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l’intervista

Martelli a Curinga: «Merito e bisogno facce della stessa medaglia. La Calabria? La amo»

Nel comune catanzarese l’intitolazione della Villa Comunale a Giacomo Matteotti e la presentazione del libro dell’esponente del Psi ed ex ministro. Bombardieri: «Matteotti simbolo scomodo»

Pubblicato il: 23/07/2025 – 12:48
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Martelli a Curinga: «Merito e bisogno facce della stessa medaglia. La Calabria? La amo»

CURINGA Una serata intensa e densa di significato si è svolta ieri a Curinga, dove la comunità ha reso omaggio a una delle figure più alte del pensiero democratico italiano con l’intitolazione della Villa Comunale a Giacomo Matteotti. Un atto di memoria e responsabilità civile, che ha voluto colmare una lacuna simbolica nel tessuto urbano e culturale del paese. La cerimonia è stata seguita dalla presentazione del libro di Claudio Martelli, “Il merito, il bisogno e il grande tumulto”, alla presenza dell’autore e di numerose personalità del panorama politico e sindacale italiano.

Elia Pallaria: «Matteotti non può mancare nella toponomastica di un paese»

Il sindaco di Curinga, Elia Pallaria, ha aperto la serata con un intervento che ha voluto restituire alla figura di Matteotti il posto che le spetta nella memoria collettiva: «Scopriamo una lacuna – ha affermato al Corriere della Calabria – perché eravamo un comune che non aveva ancora uno spazio intitolato a Matteotti, che è una figura che non può mancare nella toponomastica di ogni paese». Pallaria ha richiamato il valore del sacrificio del deputato socialista, «un messaggio di coraggio, idealità, attaccamento ai valori della libertà e della democrazia, mantenuti fino all’estremo sacrificio», e ha ricordato le sue parole profetiche prima della morte: «Io il mio discorso l’ho fatto, voi adesso preparate la mia orazione funebre». Un messaggio che, ha concluso il sindaco, «è di grande attualità, soprattutto in questo periodo in cui le democrazie cominciano a scricchiolare per vari motivi e sono un po’ a rischio».

Claudio Martelli: «Merito e bisogno, due facce della stessa medaglia»

Alla presentazione del suo ultimo libro, “Il merito, il bisogno e il grande tumulto”, Claudio Martelli ha offerto una riflessione articolata e profonda, muovendosi tra memoria storica, analisi del presente e visione per il futuro.
«Per me è una bellissima occasione – ha evidenziato al Corriere della Calabria – di rivedere questa Calabria che non finisce mai, tanto è lunga. È una terra che amo molto e in cui ho tanti amici e tanti compagni», ha esordito l’ex ministro, spiegando le ragioni che lo hanno portato a scrivere il volume: «Il libro l’ho scritto per ravvivare una memoria, ma anche per parlare, come lei ha detto giustamente, del presente e del futuro, soprattutto di questo presente così tumultuoso».
Martelli ha poi tracciato un quadro inquieto dell’attualità internazionale: «Si è un po’ persa la radice di tante cose buone, a cominciare dalla pace, che comporta l’equilibrio tra i popoli, il senso di responsabilità dei governanti, che sembra venuto meno. Anziché in pace, viviamo in una tempesta continua. Tutte le sere le televisioni ci riempiono, all’ora di pranzo, di cena e anche al mattino, di orribili immagini: bambini affamati, carri armati nel deserto, bambini sequestrati come in Ucraina da parte del tiranno russo, e trasportati con la forza lontano dalle loro case, che vengono intanto bombardate».
Ha poi denunciato il ritorno di logiche imperiali, che minacciano l’ordine mondiale: «In questo mondo in cui si riaffacciano gli imperi con la mentalità coloniale – l’impero cinese, l’impero russo – anche l’America, che era l’immagine e il simbolo della democrazia nel mondo, subisce una brutta torsione autoritaria, con questo presidente lunatico che usa un linguaggio violento e, nello stesso tempo, inconcludente, che maneggia la politica come se fosse un affare – non dirà di un affare privato – e che maneggia la politica come se fosse un’arma contundente, un’arma per fare del male». In questo contesto, ha ricordato con forza l’importanza dell’Europa: «Noi viviamo, per fortuna, in Europa, che è l’unico miracolo di questo secondo dopoguerra, dove i popoli hanno dimostrato che, dopo secoli e secoli di ostilità, sono riusciti a costruire un edificio comune, l’Unione Europea, in cui, naturalmente, col peso dei diversi stati, però ciascuno ha un ruolo e può riconoscere la propria identità».


Il dialogo si è poi spostato sul celebre discorso del 1982, in cui Martelli aveva introdotto con forza i concetti di merito e bisogno, da allora diventati centrali nel pensiero riformista:
«Lo ricordo, è forse uno dei più bei ricordi della mia vita, sia per l’entusiasmo, sia per un’atmosfera vibrante di novità, di coraggio, di uno sguardo volto al presente e anche al futuro. Il merito e il bisogno rimane un discorso importante nella storia socialista e, direi più ampiamente, nella storia delle forze democratiche, liberali di sinistra, progressiste, innovative».
E ha spiegato così il senso profondo di quella visione:
«Era il tentativo di conciliare, sulla base del socialismo democratico italiano, due caratteristiche fondamentali della società moderna: l’una, il riconoscimento dei meriti di coloro che sono stati capaci di rendersi utili a sé e agli altri – con il loro lavoro, con il loro impegno, con la loro fatica, con la loro intelligenza, le loro capacità -; e, dall’altra parte, di risarcire quelli che nascono nel bisogno. In fondo, rinnovando il messaggio socialista che, come diceva Pietro Nenni, consiste nel portare avanti chi è rimasto indietro».
«Insieme, merito e bisogno rappresentano una parte importante, importantissima della società, la parte disposta al cambiamento. Quelli che hanno meriti possono cambiare perché sanno come si fa; quelli che hanno bisogni devono cambiare per poter uscire dall’indigenza, dalla marginalità, dalla solitudine – che può essere fisica, segnata magari dalle malattie, o anche una solitudine psicologica, segnata per esempio dall’età anziana», ha continuato Martelli.
«Non si calcola il numero, ormai, in Italia, di persone che vivono in solitudine: anziane, magari con la pensione di reversibilità del marito, e che a fatica trattengono i propri piedi sulla terra in cui sono nati».
«Merito e bisogno sono facce di una medesima medaglia e sono criteri guida per rinnovare la società e per avere una società più giusta», ha ribadito. Sul tema della giustizia, Martelli ha espresso una posizione chiara e coerente con la tradizione socialista: «Io di attentati democratici, francamente, non ne vedo, salvo quando ci sono intemperanze da parte delle autorità o dello stesso governo nel ridurre la discussione parlamentare a una pura finzione». Ha ribadito la storica posizione del Psi: «La separazione delle carriere è qualcosa che noi socialisti predichiamo da quarant’anni, e soprattutto da quando, con il nuovo codice di procedura penale di un ministro socialista, Giuliano Vassalli, è diventato evidente che la funzione di chi, per conto dello Stato, solleva un’accusa contro un cittadino, è diversa dalla funzione di chi giudica e deve farlo in modo imparziale». «L’accusa, per sua definizione, non può essere imparziale, rappresenta una parte del processo. E dunque, anche coloro che rappresentano l’accusa non possono essere mescolati nelle carriere con i giudici», ha precisato. «Si dice: ma già adesso sono in buona misura separati. In buona misura, ma non del tutto. Per esempio, c’è un unico Consiglio Superiore della Magistratura che giudica sia gli uni che gli altri, sia gli accusatori — i pubblici ministeri — sia i giudici imparziali. E questo deve essere superato con due consigli superiori, uno per ciascuna delle due funzioni giurisdizionali».


Infine, Martelli ha voluto anche sottolineare la necessità di guardare alla criminalità organizzata non solo dal punto di vista storico, ma anche nella sua forma attuale e concreta:
«La verità va perseguita sempre, in ogni circostanza e in ogni tempo. Ma però questo non deve sottrarre attenzione ai pericoli attuali. Non possiamo vivere di archeologia giudiziaria».
«Dobbiamo vivere di una attività giudiziaria – magistrati e forze dell’ordine – concentrata sulle minacce della criminalità attuale. Io sono stato, come si sa, amico di Falcone, l’ho portato a lavorare con me, e dobbiamo parlare della lezione di Falcone, che era una lezione anche di sobrietà, di autocontrollo del magistrato – autocontrollo che non sempre vedo oggi». E ha concluso con una nota amara ma necessaria:
«Mi sorprende sempre vedere che quelli che criticavano Falcone da vivo, adesso sono diventati suoi grandi estimatori ora che è morto. Credo che si rivolti di tanto in tanto nella tomba vedendo questi voltafaccia».

Pierpaolo Bombardieri: «Matteotti è ancora oggi un simbolo scomodo»

Tra gli interventi più appassionati della serata, quello del segretario generale della Uil PierPaolo Bombardieri, che ha voluto evidenziare l’attualità e, insieme, la scomodità del messaggio matteottiano: «Matteotti è un esempio di libertà. Ha tenuto la schiena dritta fino al sacrificio estremo. Dava fastidio allora e dà fastidio adesso, perché è un simbolo di coscienza critica in una società che vuole polarizzare tutto».
Bombardieri ha denunciato con chiarezza il persistere di nostalgie autoritarie: «Non si tratta solo di cretini, ma di persone che fanno ancora riferimento a vecchie ideologie mai superate», ha affermato.
Sul libro di Martelli ha espresso una forte sintonia ideale: «Un titolo del genere sarebbe potuto essere benissimo anche del sindacato. In Calabria, dove le condizioni sociali, sanitarie e lavorative sono dure, è importante ricordare che questo Paese non si rassegna. La gente qui continua a lavorare con dignità. Questa terra merita rispetto, investimenti e attenzione sociale».

Parlando del sindacato, Bombardieri ha chiarito: «Abbiamo tre grandi sigle con storie diverse, ma noi continueremo a essere un sindacato laico, riformista, che si misura sul merito delle questioni. Le differenze non sono un problema, anzi arricchiscono il dibattito. Sui grandi temi, l’unità tornerà».
Infine, sulla riforma della giustizia ha ribadito un principio non negoziabile: «Il pensiero di Montesquieu è ancora vivo. La separazione dei poteri è un principio costituzionale. Se la riforma lo mettesse in discussione, per l’Italia sarebbe un problema gravissimo. Mettere la magistratura sotto controllo politico non ha mai portato bene in nessun Paese». (redazione@corrierecal.it)

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