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L’illusione che uccide

«La schiavitù che si finge libertà», il volto reale della droga raccontato agli studenti dal procuratore Vincenzo Capomolla

Dalla movida al narcotraffico, la polvere bianca distrugge vite e alimenta guerre. «Le sostanze si appropriano di un senso di felicità che non è reale»

Pubblicato il: 19/11/2025 – 16:57
di Fabio Benincasa
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«La schiavitù che si finge libertà», il volto reale della droga raccontato agli studenti dal procuratore Vincenzo Capomolla

COSENZA Parlare dell’uso di droga ai giovani è compito assai arduo, troppi i messaggi veicolati e facilmente intercettabili dagli adolescenti portati ad osservare – quasi con ammirazione – i frequentatori assidui delle passerelle e dei luoghi della movida, più ambiti e spesso riservati ad un pubblico “vip”. Quel mondo offuscato da lustrini e paillettes, macchiato dall’uso e dall’abuso di sostanze illegali, imprigionato nell’illusione del lusso e dall’ostentazione dell’onnipotenza, spinge troppi giovani a ricercare la felicità e la libertà nei vizi e nella trasgressione. Ed allora, diventa fondamentale rintracciare il senso autentico della parola libertà. Che non si traduce nel mero esercizio di tutto ciò che è consentito ed anche del non lecito. Parte da questa profonda riflessione, un illuminante intervento del procuratore di Cosenza, Vincenzo Capomolla, invitato a parlare agli studenti dell’Università della Calabria dei pericoli delle droghe, sostanza che silenziosamente si impossessano delle vite, rendendole fragili fino a distruggerle. «La tossicodipendenza insegna come la libertà sia altro», San Giovanni Paolo II diceva che «la libertà passa dalla fatica, sappiate che la droga rende schiavi e succubi, si appropria di un senso di felicità che non è reale e rende – invece – faticoso il recupero dei giovani dispersi nel percorso della perdizione». Vincenzo Capomolla cita anche Bergoglio quando invita gli studenti e le studentesse a «non abbandonarsi alla cultura dello scarto».

La droga e le ripercussioni politiche

L’aula Solano è stracolma, i posti a sedere sono occupati, qualcuno trova spazio in un angolino poggiato sullo zaino. L’attenzione è massima, al tavolo dei relatori trovano spazio – oltre al procuratore – anche Beniamino Fazio, Capo centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia per il Distretto di Catanzaro; Stefano Curcio, professore ordinario di Principi di Ingegneria Chimica e nuovo Prorettore Vicario dell’Università della Calabria; Giancarlo Costabile ricercatore e docente di Pedagogia dell’Antimafia all’Unical.
Il procuratore, dopo tanti anni alla Dda di Catanzaro – gli ultimi mesi vissuti da facente funzione dopo l’addio di Nicola Gratteri passato alla guida degli uffici di procura di Napoli – è un profondo conoscitore del sistema criminale calabrese e degli ingranaggi che regolano il narcotraffico internazionale. «Le rotte del narcotraffico si orientano verso i paesi dell’Africa Centrorientale per poi spingersi verso le coste del Mediterraneo e da lì arrivano in Europa. Ci sono organizzazioni criminali che sovraintendono al traffico di sostanze stupefacenti, che garantiscono grandi profitti e per questo motivo si espandono sempre di più coinvolgendo anche i Paesi orientali, soprattutto per quanto riguarda l’eroina». Le rotte della droga in Europa, seguono anche altri canali di commercio. «La ‘Ndrangheta si è alleata con la mafia albanese per assicurarsi l’enorme approvvigionamento di stupefacenti».
La commercializzazione della polvere bianca non si deve ridurre ad un fenomeno circoscritto solo e soltanto agli ambienti criminali, non influenza solo la galassia mafiosa, non si limita al rapporto tra “muli” e acquirenti, tra organizzazioni e pusher. Quello che accade nelle piazze di spaccio incide anche a livello politico. «Non c’è soltanto l’implicazione sociale – sostiene Capomolla – la gestione del narcotraffico ha permesso alle organizzazioni terroristiche e parastatali di avere introiti, utili a finanziare le loro azioni violente e necessari ad alimentare le guerre. La droga incide a livello mondiale».

Narcos globali

Il mercato degli stupefacenti è florido. «In Italia, per l’acquisto di droga, si è speso oltre 17miliardi di euro – nel 2024 – il 38% per la cannabis, il 28% per la cocaina». Risorse bruciate per i consumatori, danari finiti nelle casse delle organizzazioni criminali che piazzano la polvere bianca, in Europa, a circa «36mila euro al chilogrammo». Il costo di acquisto per la rete che poi introduce la sostanza nel mercato è pari, invece, a 76 euro al grammo. «Il conto è semplice», suggerisce Capomolla.
Numeri enormi se poi si pensa al mercato diventato ormai globale, la rete della ‘ndrangheta ha oltrepassato i confini nazionali ed europei raggiungendo rotte inimmaginabili fino a pochi anni fa. Il traffico internazionale di droga, come testimoniato dalle recenti indagini della Dda di Catanzaro, favorisce introiti tali da consentire alle cosche enormi investimenti. Il procuratore di Cosenza cita il caso segnalato in una delle recentissime attività di indagine portata avanti dalla Distrettuale Catanzarese contro la cosca Abbruzzese, nell’area di Cassano allo Jonio. Capomolla mostra agli studenti un «messaggio intercettato con protagonista un broker che si trovava in Sudamerica e gestiva le trattativa con telefoni criptati. Inviava messaggi al suo interlocutore mostrando la foto dei prezzi». Ad esempio, «la cocaina nel luogo di produzione poteva essere acquista a 5.500 euro al chilogrammo, come dicevamo prima in Europa viene poi venduta a 36mila euro».

Il contrasto resta difficoltoso

La produzione di droghe sintetiche rende ulteriormente difficile il contrasto allo spaccio di stupefacenti. «La difficoltà è nella individuazione delle nuove droghe che devono essere inserite negli elenchi delle sostanze vietate». Il procuratore Vincenzo Capomolla smonta la tesi dei presunti benefici legati ad un ipotetico processo di legalizzazione. In questo occasione, la citazione riporta indietro la memoria al 29 gennaio 1988, quando Paolo Borsellino parlò – riferendosi alla droga – di una «lotta di libertà». «Il carattere fallace della legalizzazione è testimoniato, oggi, dagli effetti prodotti dall’introduzione nel circuito di scommesse e giochi. Che non ha ridotto la capacità delle organizzazioni criminali, anzi ha determinato un controllo sia del circuito illegale che di quello lecito».

I giovani e la dipendenza

La riflessione del procuratore di Cosenza passa sempre dall’attenta analisi dei dati. L’esposizione dei giovani al rischio dipendenza è cristallizzata in un report redatto sui rischi connessi all’uso di droga che restituisce un quadro allarmante. «Nel 2024, quasi 910 mila giovani dai 15 ai 19 anni (il 37% della popolazione studentesca) hanno provato almeno una volta nella vita una sostanza stupefacente illegale, 620mila ne hanno fatto uso nell’ultimo anno». La cannabis è la sostanza più assunta dagli studenti, «è considerata droga leggera, ma cosi non è. L’hashish contiene fino al 29% di principio attivo, un valore triplicato rispetto al passato e, dunque, leggero non è». Capomolla si dice preoccupato dalla «riduzione della percezione del rischio» e in questo caso «la legislazione non aiuta, ponendo una distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere». E poi c’è la cocaina, «ha fascino perché è la droga utilizzata dai personaggi in voga, quelli che inviano messaggi negativi rispetto alla dipendenza. Il 35% delle morti di overdose è stato causato dalla cocaina, il 30% dei ricoveri è legato all’uso di questo tipo di droga». Il procuratore aggiunge ancora un dato. «Una persona su quattro si rivolge ai SerD a causa dell’uso di cocaina».

La droga a Cosenza

La provincia di Cosenza è un territorio vasto e funestato dalla diffusione e dal traffico di droga. «E’ un problema da affrontare in modo determinato, senza equivoci, senza cedimenti, senza l’introduzione di logiche che in qualche modo facciano perdere di vista il rischio dell’uso della sostanza», sostiene Capomolla. Che chiosa: «Occorre mettere in campo ogni sforzo sul piano della repressione del mercato della sostanza stupefacente, dei canali di rifornimento e dello spaccio e insieme a questo ovviamente creare quella rete di protezione soprattutto dei soggetti più esposti: i giovani, prima di tutto».

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