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lo strapotere del clan

Armi da guerra e «cartucce israeliane»: l’arsenale dei Piromalli per controllare il territorio e «reagire in caso di offensiva»

Diverse le conversazioni in cui i membri del clan parlano della disponibilità di armi con «chiarezza ed impressionante naturalezza». «Sai come carico veloce…»

Pubblicato il: 15/10/2025 – 6:57
di Mariateresa Ripolo
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Armi da guerra e «cartucce israeliane»: l’arsenale dei Piromalli per controllare il territorio e «reagire in caso di offensiva»

REGGIO CALABRIA Armi da guerra come kalashnikov, pistole, fucili, munizioni, tra queste anche «cartucce israeliane», come emerge dalle intercettazioni. La cosca di ‘ndrangheta Piromalli, come accertato anche nell’ultima inchiesta della Dda di Reggio Calabria denominata “Res Tauro”, ne aveva larga disponibilità. Per gli investigatori, si ritiene acquisito un quadro indiziario grave in ordine alla disponibilità, da parte del clan di Gioia Tauro, guidato dal boss Pino “Facciazza” Piromalli, di armi da fuoco con l’obiettivo di rispondere alla «necessità di garantire non solo un controllo mafioso del territorio, ma anche la capacità di reazione immediata in caso di offensiva». Un potere a tutto campo che Piromalli aveva mantenuto nonostante i vent’anni trascorsi in carcere, dopo i quali nel 2021 aveva riacquistato il pieno controllo del territorio. Sono 26 le persone destinatarie di misure cautelari, indagate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, detenzione illegale di armi e munizioni, turbata libertà degli incanti, favoreggiamento personale, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso, nonché di reati in materia di armi. L’indagine è iniziata nel 2020 e si è avvalsa di intercettazioni e telecamere utilizzate per documentare i numerosi episodi contestati.

Dal controllo del territorio all’utilizzo contro «gli avversari». «Possono essere venti cristiani… sai come carico veloce…»

Le risultanze giudiziarie sull’operatività della cosca Piromalli hanno accertato la natura armata del sodalizio, in passato coinvolto in faide. Un quadro reso noto attraverso le indagini che hanno portato nel marzo 2023 all’operazione “Hybris”. Indagini che hanno documentato la disponibilità da parte dei membri del sodalizio criminale di un vero e proprio arsenale messo a disposizione della consorteria.
Diverse le conversazioni in cui i membri del clan parlano della disponibilità di armi con «chiarezza ed impressionante naturalezza», scrive il gip. E in particolare da una conversazione captata tra Giuseppe Ferraro e Rosario Mazzaferro, quest’ultimo ammetteva di detenere armi e munizioni, tra i quali, spiccava un «doppio caricatore» ed una «9×21», nonché numerose «cartucce israeliane».
Secondo gli investigatori, dunque, dalle intercettazioni emerge che il possesso di armi — ovviamente clandestine – non era fine a se stesso, ma finalizzato all’eventuale utilizzo delle stesse in fatti evidentemente delittuosi. Infatti, Mazzaferro confessava al sodale di portare le armi nei vari incontri di ‘ndrangheta, così da averne pronta disponibilità in caso di necessità. («un giorno siamo andati ad una parte… io e lui … io, per dire la verità prima mi ficcai la pistola addosso… e … ho ficcato otto… e altri nove… e poi siamo andati a parlare… poi come stavamo venendo nella macchina me l’ha scoperta… disse “e tu la pistola ti porti?”, “si?… io vado ad un appuntamento… mi piglia, uno che è tinto mi punta con la pistola e… gli dico paternostro»). L’uomo racconta che con un’arma si sentiva più sicuro, potendo fronteggiare anche una offensiva composta da molte persone («possono essere venti cristiani… inc… sai come carico veloce…»). Mentre Ferraro raccontava di aver recuperato delle armi da guerra per utilizzarle eventualmente contro gli avversari ( «due kalashnikov…. per portarmeli, per tenermeli disponibili subito… perché avevo perduto la testa per la verità…. avevo perduto la testa, credimi no?».

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