Undici milioni e 700mila euro. È il valore dei beni che sono stati confiscati al boss Carmine Alvaro, detto “u cupertuni”, reggente della omonima cosca di Sinopoli conosciuta con il soprannome di “carni i cani”.
A circa un anno dal sequestro dell`impero di Alvaro, proprio a Sinopoli sono stati strappati alla famiglia mafiosa 32 uliveti. La confisca rientra nell`operazione “Matrioska” e ha interessato anche una società olivicola e 4 terreni a Roma dove, in un`area del Comune capitolino, gli Alvaro avevano realizzato un fabbricato abusivo.
Tutto è diventato di proprietà dello Stato dopo i sigilli applicati stamattina dai finanzieri del Gico di Reggio Calabria e dello Scico di Roma.
La famiglia mafiosa di Sinopoli era al centro dell`inchiesta “Virus” nell`ambito della quale il sostituto procuratore della Dda Roberto di Palma e la squadra Mobile di Reggio avevano stroncato gli Alvaro che, dal piccolo centro della Piana di Gioia Tauro, godevano di ramificazioni in Europa e oltre oceano.
Ramificazioni che gli hanno consentito di gestire attività illecite che vanno dalla riciclaggio e dal traffico di armi ed esplosivi al favoreggiamento e al commercio illegale di valuta estera.
L’inchiesta ha preso il via il 18 luglio 2005, il giorno in cui è stato arrestato il boss latitante Carmine Alvaro. La cattura del capo bastone di Sinopoli ha permesso agli inquirenti di monitorare i comportamenti del sodalizio criminale e soprattutto la capacità della famiglia di trasformarsi, in breve tempo, da rurale aggregato, dedito esclusivamente ai sequestri di persona e al traffico di sostanze stupefacenti, ad imponente holding imprenditoriale e finanziaria.
Stando alle risultanze investigative, nel 2005 la cosca di Sinopoli è stata impegnata in un’attività di riciclaggio di ingenti somme di danaro straniero, di provenienza illecita. Figlio del patriarca settantaquattrenne Domenico Alvaro, era sempre “Cupertuni” (chiamato anche il “consulente”) il vero regista che, dal carcere, gestiva direttamente le operazioni attraverso gli ordini impartiti al figlio Giuseppe (alias “Peppazzo”) e agli altri sodali.
L`inchiesta “Virus”, che ha già ottenuto i primi risultati processuali, ha aperto uno squarcio pure sul rapporto federativo tra gli Alvaro e la cosca Tegano di Reggio Calabria. Rapporto, finalizzato anche al traffico di armi, che vedeva Paolo Schimizzi (scomparso per “lupara bianca” nel 2008 e nipote dei fratelli Pasquale e Giovanni Tegano) come il punto di raccordo tra la famiglia di Sinopoli e quella di Archi.
Gli inquirenti erano riusciti, infatti, a registrare un summit, nel maggio 2005, in cui “Peppazzo” aveva consegnato a Paolo Schimizzi una pistola 6,35 e due ordigni esplosivi.
Ritornando alla confisca di oggi, si tratta di terreni di cui la cosca si era impossessata grazie alla sua forza intimidatrice. Beni che aveva espropriato senza pagare un euro. Stando, infine, alle risultanze investigative della Guardia di Finanza, pur non avendo alcun titolo formale giustificativo del possesso di quei terreni, la famiglia Alvaro aveva addirittura percepito contributi comunitari per svariate centinaia di migliaia di euro.
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