanza” di Francesco contro lo spopolamento

SAN GIOVANNI IN FIORE Restare non è facile. Come molte aree interne, San Giovanni in Fiore (Cs) si spopola. Dall’anno 2000 qualche migliaio di abitanti ha lasciato la città. Le famiglie si smembrano e i ragazzi crescono con l’idea che il futuro sia altrove. La crisi demografica è un problema serio. E c’è pure un’altra questione pesante, radicata, sottaciuta: l’idea, alquanto diffusa, che la politica debba garantire posti e stipendi fissi nel pubblico, piuttosto che sospingere l’intraprendenza e l’attività privata. Allora un pezzo del corpo sociale si è abituato all’attesa, al favore, all’omologazione.
Fare impresa a queste latitudini vuol dire scegliere la strada dell’autonomia e scongiurare la partenza, il kafkiano «via di qua senza sosta, soltanto così potrò raggiungere la mia meta».
A chi sceglie la restanza tocca spesso affrontare il vuoto intorno, la diffidenza, il peso delle consuetudini. Eppure, qualcuno ci prova. Francesco Crispo era un pizzaiolo. Aveva imparato il mestiere da dipendente, talvolta anche al prezzo di umiliazioni economiche. Dietro al forno a legna, però, aveva pensato alla sua strada: aprire il proprio locale a San Giovanni in Fiore. Negli anni, mise quindi i soldi da parte: non aveva risorse, padrini, appoggi, scorciatoie. Lavorò da mattina all’alba, sicché acquisì i segreti del mestiere. Una volta pronto, presentò domanda a Invitalia per un finanziamento. Aveva preparato il progetto, i preventivi e la documentazione. Per un anno intero, mentre aspettava risposta da Invitalia, pagò il fitto del locale che aveva fermato, come richiesto dall’apposito bando. Per fortuna, il proprietario gli praticò un prezzo sostenibile, ma un giorno giunse la bocciatura della sua pratica, proprio quando morì la nonna, ancora giovane. Due colpi duri: uno al cuore, l’altro alla fiducia. Francesco si fermò giusto per qualche giorno. Capì poi che doveva reagire. Chiese aiuto al padre, si fece garantire un prestito bancario e andò avanti. Sistemò il locale che aveva in uso e aprì d’orgoglio i bandoni: una mossa secca contro la paura e la rinuncia.
Il suo ristorante partì nel 2015 con annessa pizzeria. Intanto c’erano state la crisi dei mutui subprime e la lettera di Trichet-Draghi. Il clima era ancora instabile ma la gente tornava allo svago, a sedere ai tavoli. Il locale si fece conoscere, la pizza era buona e la cucina onesta. Francesco lavorava tanto. Spesso chiudeva da solo, con le braccia stanche e gli occhi rossi per le infornate. Ma era il suo posto, la sua scommessa, il suo orizzonte.
Come un fulmine, poi arrivò inatteso il Covid. Tutto chiuse, senza indizi di previsioni incoraggianti. Francesco e sua moglie Rossella rimasero invece lì, operativi, al ristorante. Lei possedeva già il titolo di parrucchiera, ma aveva rinunciato all’attività per collaborare con il marito. Nell’incertezza generale e assoluta, i due si organizzarono per consegnare cibo a domicilio. Rossella impastava, lo chef Antonio cucinava e Francesco portava in macchina pizze, primi e secondi, bevande e dessert. Così riducevano le spese mentre, si può dire, alimentavano la comunità locale.

La voce si sparse. I clienti aumentarono soddisfatti, in un periodo nero, attraversato da un senso cupo di oppressione e d’impotenza. Quel servizio, invece, svolto in silenzio e con l’anima vera, aiutò tante famiglie. Compresi Francesco e la moglie, che ripagarono parte dei debiti. Il giovane lo racconta con gli occhi lucidi e un sorriso misurato: la pandemia gli valse a tenere in piedi un’economia familiare quando il mondo pareva franare. E, per inciso, i coniugi non ebbero mai il Covid, secondo il responso dei numerosi tamponi eseguiti per ragioni di sicurezza.
Nel gennaio 2021 nacque la loro bambina, Helèna. Francesco la vide solo per pochi istanti. Erano le regole di allora: distanza, bardatura speciale, disinfettante, compressione degli affetti. Fu un attimo, tra gioia e smarrimento. Dopo tornò subito al lavoro.
Nel 2022 il ristorante iniziò a risentire dei cambiamenti intercorsi. Sua moglie, intanto, aprì finalmente il proprio salone. Avevano due attività e una figlia piccola, ma il mondo si trasformava ancora. La pandemia svanì ma il mercato mutò basi, mezzi e ritmi. I consumi calarono, la clientela divenne più incerta. Si faticava.
Francesco, che non aveva preso contributi pubblici, cominciò a usare i risparmi per coprire le perdite, con l’affetto e il sostegno immancabile della madre e del padre. Dopo gli arrivarono proposte da fuori. In Abruzzo lo cercarono per aprire un nuovo locale. Ci pensò, ma sua moglie aveva già il salone avviato e la figlia iniziava a camminare e parlare. Trasferirsi avrebbe significato ricominciare da capo, da zero. Ancora una volta. Decise allora di restare, di provarci, di reinventarsi e rischiare come prima. Ridusse quindi i coperti e puntò sulla qualità.
A un certo punto, Francesco sperimentò un particolare impasto di successo e rivide il menù. Soprattutto, aggiunse il pesce, scelta rara in Sila, dove si mangiano carne, salumi, pietanze dai sapori forti. Il ristorante cominciò a proporre antipasti di mare, primi leggeri, secondi più curati. Alcuni clienti storsero il naso, altri apprezzarono. I numeri iniziarono a migliorare: meno tavoli, più margini.

Al lavoro con la moglie all’epoca del Covid

Oggi il locale del giovane è diverso. Intanto, ha una clientela più esigente. Francesco continua a investire: in cucina, nelle materie prime, nel miglioramento. E si muove con il giudizio di chi ha imparato a non sprecare nulla. Ha una figlia che cresce, una moglie che lavora accanto a lui. E la volontà è immutata: restare, nonostante tutto.
Rimanere a San Giovanni in Fiore non è affatto una scelta romantica. È invece una battaglia quotidiana contro un’inerzia che aleggia e, non di rado, una mentalità soffocante. È costruire qualcosa in un luogo in cui vi è la tendenza a livellare, appiattire, spegnersi. È un segnale che il territorio può ancora dare, se qualcuno ci mette le mani, la testa e il cuore. Francesco ci ha provato, non molla ed è felice. Scacco matto.

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