Se a parlare di legalità è Gherardo Colombo, gli si può dare ascolto. L’ex magistrato questa mattina ha partecipato a un dibattito a Palazzo Campanella alla presenza di una nutrita delegazione di studenti reggini. Chi più di lui – tra i protagonisti della stagione giudiziaria di Mani Pulite e della scoperta della Loggia P2 – avrebbe potuto discettare su regole e democrazia in Calabria? Il piglio è quello del conferenziere consumato: niente prediche cattedratiche seduto lontano dalla platea. Colombo si toglie subito la giacca e inizia a camminare tra il pubblico, con uno stile teatrale fatto di interazione costante con il giovane uditorio. Il tema è semplice e al tempo stesso delicato: il rispetto delle norme su cui si basa la vita democratica. Il giudice, già titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli, adotta la maieutica socratica in versione aggiornata: pone domande ai ragazzi, cercando subito dopo di eliminare i falsi concetti o le credenze fallaci per far emergere i concetti essenziali. «L’affermazione della democrazia reale è complicatissima – dice Colombo -, soprattutto perché noi siamo ancora legati ai principi del passato, quando la società si basava sul criterio della discriminazione. In sostanza, siamo abituati ad agire secondo modelli comportamentali antichi».
Emergono, dalle parole dell’ex pm, tutte le difficoltà e le contraddizioni di un sistema politico ancora giovanissimo: «Quando sono nato io la democrazia era ancora nella sua fase iniziale. Sono sicuro che ogni generazione apporterà il suo contributo per affinarla sempre di più. Non dobbiamo pensare che sia un’utopia: se lo facessimo, chiuderemmo davanti a noi la possibilità del futuro». Poi una digressione attinente ai mali calabresi: «Come può sparire la ‘ndrangheta se la matrice del nostro pensiero ancora la giustifica?». Domanda che si ricollega al concetto di autorità, per Colombo ancora troppo presente nella società, laddove invece dovrebbe prevalere l’autorevolezza. Da qui, l’esortazione agli insegnanti a usare sempre meno lo strumento discriminante del potere a favore del dialogo, capace di favorire il senso di responsabilità dei giovani. E poi un appello agli studenti: «Impegnatevi in politica. Se pensate che la ‘ndrangheta faccia schifo vuol dire che volete che scompaia. In questo Paese ci sono cose essenziali che non funzionano, e serve l’aiuto di tutti».
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