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Revenge porn, c’è un nuovo caso “Mia moglie” (anche in Calabria). Le Fem.In: «Nessuna vergogna»

Il forum attinge ai social ed è un “catalogo” di donne inconsapevoli. Le attiviste: «Il nostro piacere non sia strumentalizzato per vittimizzarci»

Pubblicato il: 27/08/2025 – 21:49
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Revenge porn, c’è un nuovo caso “Mia moglie” (anche in Calabria). Le Fem.In: «Nessuna vergogna»

COSENZA A pochi giorni di distanza dallo scandalo che ha riguardato il gruppo Facebook “Mia moglie” (di recente chiuso) in cui 32mila uomini condividevano foto di mogli, fidanzate e sorelle senza il loro consenso, una situazione simile si sta verificando intorno al sito Phica.net.
Il funzionamento del sito – si legge in un post di Fem.In. Cosentine in lotta – tendenzialmente è questo: forum territoriali che attingono dai social, come fossero un catalogo di merce, normalissime foto di donne inconsapevoli con la richiesta agli altri utenti, magari qualche ex vendicativo o qualche partner misogino, di postare video intimi. «Abbiamo trovato nel sito diversi topic riguardanti Cosenza e provincia, spesso di fianco all’appartenenza territoriale appaiono appellativi come vacca, porca o porcellina».
«Nelle riflessioni sulla condivisione non consensuale e sull’esposizione dei corpi tramite i social, si sono sprecate una quantità abnorme di parole, alcune di buon senso altre raccapriccianti. A nostro avviso, oltre alla sacrosanta riflessione sulla centralità del consenso che sposiamo a pieno, manca – spiegano le attiviste cosentine – nel dibattito una riflessione essenziale che tolga potere alla vendetta e alla vergogna. Una riflessione intorno al diritto al piacere dellə donnə che ci emancipi tuttə dal giogo culturale per il quale se unə donnə fa sesso e le piace commette un illecito morale e culturale» scrivono sui social le attiviste di Fem.In. Cosentine in lotta.
«A primo impatto leggendo “Calabresine porcelline” moltə si saranno sentitə offesə, noi comprese, rivendicando il nostro diritto al godimento e al sesso come pratica attiva e consapevole. Ciò che ci indigna non è essere viste come persone che esercitano il proprio diritto al godimento, ma l’idea che il nostro piacere sia strumentalizzato per vittimizzarci. Oltre alla necessità di segnalare queste forme di abuso, bisogna soprattutto interrogarsi sul perché essere appellate in quanto persone a cui piace il sesso ci crei tutto questo disagio e ci condanni ancora una volta alla vulnerabilità!».
Di qui le domande delle Fem.In: «Forse perché ci è stato insegnato che il sesso è una cosa sporca che esiste solo per appagare funzioni biologiche o sociali appannaggio del genere egemone? Che i nostri corpi e il nostro piacere sono un qualcosa di vergognoso? Che una sessualità piacevole e diffusa è appannaggio di donne di scarso valore morale? È anche liberandoci di questi stigmi – chiosano le attiviste – che la condivisione non consensuale di materiale intimo potrà finire, perché ne viene meno la sua funzione principale ovvero la soddisfazione dell’eccitazione che alcuni uomini traggono non dal sesso ma dall’avere il potere di distruggere le nostre vite, famiglie e carriere controllando e sovradeterminando l’esposizione dei nostri corpi e dell’uso che ne facciamo. È anche rivendicando la normalità del sesso e del piacere che questi due elementi perderanno centralità nei meccanismi di discredito e ricatto che si consumano sulla nostra pelle. Siamo donnə, operaie e avvocate, madri e sorelle, studentesse e architette, ci piace il sesso e lo rivendichiamo ad alta voce. Nessun problema, nessuna vergogna» concludono le femministe di Cosenza.

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