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il racconto

Elezioni in Calabria: per una politica dello sguardo

di Francesco Bevilacqua*

Pubblicato il: 15/09/2025 – 7:40
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Elezioni in Calabria: per una politica dello sguardo

Nuoto in un mare color cobalto. Che ribolle e freme, come un corpo vivo. Il cielo è plumbeo, con piccoli squarci dai quali occhieggia un sole ancora caldo. Tardo pomeriggio di un giorno di metà settembre. È in arrivo il maltempo. Sono corso qui appositamente, lasciando un po’ prima il lavoro. Per non perdere il momento. Per guardare. Per immergermi. Nel mare e in me. Le onde arrivano veloci. Mi sollevano come un guscio di noce. Eppure, stranamente, non sono inquieto. Solo stupore. La vista si sposta dalla superficie del mare alle nuvole, dalla linea di spiaggia, alle montagne dell’interno, con i boschi scuri, ed i villaggi sparsi sulle pendici come chicchi di grano. Una visione potente.
Chissà perché, invece di godermi l’attimo, penso alle elezioni in Calabria. Considero che i candidati vivono spesso in una bolla virtuale. Stanno al sicuro nell’artificio della modernità. Ignorano la realtà, come quella che ora sto osservando. Perché non la vedono. Perché non sanno che esiste.
La Calabria è una terra anti-moderna. Come capita in certi luoghi del mondo irriducibili all’omologazione. Qui la modernità è sì giunta, ma non abbastanza da far prevalere l’artificio sulla natura. Se non lo si comprende è meglio restare a casa a trastullarsi con lo smartphone e i videogiochi. È una terra che ha bisogno di cose semplici, elementari. Non servono ponti, tecnologie, sussidi, premi, mirabilie. E i calabresi dovrebbero aver contezza di ciò che li circonda: paesaggi, luoghi, comunità.
Capitò una volta, durante una passeggiata che guidavo. Giunti su un punto panoramico, una persona dietro di me, che non conoscevo, chiese che paese fosse quello che si scorgeva dinanzi a noi, artigliato ad una collina. Seppi poco dopo, da uno degli organizzatori, che a formulare la domanda era stato il sindaco di quel paese. Tutti i candidati insistono sul loro “dovere” di mettersi in gioco per amministrare la Calabria. Nessuno dice però cosa vuol fare, con quali mezzi e perché. A parte spararle grosse. Manca loro una visione su cosa sia la Calabria, su cosa vorrebbero che fosse. Difettano di una educazione allo sguardo, di una politica dello sguardo. Esattamente come il sindaco che si fece eleggere senza essere in grado di (ri)conoscere il paese che intendeva amministrare.  
La sensazione è che le persone si candidino solo per ambizione. Per carità, l’ambizione non è negativa, ma deve essere accompagnata da molto altro, affinché non scada in delirio egoico, affinché non serva solo a risolvere un qualche proprio complesso. In genere “gli eletti” (soprattutto quelli che prendono molti voti) assumono uno status quasi sacerdotale. Ed il potere diviene una droga, che dà assuefazione. Che toglie lucidità mentale.
Tutto questo non implica un giudizio negativo: bisogna essere grati a chi si mette in gioco, si assume l’onere di amministrare. Non foss’altro perché contribuisce a quella parvenza di democrazia (la scelta, l’alternanza, ma nient’altro) entro cui viviamo. Penso però che un buon candidato dovrebbe essere governato da sentimenti che lo immunizzino contro le patologie del potere. Umiltà innanzitutto, che gli eviterebbe di ritenersi un predestinato, un onnipotente. Spirito di servizio, ma verso la comunità non verso i propri clienti. Desiderio di conoscere, capacità di osservare con interesse e passione. Probità, senso etico. Poi lealtà, correttezza, fedeltà alla parola data, rispetto, responsabilità. Ancora, non dovrebbe conoscere odio, rancore, voglia di vendetta: questi vizi replicano sé stessi in una spirale infinita, come ci insegna la storia, anche quella di questi giorni bui. Infine dovrebbe, prima, aver realizzato sé stesso. Dovrebbe conoscere la contentezza, la soddisfazione. Dovrebbe essere una persona risolta, che ha seguito il suo daimon, il suo spirito guida. Perché solo se sei realizzato puoi realizzare, solo se sei risolto puoi risolvere, solo se sei contento puoi rendere contenti anche gli altri.
So bene che tutto questo è illusorio. Capisco che forse è utopia. Posso convenire che sono stato colto da un miraggio. Ma non importa: illusioni, utopie, miraggi sono a volte necessari per non restare immobili, per agire. Esco dall’acqua che è quasi buio. Mi avvolgo in un telo asciutto. Le onde s’infrangono sulla sabbia con una sorta di rabbia contenuta. Il vento mi invade. Il crepuscolo rende tutto più indistinto, opaco. Eppure resto convinto, con Franco Cassano, che “La chiave sta nel ri-guardare i luoghi, nel duplice senso di aver riguardo per loro e di tornare a guardarli”.  

*Avvocato e scrittore

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