La mobilità buona e canaglia. La domanda di un paziente a Bologna: «Come mai incontro solo infermieri e medici calabresi?»
Con 670mila ricoveri da fuori regione e 2,9 miliardi di rimborsi nel 2023, la sanità italiana si confronta con squilibri crescenti

COSENZA La pressione della mobilità sanitaria è in aumento, goccia dopo goccia il vaso rischia di traboccare con effetti devastanti per la salute degli ammalati. Il “caso” riguarda soprattutto le regioni del Sud, come la Calabria, dove si concentra il maggior numero di pazienti che si recano nelle regioni del Nord, oggi in difficoltà nel gestire un surplus di richieste.
Il presidente della Regione Emilia Romagna Michele de Pascale, ma anche quello della Lombardia, Attilio Fontana, confermano la crisi e chiedono soluzioni immediate al Governo. Sul tema è intervenuto anche il ministro della Salute Orazio Schillaci secondo il quale il fatto che ci siano persone costrette a spostarsi per curarsi è una «sconfitta per la nazione».
Mobilità buona e canaglia
«La mobilità sanitaria è un tema complesso che oggi viene ancora gestito quasi esclusivamente sul piano economico, e questo rappresenta un punto di debolezza», dice Chiara Gibertoni, direttrice generale del Policlinico Sant’Orsola Irccs di Bologna. «Al Sant’Orsola circa il 20% dei ricoveri riguarda pazienti provenienti da altre regioni, ma si tratta in larga parte di casi ad alta complessità». «Nel 2024 abbiamo installato 12 cuori artificiali, di questi 9 erano per fuori regione. Il dispositivo costa 100mila euro, il rimborso è di 66mila. La differenza la tiene in pancia la Regione Emilia-Romagna». Per Gibertoni «esiste una mobilità “buona” e una “canaglia”, che fa picking di pazienti tramite libera professione, depauperando i territori di provenienza». E riferisce la domanda di un paziente calabrese trapiantato: “Com’è che incontro solo infermieri calabresi, medici calabresi? Perché non posso avere le stesse cose che ho a Bologna con dei miei conterranei in Calabria?”.
Sul tema interviene anche Anna Maria Petrini, direttrice generale dell’Ausl di Bologna. «Siamo in una città con tre Irccs e una mobilità legata all’altissima complessità, ma registriamo ancora una pressione sulla media-bassa complessità, dove la risposta deve essere sempre più territoriale». L’Ausl di Bologna «risponde a una mobilità extra-regione di circa il 7%, concentrata sulle neuroscienze». Per Petrini «è importante lavorare con accordi fra regioni e con una programmazione nazionale. Tutte le regioni stanno investendo sulla rete territoriale con il Pnrr, ma serve una regolamentazione dei flussi».
Mobilità interregionale
Nel 2023, secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), i ricoveri da fuori regione sono stati 670mila, con un flusso di quasi 2,9 miliardi di euro di rimborsi, con l’Emilia Romagna che ha, per la prima volta, superato la Lombardia. Anche la sanità veneta ha livelli molto alti di attrattività da altre regioni. E negli ultimi mesi questa tendenza pare in aumento. «La mobilità sanitaria interregionale è in forte aumento – dice il presidente dell’Emilia Romagna – e sta mettendo sotto pressione il sistema. Serve un grande patto nazionale, perché questa situazione non è sostenibile. In Emilia Romagna esistono prestazioni ad alta complessità che non sono disponibili altrove con la stessa qualità, e questo è un patrimonio per tutto il Paese. Ma negli ultimi anni è cresciuta molto anche la domanda di prestazioni di bassa complessità. Non è solo una questione economica: non esistono infermieri e professionisti infiniti per aumentare senza limiti l’offerta. Il sistema rischia di non reggere». Una situazione non troppo dissimile da quella della Lombardia che, anzi, secondo Fontana, è ancora più grave di quella dei vicini emiliani. «Il nostro – dice Fontana – è ancora più pressante e più problematico. Noi lo stiamo dicendo da tempo, però è chiaro che bisogna avere il coraggio di affrontare il problema della sanità con serietà». Il ministro della Salute Orazio Schillaci non sminuisce il problema, in una lettera al Foglio rivendica però il funzionamento del Servizio sanitario nazionale e difende l’impegno per case di comunità e presidi diffusi. «Un cittadino – dice – non può pagare con la salute il fatto di essere nato in Puglia piuttosto che in Veneto. Quando un napoletano sale su un treno per farsi operare a Brescia o a Padova non è mobilità sanitaria. È la sconfitta di un’intera nazione. È l’ammissione che lo Stato ha rinunciato a garantire l’uguaglianza dei diritti».
Lo stop alla mobilità e l’effetto boomerang del passato
Lo stop alla mobilità agitato dai governatori del Nord è un campanello d’allarme impossibile da sottovalutare, ma la decisione di non accogliere pazienti provenienti da altre regioni potrebbe provocare un effetto boomerang. «A quel tempo il presidente era il mio predecessore Enrico Rossi. La Toscana con la delibera 1220 del 2018 voleva dare una priorità ai cittadini toscani. Scelse di anticipare quella linea, azzerando il budget al privato convenzionato per limitare l’arrivo dei pazienti extraregionali. E dedicare le cliniche del privato convenzionato per abbattere le liste d’attesa per i cittadini toscani. Ma la scelta si rivelò un boomerang». Lo ricorda, in un’intervista a Il Resto del Carlino, Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, parlando dello stop alla mobilità sanitaria deciso nel 2018. «Non erano ancora stati emanati i decreti attuativi – aggiunge -, quindi la scelta della Toscana risultò isolata. Le cliniche private convenzionate entrarono in difficoltà. E con loro anche interi settori dell’indotto. Ci fu un contenzioso pesante. E soprattutto l’effetto sulle liste d’attesa del servizio pubblico non fu quello sperato. Non ci fu alcun miglioramento». «I medici che esercitavano la libera professione extramoenia – prosegue il governatore toscano – dalle cliniche toscane si spostarono in Emilia Romagna, dove potevano operare. Così si generò una fuga sanitaria: in particolare nell’ortopedia, per le protesi d’anca, tanti pazienti toscani vennero dirottati dai medici a operarsi oltre confine». «Negli anni successivi – afferma ancora Giani – ci siamo resi conto che serviva un correttivo. Così nel 2022 abbiamo approvato una nuova delibera, la 1339, che ha segnato un primo passo di riapertura. Una scelta di equilibrio: tornare ad accogliere i pazienti da fuori, ma con sostenibilità economica. Il principio “prima i toscani” resta, ma dentro una logica più moderna e sostenibile: dare priorità ai nostri cittadini senza perdere la capacità attrattiva per le cure di alta complessità. È una questione di programmazione e non di chiusura».
L’accordo Calabria Emilia Romagna
La Regione Calabria, nei giorni scorsi, ha siglato un accordo bilaterale con la regione Emilia Romagna per il governo della mobilità sanitaria e delle correlate risorse finanziarie. Il patto, valido dal primo novembre 2025 e fino al 2027, lega su regioni diverse in termini di dimensioni e caratteristiche del sistema sanitario: in particolare nella Regione Calabria ha impattato in modo rilevante la condizione di commissariamento con una riduzione del 24% degli addetti, tetti vincolanti su tutti i fattori produttivi. Solo dal 2022 la tendenza si è invertita, e la necessità di meglio governare, in accordo con le regioni verso le quali tradizionalmente si muovono i suoi cittadini, è legata anche alle incrementate capacità del sistema calabrese di rispondere ai fabbisogni dei suoi cittadini. Le due regioni condividono – si legge nel testo dell’accordo – «di agire nello spirito di tutelare le attività di riferimento ed effettiva alta specialità, considerandole un elemento di tutela e garanzia per i pazienti affetti dai quadri più complessi da affrontare».
Cosa prevede l’accordo? Nel patto sono presenti tutte le prestazioni sanitarie di assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera, erogate a carico del Servizio sanitario nazionale dalle strutture pubbliche e private accreditate dei rispettivi Ssn ai cittadini residenti nelle due regioni stipulanti. I tetti economici sono annuali e specifici per livello assistenziale (assistenza ospedaliera, specialistica ambulatoriale). Le regioni si impegnano ad informare le proprie strutture e le strutture private accreditate che insistono sul loro territorio dei contenuti del presente accordo. «Si impegnano inoltre a non autorizzare i propri professionisti a svolgere attività libero-professionale intramoenia allargata o extramoenia nella regione controparte e a richiedere alle strutture private accreditate che insistono sul proprio territorio di comunicare lo svolgimento di attività ambulatoriali o in regime di ricovero da parte di loro professionisti, compresi i liberi professionisti, nella regione controparte». Calabria ed Emilia Romagna si impegnano, inoltre, a vigilare «affinché la gestione dell’accesso alle prestazioni, segnatamente rispetto alle liste di attesa, la gestione risponda alle indicazioni nazionali per tutti gli utenti». (f.benincasa@corrierecal.it)
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