Da architetto a senatore. Mario Occhiuto e il lascito di Chicco
L’ex sindaco di Cosenza ripercorre gli anni della sua amministrazione. L’idea della Città Unica e dell’ospedale nel centro storico per “curare” il tessuto urbano. La riconferma del fratello a governa…

Architetto visionario e appassionato, già sindaco di Cosenza e oggi senatore, Mario Occhiuto racconta il passaggio dal progettare spazi urbani al governare la vita quotidiana come un’evoluzione naturale del suo modo di pensare: continuare a “costruire “, ma attraverso idee, leggi e strumenti per il futuro. Ripercorre gli anni della sua amministrazione, fondata sulla rigenerazione urbana e sull’idea di una Città Unica, mai del tutto compresa ma ancora possibile. Riflessione, misura e fede attraversano il suo racconto, anche quando parla del fratello Roberto, riconfermato presidente della Regione Calabria e coinvolto in un’inchiesta. Un momento difficile che affronta difendendo la dedizione e l’integrità del governatore, convinto che la forza morale si misuri proprio nei momenti più difficili. Il dolore per la perdita del figlio diventa invece motore di impegno attraverso la Fondazione “Le Idee di Chicco“, nata per sostenere i giovani più fragili. Guardando alla Calabria, Occhiuto invoca una rinascita morale e culturale fondata sulla bellezza, sulla fiducia e sull’amore per i luoghi.
Com’è stato passare dall’architetto che progetta città al sindaco che deve governare la quotidianità? Ci sono stati momenti in cui ha dovuto riconoscere di aver sognato l’impossibile?
Fare il sindaco è stato come entrare dentro un progetto che respira. Quando disegni un edificio, un’opera pubblica o anche un pezzo di città, puoi controllare dall’esterno le forme, le proporzioni, la luce; immagini come funzionerà, che impatto avrà sui cittadini. Quando la governi, invece, ci entri dentro e devi fare i conti con la vita reale delle persone che la abitano, con le proteste, con le critiche, con l’imprevisto. Ma non credo di aver mai sognato l’impossibile: ho solo provato a portare un po’ di bellezza e di fiducia dove c’era tristezza e rassegnazione. Anche quando non tutto si realizza, ciò che davvero conta è lasciare una traccia, un’idea che possa germogliare più avanti. Ci sono città che migliorano e città che peggiorano, e questo dipende soprattutto dalla capacità di vedere lontano e di dare continuità ai processi di crescita -non solo esteriori, ma anche interiori- senza distruggerli a ogni cambio di amministrazione. La mia Giunta aveva proseguito una linea di sviluppo coerente, fondata sulla rigenerazione urbana sostenibile -primo principio: lasciare le infrastrutture urbane nei siti esistenti e non delocalizzarle- e sull’idea di una Cosenza contemporanea, viva e accessibile. Purtroppo non siamo riusciti a completare quel disegno, in parte per gli anni del Covid, in parte per una forte opposizione politica e istituzionale. E nel momento in cui sarebbe servita continuità, la città ha scelto legittimamente un’altra direzione, interrompendo un processo che ci avrebbe portato a essere la prima città intermedia d’Italia per investimenti sostenibili.
L’intenzione di rendere Cosenza una Città Unica si è scontrata con le complesse dinamiche politiche, culturali e sociali che hanno finito per orientare le comunità verso il no alla fusione. È stata bocciata perché non capita o perché non condivisa?
Forse non era il tempo giusto. Le idee, per fiorire, hanno bisogno di maturità collettiva. Io ho sempre pensato alla Città Unica non come a una fusione amministrativa, ma come un progetto culturale, un modo per unire energie e visioni, superando i confini che dividono ciò che, nella realtà, è già un’unica città. Credo che sia stata fraintesa, più che bocciata. In verità, è stata anche boicottata da molti che si dichiaravano favorevoli solo a parole, ma che nascondevano altri interessi politici o personali. Nonostante tutto, continuo a credere che quel seme prima o poi tornerà a germogliare.
L’ospedale che lei immaginava nel centro storico di Cosenza finirà a Rende. In fondo, se ci pensa, anche questa decisione va nella direzione di una Città Unica…
Sì, ma la differenza sta nel significato che si dà ai luoghi. Qui non c’entra la Città Unica, ma il riequilibrio territoriale tra la zona sud e la zona nord dell’area urbana. È bene ricordare che non sono stato io a spostare l’ospedale: l’attuale Amministrazione ha modificato il Piano Regolatore, abbandonando il sito storico previsto fin dal 1939 e sostenendo la nuova localizzazione a Vaglio Lise verso Rende in un’area oggi con vincolo di inedificabilità assoluta per rischio alluvione. Noi invece avevamo immaginato un ospedale nel cuore della città antica, capace di rigenerare una parte storica e fragile, restituendole vita e centralità. Era un modo per curare non solo le persone, ma anche il tessuto urbano. Avremmo potuto portare un pezzo dell’Università nel centro storico -con il nuovo corso di studi in medicina- grazie alla presenza dell’Ospedale; e invece abbiamo portato l’Ospedale dentro il campus universitario. Spostarlo lì non era nelle mie intenzioni e nella mia idea di sindaco di Cosenza, ma non vuol dire che fosse necessariamente sbagliato. Cambia la prospettiva: da un progetto di ricucitura urbana e di riequilibrio territoriale a uno che concentra le funzioni e rafforza strategicamente il nord dell’area urbana. Ciò porterà certamente vantaggi complessivi. Parlo sul piano urbanistico, perché su quello sanitario non vi è dubbio che l’integrazione tra formazione, ricerca e clinica sarà un volano importante per la qualità delle cure. Continuo però a credere che le scelte urbanistiche non siano mai neutre: modificano il modo di vivere di una comunità.
Dopo la riconferma di suo fratello alla guida della Regione per altri cinque anni, muoversi senza inciampi in Parlamento si conferma un esercizio assai complicato. Si ricandiderà?
La politica, per me, è un’estensione del mio lavoro di architetto. Continuo a fare ciò che ho sempre fatto: progettare. Solo che ora progetto leggi, visioni, strumenti per il futuro. Non ragiono in termini di ricandidature, ma di progetti che sento giusti. Se ci sarà la possibilità di continuare a dare un contributo utile, lo farò con la stessa passione e lo stesso rispetto con cui ho sempre servito le istituzioni.
Tra l’incidente, l’intervento al cuore e l’indagine giudiziaria, viene inevitabile pensare alla famigerata iattura che si abbatte sui presidenti di Regione. Ma tralasciando gli aspetti superstiziosi, qual è stata la sua reazione all’inchiesta?
Ho provato soprattutto dispiacere per mio fratello. So quanta dedizione e quanta fatica metta nel suo lavoro. Le inchieste fanno parte della vita pubblica, ma incidono nella parte più umana di chi amministra. Conosco la sua integrità, la sua determinazione, e so che saprà difendersi con serenità, perché ha la coscienza non a posto, ma a postissimo. È stato un anno difficile, anche per lui: un incidente stradale, un intervento al cuore, indagini giudiziarie e dimissioni politiche. La politica, se la si vive con senso del dovere, espone sempre a ferite, ma è proprio lì che si misura la forza d’animo e la tenuta morale delle persone.
Nonostante un anno segnato dal dolore per la perdita di suo figlio, ha trovato la forza per occuparsi concretamente del crescente disagio tra i ragazzi, una vera emergenza sociale…
Il dolore non passa. Si impara solo a conviverci, perché ci sono altre responsabilità che restano. Non mi preoccupa la mia sofferenza, ma la ferita di mio figlio, quella vita che non ha potuto continuare. Io, che ho sempre voluto proteggerlo e stargli vicino, non sono riuscito a salvarlo dalla malattia, dalla sofferenza interiore, dalla morte. Da padre ho provato un senso di impotenza e un dolore che non si può spiegare, che ti cambia per sempre. Razionalmente so che non avrei potuto fare di più: non sono un padreterno, ma un uomo. Con il tempo, la fede è diventata per me una forma di speranza: la speranza di rivederlo. Ma accanto a questa speranza vive anche il dubbio di non riuscire a farlo, e forse è in questa tensione che oggi abita la mia preghiera. Spero solo in Gesù Cristo, che ha patito la sofferenza come un uomo qualsiasi, è rimasto solo, e ha vinto la morte con la resurrezione. Non c’è nulla di più grande che credere in questo, perché mi dà la speranza di cui oggi ho bisogno. Prego ogni giorno perché Dio mi rafforzi in questa speranza. Da tutto questo è nato anche il bisogno di trasformare la presenza di Chicco in qualcosa che aiuti altri ragazzi e altre famiglie, attraverso il mio lavoro in Parlamento e soprattutto grazie alla Fondazione Le Idee di Chicco, costituita da poche settimane secondo i suoi insegnamenti: il rispetto, la gentilezza, l’attenzione verso le fragilità umane.
Guardando alla Calabria, quale cambiamento ritiene prioritario e possibile?
Vorrei che la Calabria riscoprisse fiducia in sé stessa. Siamo una terra di bellezza e intelligenza, ma spesso prigioniera della sfiducia. C’è un lamento continuo e chi parla male per abitudine o per pregiudizio verso gli altri. Credo che il cambiamento passi dall’educazione al bello e all’amore per i luoghi e per le persone, dalla salute e dalla qualità degli spazi in cui viviamo. Dobbiamo migliorare le nostre città e i nostri paesi perché diventino luoghi che facciano star bene, che invitino a restare, a creare, a sognare. Serve una rinascenza civile e culturale, silenziosa ma profonda, capace di mettere al centro l’uomo, la sua dignità e il suo benessere psicofisico. È da lì che può rinascere tutto. (p.militano@corrierecal.it)
*direttore del Corriere della Calabria
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato